Resilienza e adattamento: la nuova frontiera della lotta al cambiamento climatico
di Violetta Vivarelli
Dalla nascita della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) del 1992, i Governi hanno adottato in diverse politiche di riduzione delle emissioni di gas serra. Negli ultimi anni si è sempre più diffusa la consapevolezza, supportata da evidenze scientifiche, che i primi effetti dei cambiamenti climatici sono già visibili e saranno destinati ad aumentare in futuro. Pertanto è necessario rafforzare le iniziative per l’adattamento a livello nazionale, regionale e locale, così da poter fronteggiare gli eventi climatici estremi che colpiranno sempre più frequentemente il nostro pianeta. Infatti sono in aumento alcuni fenomeni meteorologici estremi destinati a tradursi in ingenti perdite economiche, problemi di sanità pubblica e perdite umane, come ondate di calore, incendi boschivi e siccità, o precipitazioni abnormi con conseguente rischio di inondazioni.
Secondo i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) è stato stimato che nel 2015 il numero di disastri ambientali ammonta a 376, in aumento rispetto al 2014 nel quale sono stati registrati “solamente” 330 eventi estremi. Queste catastrofi naturali, oltre a causare moltissime vittime, coinvolgono milioni di persone le quali vengono private delle proprie terre, delle case, del proprio lavoro, per non parlare poi della distruzione di interi habitat naturali. Dalla stima dei costi e dei benefici futuri emerge che ogni euro speso per proteggerci dalle inondazioni ci farebbe risparmiare sei euro di danni. Il costo annuo del mancato adattamento ai cambiamenti climatici ammonterebbe almeno a 100 miliardi di euro nel 2020, per salire a 250 miliardi nel 2050.
Risulta quindi evidente la necessità di porre in essere una strategia locale che incorpori l’analisi dei mutamenti climatici in atto nella definizione di politiche e azioni di mitigazione e adattamento oltre a prevedere l’adozione di soluzioni e tecnologie intelligenti per affrontare i cambiamenti climatici, nell’interesse dei cittadini e dello sviluppo economico. La resilienza, ossia come aiutare la popolazione, le organizzazioni e i sistemi vulnerabili a resistere e persino a prosperare in seguito a imprevedibili eventi distruttivi, è un concetto relativamente nuovo ma strategico per rispondere prontamente agli effetti del cambiamento climatico.
All’interno di questo contesto troviamo quelle che vengono definite le “città resilienti”, ossia realtà urbane e metropolitane che adottano un modello di sviluppo urbano equilibrato e sostenibile basato sull’integrazione delle dimensioni della sostenibilità sociale, ambientale ed ecologica.
Le città resilienti rappresentano la nuova frontiera nella lotta al cambiamento climatico poiché da recenti statistiche è stato stimato che attualmente il 54% della popolazione globale vive in agglomerati urbani, cifra che arriverà al 66% entro il 2050.
Per dare maggiore concretezza a tale fenomeno si è tenuta a Quito dal 17 al 20 ottobre, la terza edizione della “United Nations Conference on Housing and Sustainable Urban Development” il cui scopo è stato quello di adottare una “New Urban Agenda” per ripensare e ripianificare il modello delle città indirizzandole verso uno sviluppo urbano sostenibile anche attraverso la partecipazione attiva e la cooperazione di governi, stakeholders e comunità locali.