Un fin troppo atteso miracolo politico
Fino a qualche anno fa, il termine “Perdite e danni” – o meglio nell’abusato inglese Loss and Damage – richiamava pochi e vaghi concetti generali, se non in una piccola bolla di addetti ai lavori del mondo della scienza del clima. Poi però in una torrida notte egiziana, in un centro congressi enorme con migliaia di delegati internazionali, militari, osservatori, giornalisti, altri militari, alle 3.30 del mattino, viene finalmente avviata la plenaria finale di COP27, che da lì a poche ore sarebbe diventata “la COP del loss and damage”. Un evento storico. Ne avrete sentito parlare, o forse no.
In quella notte, dopo due folli settimane di negoziati a trazione cinese, con continui cambi di posizione dell’Unione Europea, con i tentennamenti degli Stati Uniti, sarebbe stata adottata una decisione formaleverso l’istituzione di un nuovo fondo multilaterale – come quelli che già esistono sull’adattamento ai cambiamenti climatici, o il Green Climate Fund, o fondi che finanziano vaccini e lotta all’AIDS in Africa.
Un fondo specifico per compensare i Paesi più colpiti dai disastri climatici, nel quale sarebbero confluiti soldi da tutto il mondo ma in particolare dai Paesi più ricchi, dall’Occidente inquinatore.
Un vero meccanismo di solidarietà internazionale incondizionata (in termini finanziari), basato sulla scienza, sulla storia, sul buon senso? Un fin troppo atteso miracolo politico, arrivato dopo ben 30 anni di negoziati e pressioni da parte dei Paesi del cosiddetto Sud del mondo, che in Egitto vedevano finalmente una vittoria clamorosa sul tema annoso della finanza climatica – almeno in prospettiva.
Si realizzava la “terza gamba” dell’Accordo di Parigi del 2015, dopo la riduzione delle emissioni ed il sostegno alle politiche di adattamento dove la crisi climatica c’è già, ormai da anni. L’Unione Europea, la Germania, gli Stati Uniti, uniti e convinti di spuntarla avrebbero preferito un sistema basato su garanzie assicurative con trasferimenti di denaro (bonifici) ex-post, cioè da far partire dopo, a disastro avvenuto e secondo precise clausole e polizze assicurative stipulate in precedenza, oppure secondo strane forme di adattamento preventivo con bonifici per progetti di protezione e prevenzione – ma questo forse era comunque adattamento, no? Niente di quello che da decenni chiedevano i Paesi in via di sviluppo: soldi certi, accumulati in un fondo multilaterale, da erogare subito dopo i disastri tramite trasferimenti a fondo perduto, non condizionati, utili a riparare il riparabile e compensare l’irreparabile senza pesare (troppo) sui disastrati bilanci nazionali e locali di questi Paesi (vi ricorda niente?). Pagare infatti, o meglio fare annualmente il pieno di benzina – passatemi il gioco di parole – al nuovo fondo, sarebbe stato compito principalmente dei Paesi ricchi, principali responsabili storici del problema climatico.
Legittime tutte le domande: quali riparazioni sono elegibili, cioè per quali tipi di disastro si può identificare una precisa origine climatica e quindi far partire un bonifico compensativo? Come distinguere tra danno semplice e danno aggravato da mala manutenzione? Come erogare questi soldi e a chi? Ai governi, agli enti locali, ad attori privati del territorio? Ma soprattutto, esistono liste del dove, come e perché erogare o meno? Mi resi conto solo quella notte in Egitto perché da anni solo pochi colleghi nel mondo cercavano di costruire tabelle, fare schemi, stabilire regole per risolvere un tema di cui – fino ad allora – non si interessava nessuno. Semplicemente, perché si parla di riparazioni internazionali e le riparazioni comportano un’assunzione di responsabilità, cosa che sul tema dei danni (in un Paese) legati ad emissioni di CO2 (in un altro Paese del mondo) nessuno voleva davvero parlare. Soprattutto chi sentiva di averne, di responsabilità.
Ci sono Stati che spariscono sott’acqua – non è un’esagerazione, anche se fa male pensarci, meglio evitare – e Stati che evitano, appunto, l’assunzione di qualsivoglia responsabilità. Ci sono Stati che hanno inquinato e inquinano, ci sono Stati che prima non inquinavano, ma che ora inquinano più di tutti gli altri (la Cina è prima per emissioni di CO2 ormai da anni, nonostante i ciclopici investimenti in rinnovabili, che compensano solo parzialmente il problema). Ci sono milioni e milioni di donne e uomini, bambine e vecchi, che in questo momento stanno partendo per un luogo diverso da casa propria, dove per via di siccità, smottamenti e piogge fuori controllo è diventato impossibile coltivare qualsiasi cosa, vivere, campare. C’è un politico di uno staterello del Pacifico che si fa fotografare in giacca e cravatta con i piedi nell’acqua per attirare l’attenzione globale sul problema, ma finisce per diventare un meme o al massimo un bel numero di Newsweek da sfoggiare sul tavolino in salotto. C’è il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres che non parla d’altro da anni, a rischio di non venire più ascoltato.
Come Italian Climate Network e come membri vivi della società civile italiana abbiamo sentito fortissima la necessità di avviare una campagna sul tema delle compensazioni per perdite e danni per cominciare a ragionare, anche noi in Italia, su sparizioni e responsabilità. Uscendo dal guscio di chi segue, osserva e commenta i processi, per spingerli piuttosto, verso un mondo un po’ più giusto.
Sparizioni. Sparizione di troppi nostri co-abitatori del pianeta Terra e dei loro contesti quotidiani, della quale potremmo essere più responsabili (tutti insieme e storicamente, s’intenda) di quanto crediamo. Capitasse a noi, non vorremmo affatto capitasse a noi. Ora che sta cominciando a capitare anche a noi, cominciamo forse a capire. Chiederemmo aiuto, vorremmo che arrivasse. Chiedono aiuto.
Responsabilità, appunto, da cominciare ad assumersi a livello governativo a partire proprio dal nostro Paese, che vorremmo potesse dare l’esempio in Europa e nel mondo. L’Italia è dotata di un Fondo Italiano per il Clima che mobiliterà risorse economiche pari a 4,2 miliardi di euro su cinque anni in cooperazione internazionale: coprirà anche delle prime spese in compensazione di perdite e danni? L’Italia, che la risposta alla prima domanda sia Sì o No, annuncerà un proprio contributo sul nuovo fondo a COP28 per dare l’esempio a livello internazionale? Sarebbe bellissimo e vorremmo capire come, quando, se possiamo dare una mano.
Se ci lanciamo in questa campagna è perché crediamo nel processo, crediamo nel cambiamento possibile, crediamo in voi che vorrete seguirci nei prossimi mesi aiutandoci tramite una storia sui social, un hashtag, un link da girare agli amici, un articolo da scrivere per il giornalino con cui collaborate, un appuntamento in Parlamento con chi ha una buona idea o semplicemente voglia di fare. Ché poi per capire bene la vicenda basterebbe al buon vecchio principio del “chi inquina paga”, ahinoi ancora troppo poco applicato a livello di politica e politiche. Possiamo iniziare noi però, perlomeno a parlarne. Ci lanciamo in una campagna che ha una data di inizio, oggi, e una data di fine, COP28. Perché in fin dei conti siamo e rimaniamo degli ottimisti, e siamo certi che per allora la nostra Italia avrà fatto almeno un piccolo, piccolo salto di qualità su questo tema.
Se succederà sarà anche grazie a te.
Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor e UNFCCC Contact Point