terre rare
30
Giu

IL RUOLO DELLE MATERIE PRIME NELLA TRANSIZIONE IN EUROPA

La transizione energetica e l’abbandono dalle fonti fossili sono centrali per ridurre le emissioni di gas climalteranti in Europa e raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo. Tuttavia questa transizione, che vedrà sempre di più l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, non sarà possibile senza l’uso delle materie critiche e delle cosiddette “terre rare”.

Se da un lato le terre rare sono ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare la transizione ecologica, in quanto sono la base per alcune delle soluzioni di decarbonizzazione e compongono la maggior parte delle tecnologie per la produzione di energia rinnovabile, dall’altro non si può ignorare il fatto che l’estrazione e la lavorazione di questi minerali comportano dei processi complessi che possono anche causare problemi di salute e gravi impatti ambientali.
La dipendenza attuale da pochi Paesi fornitori e produttori, come la Cina, rivela inoltre la criticità e vulnerabilità che questo sistema comporta in termini economici e politici.

In futuro queste materie saranno sempre più richieste, perché si trovano alla base di componenti che permettono la produzione di energia da fonti rinnovabili, come pannelli fotovoltaici, turbine eoliche o anche batterie per le auto elettriche: sarà dunque fondamentale regolare la loro produzione incorporando aspetti ambientali, di sostenibilità e di economia circolare.

Cosa sono le terre rare?

Le terre rare (rare-earth elements, REE) sono un insieme di 17 elementi della tavola periodica di Mendeleev ampiamente utilizzati in moltissimi ambiti industriali, da quello energetico a quello elettronico. All’interno di questa famiglia troviamo scandio, ittrio, lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio e lutezio.

Le terre rare fanno parte delle materie prime critiche, che comprendono in tutto 34 elementi indicati dall’UE come di vitale importanza per la transizione energetica e digitale. Queste sono: terre rare, alluminio, carbone da coke, litio, fosforo, antimonio, feldspato, scandio, arsenico, fluorite, magnesio, silicio metallico, barite, gallio, manganese, stronzio, berillio, germanio, grafite, tantalio, bismuto, afnio, niobio, titanio metallico, boro, elio, platinoidi, tungsteno, cobalto, fosforite, vanadio, rame e nichel. In base al peso atomico degli elementi, le terre rare vengono classificate come leggere o pesanti.
Quando furono scoperti, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, questi 17 elementi erano presenti in minerali complessi e difficili da separare. Quindi il termine “rare” derivava dalla loro scarsità in forma pura e dalla difficoltà di isolarli tramite le tecnologie dell’epoca.

Il termine “terre” invece si riferisce al fatto che i primi composti di questi elementi furono ottenuti sotto forma di ossidi (che venivano chiamati proprio “terre”, in chimica mineraria).
Anche se si chiamano terre rare in realtà sono metalli, e non sono affatto rari. Piuttosto, a essere rari sono i giacimenti economicamente sfruttabili e soprattutto quelli ricchi di terre rare pesanti, un El Dorado per la transizione energetica che vedrà le fonti rinnovabili di energia prevalere sempre di più su quelle fossili.

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 Tavola periodica, European Chemical Society.

Materie prime critiche e transizione energetica

Sentiamo parlare spesso di materie prime critiche e strategiche, perché sono la base di diversi componenti essenziali per la transizione digitale ed energetica. Alcune di queste risorse infatti sono indispensabili per la realizzazione e il funzionamento di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e veicoli elettrici. Di conseguenza, queste materie hanno una rilevanza sempre maggiore nell’economia mondiale.

Per dare un riferimento più concreto partiamo da un oggetto diventato ormai di uso comune: lo smartphone. In ogni cellulare si trovano diverse parti componenti provenienti da giacimenti minerari: complessivamente ci sono in media 9 grammi di Rame, 11 grammi di Ferro, 250 milligrammi di Argento, 24 milligrammi di Oro, 9 milligrammi di Palladio, 65 grammi di plastica e 1 grammo di un mix di terre rare, per la precisione Praseodimio, Neodimio, Cerio, Lantanio, Samario, Terbio, Disprosio. Nella batteria al Litio del cellulare, invece, sono contenuti 3.5 grammi di Cobalto e un altro grammo di terre rare.

Ma è soprattutto con l’elettrificazione delle automobili che l’esistenza e l’impiego delle terre rare sta diventando un argomento saliente anche al di fuori delle cerchie di esperti ed esperte. Senza le terre rare, insomma, non si potrebbe parlare di mobilità sostenibile e di energia rinnovabile.

Tuttavia l’estrazione, la lavorazione, la raffinazione e la purificazione delle terre rare è un processo complesso, che necessita di tecnologie e capacità industriali ancor più rare degli elementi stessi, e per giunta con un impatto ambientale significativo.
Le sostanze attraversano una numerosa serie di passaggi che coinvolgono in più stadi sostanze chimiche potenzialmente nocive e filtraggi, e che generano consistenti scarti tossici, con un costo ambientale potenzialmente elevatissimo: è stato calcolato che la lavorazione di una tonnellata di metalli delle terre rare produce circa 2.000 tonnellate di rifiuti tossici.

Probabilmente la domanda di questi metalli e minerali subirà un aumento del 500% entro il 2050: stando alle stime contenute in Metals for Clean Energy, studio pubblicato dall’Università KU Leuven e commissionato da Eurometaux, rispetto ai consumi attuali e comunque entro il 2050, la transizione energetica in Europa richiederà ogni anno +33% di Alluminio, +35% di Rame, +3500% di Litio, + 100% di Nichel, +45% di Silicio, + 330% di Cobalto.

Previsione di crescita della domanda di batterie a livello globale da materie prime lavorate. Credits: JRC analysis

 Previsione di crescita della domanda di batterie a livello globale da materie prime lavorate. Credits: JRC analysis

Aspetti geopolitici

Attualmente la Cina non solo è il primo produttore di ossidi di terre rare (circa il 70% della produzione mondiale), ma controlla soprattutto le fasi di raffinazione e lavorazione con oltre l’85% della capacità mondiale di separazione e purificazione.

Ciò significa che, anche quando altri Paesi estraggono materie prime, spesso devono inviarle in Cina per il processo di raffinazione finale, dato che altrove mancano impianti su scala comparabile.

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Paesi fornitori di materie prime critiche per l’UE. Credits: Euopean Commission

La maggior parte delle risorse che circolano nell’Unione Europea è importata da Paesi terzi. Ad esempio, il 97% del magnesio e quasi la totalità delle terre rare arriva dalla Cina. Il niobio, un materiale essenziale per la produzione delle leghe metalliche dei motori dei razzi e per i magneti superconduttori degli acceleratori di particelle e delle apparecchiature a risonanza magnetica nucleare, è importato principalmente dal Brasile (85%) e dal Canada (13%). Il Congo, invece, produce oltre il 64% del cobalto in circolazione su scala mondiale.

Questi numeri evidenziano l’alta vulnerabilità del mercato, dell’industria e dell’economia dell’UE in caso di improvvisa interruzione delle forniture di materie prime critiche. La crisi energetica innescata dalla guerra tra Russia e Ucraina è un esempio recente dei rischi associati alla dipendenza di risorse provenienti da Paesi terzi.

Le politiche europee

Per far fronte a questi squilibri geopolitici e alle criticità dovute dalla dipendenza da pochi Paesi produttori, l’Europa ha adottato, a partire da marzo 2024, il Regolamento sulle materie prime critiche (Critical Raw Materials Act – CRMA).  Si tratta di un tentativo di risposta normativa alla vulnerabilità emersa con forza negli ultimi anni: la dipendenza da fornitori extraeuropei, in particolare dalla Cina, per l’accesso a materiali fondamentali per la transizione energetica e la difesa.

Questo regolamento fissa alcuni obiettivi che mirano a garantire approvvigionamenti sicuri e sostenibili entro il 2030, come la diversificazione delle fonti, la riduzione della dipendenza dai singoli Paesi, il potenziamento della capacità estrattiva, della raffinazione e del riciclo all’interno dell’UE.

Gli obiettivi fissati per il 2030 sono decisamente ambiziosi:

  • Almeno il 10% del fabbisogno annuo dell’UE deve provenire da estrazione interna.
  • Almeno il 40% deve essere lavorato e raffinato nell’UE.
  • Almeno il 15% deve provenire da riciclo.
  • Nessuna singola fonte extra-UE deve fornire più del 65% di una qualsiasi materia critica.

L’Italia, nonostante la presenza di circa 900 siti minerari storici, al momento è sostanzialmente ferma per quanto riguarda l’estrazione. Ha ottenuto l’approvazione solo di quattro progetti strategici tutti orientati al riciclo dove, insieme ai minerali critici più ambiti – come litio, rame, cobalto, nichel, platino – ci sono anche alcune terre rare.

Impatti ambientali e sociali

Questi materiali sono essenziali per la transizione energetica e l’abbandono dalle fonti fossili, ma è bene considerare le implicazioni per l’ambiente.Esistono diverse tecniche per estrarre e isolare le terre rare dai loro giacimenti, ma una delle più utilizzate è quella “idrometallurgica”. Quest’ultima può essere divisa nei seguenti passaggi:

  • dissoluzione, estraendo le terre rare dalle rocce tramite l’utilizzo di acidi;
  • separazione, quando si separano tra loro le differenti REE per formare soluzioni concentrate;
  • generazione, ovvero il momento in cui otteniamo il prodotto finale, il concentrato di ciascuna terra rara.

Per essere separate dagli altri minerali, le terre rare devono essere disciolte a più riprese in acidi, filtrate e infine pulite attraverso un procedimento incredibilmente inquinante. La loro lavorazione, fra le altre cose, rilascia prodotti di scarto tossici e radioattivi che troppo spesso non vengono correttamente smaltiti. Tutto questo fa in modo che le aree interessate dalla produzione di terre rare diventino luoghi fortemente inquinati con conseguenze sull’ambiente, sulla qualità dell’acqua e sulla salute delle persone che abitano in prossimità delle miniere.
Questi processi sono inoltre complici della distruzione degli habitat e della perdita di biodiversità. La lavorazione delle terre rare richiede poi un notevole consumo di energia, che se proviene da fonti fossili comporta emissioni di gas serra.

In numerose regioni, questi processi hanno già avuto conseguenze evidenti sull’ambiente e sulla vita delle persone.
In Cile, ad esempio, l’estrazione del litio sta determinando il cedimento del sottosuolo nelle regioni in cui sono stati aperti i siti minerari: il processo utilizzato, infatti, consiste nel far evaporare l’acqua, entro cui è contenuto “l’oro bianco”, che non si trova in superficie ma che viene appositamente estratta dalle falde acquifere sotto terra, facendo venir meno la loro permeabilità e causando lo sprofondamento del terreno. 
In Congo l’estrazione di cobalto, che non è una terra rara ma fa comunque parte delle “materie prime critiche”, ha enormi costi ambientali ma soprattutto umani: oltre all’inquinamento causato dall’attività mineraria, si stima che quasi quarantamila minori lavorino nelle cave (spesso di proprietà cinese) in condizioni disumane.

Le problematiche legate all’uso di questi materiali erano già note negli anni ‘70 e ‘80: in quegli anni, infatti, negli Stati Uniti questa industria aveva subito una battuta d’arresto a seguito dell’adozione di legislazioni più stringenti sull’ambiente, emanate da Nixon per via di casi di inquinamento radioattivo. Oggi, la dipendenza da questi elementi con l’avanzamento della tecnologia odierna sembra portarci a non prendere più in considerazione le conseguenze che l’estrazione e la lavorazione di questi materiali hanno sull’ambiente e sulla salute umana, anche a causa della loro attuale delocalizzazione in Paesi terzi.

Prospettive circolari

Negli ultimi anni diverse multinazionali hanno lavorato ad approcci di produzione più sostenibili, idonei a limitare le scorie e i prodotti di scarto tossici per l’ambiente. Si tratta tuttavia di ricerche che richiedono ingenti quantità di investimenti e che, fino ad ora, le imprese hanno condotto per lo più in perdita, sussidiate dai governi centrali per evitare il fallimento.
La soluzione più efficace continua ad essere l’investimento in ricerca e sviluppo: solo così si avrà maggiore probabilità di trovare un equilibrio fra le esigenze della transizione verde, la salute delle popolazioni locali e la sostenibilità ambientale.

Vista la crescita esponenziale della domanda di questi materiali nei prossimi anni, sembra necessario abbracciare il paradigma dell’economia circolare e del riuso, riciclando le componenti tecnologiche ancora utilizzabili anziché procurarsene di nuove, e garantendo il diritto alla riparazione.
Diventa quindi centrale il tema dello sfruttamento intelligente di queste risorse preziose che deve conciliare l’estrazione mineraria responsabile con l’uso efficiente e circolare di ogni possibile materiale.

Al fine di mitigare i rischi ambientali e garantire una fornitura sostenibile di materie prime critiche, alcuni Paesi stanno cercando di sviluppare nuove fonti di approvvigionamento, aumentando la produzione interna o cercando alternative.
Inoltre, vengono intraprese iniziative per il riciclo e il recupero delle terre rare dai prodotti in disuso, al fine di ridurre la dipendenza dalle nuove estrazioni. Parallelamente, si stanno conducendo ricerche per lo sviluppo di tecnologie alternative che possano sostituire le REE o ridurne la quantità utilizzata.

Tuttavia, a livello globale il tasso di circolarità di tutti i materiali è solo del 7,2%. L’Europa è leggermente più virtuosa ma siamo comunque intorno all’11%, ben lontani dall’obiettivo di raggiungere il 23% entro il 2030.

L’inganno dell’era immateriale

Oggi si ha l’impressione di vivere in un’era di dematerializzazione: la rivoluzione digitale ci sta dando la falsa impressione di aver alleggerito la nostra impronta materiale sul mondo. In realtà, però, siamo ancora dipendenti dalle risorse materiali.

Non passiamo molto tempo a pensare alla nostra connessione con il mondo che ci circonda e sempre meno persone sono fisicamente coinvolte nella filiera che va dalla materia prima al prodotto finale. Ma la materia è base dell’economia anche quando intangibile, come nel digitale. Questo uso rimane ancora prettamente legato all’estrazione di materia grezza. L’escavazione e la lavorazione delle risorse materiali (combustibili fossili, minerali e biomassa) sono responsabili del 55% delle emissioni di gas serra, e del 40% di particolato a livello globale.La criticità delle materie prime è dunque più umana che fisica. Sono materie “critiche” per noi, per le nostre vite e per come decideremo di usarle, ma soprattutto per le scelte future che si spera vedranno una loro gestione più responsabile e sostenibile.

Articolo a cura di Lorena Piccinini, coordinatrice della sezione Clima ed Educazione di Italian Climate Network.

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