CLIMA E CURA: DALL’INDIVIDUALISMO ALLA SOLIDARIETÀ COLLETTIVA
Per la rubrica Caleidoscopio, questo mese affrontiamo il tema della cura, intesa come l’attenzione che dedichiamo alle relazioni con l’altro e con l’ambiente in cui viviamo, e del ruolo delle donne in questo ambito. In particolare, in questo articolo proseguiamo con le nostre riflessioni femministe concentrandoci sul rapporto interdipendente tra le donne e la nozione di cura traendo spunti dal libro di Catherine Rottenberg “L’ascesa del femminismo neoliberista”, e dalle proposte femministe di Nancy Fraser, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattachrya nel “Femminismo per il 99% – Un manifesto”.
Il legame tra la questione di genere e i cambiamenti climatici presenta prospettive complesse, che si arricchiscono di significati diversi quando osserviamo le donne di piccole comunità indigene e quelle provenienti da contesti occidentali, spesso delle classi più agiate.
Nel precedente articolo della rubrica abbiamo incontrato le donne del popolo Sami per comprendere l’importanza di preservare il sapere indigeno da fenomeni che comportano un’alterazione del patrimonio culturale locale.
Proseguendo con le riflessioni femministe sino ad ora sviluppate, questo articolo si concentra sul rapporto interdipendente tra le donne e la nozione di cura, in particolare recuperando le riflessioni di Catherine Rottenberg, professoressa associata presso il Dipartimento di studi americani e canadesi all’Università di Nottingham e autrice del libro “L’ascesa del femminismo neoliberista”, e le proposte femministe di Nancy Fraser, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattachrya autrice del “Femminismo per il 99% – Un manifesto”.
Per cura si intende l’attenzione che dedichiamo alle relazioni con l’altro e con l’ambiente in cui viviamo. Le donne infatti, storicamente e culturalmente, sono portatrici di valori legati alla solidarietà, al sostegno della comunità cui appartengono, e alla sostenibilità ambientale. L’approccio alla cura è un aspetto fondamentale delle strategie sviluppate in risposta ai cambiamenti climatici, finalizzate a promuovere una maggiore responsabilità e attenzione ai bisogni e diritti delle persone più vulnerabili, oltre che alla salvaguardia del pianeta e delle sue risorse. Gli effetti della crisi climatica, infatti, colpiscono in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili e mettono a rischio gli ecosistemi, dalla cui salute dipende la nostra stessa sussistenza e che vanno curati e preservati.
Per tali motivi, l’approccio alla cura è stato un tema di rilievo nei negoziati sul clima che si sono tenuti nel corso della COP29 a Baku, in occasione delle discussioni in materia di giusta transizione (aventi ad oggetto il cosiddetto ‘Just Transition Work Programme’) – ossia il filone dedicato al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione attraverso una transizione equa e sostenibile e senza escludere le comunità più vulnerabili (ne abbiamo parlato qui). In tale occasione, le Parti hanno poi deciso di rimandare i relativi lavori sul testo ai negoziati intermedi, che si terranno a Bonn nel giugno 2025.
Tuttavia, i gruppi della società civile dedicati alla promozione delle considerazioni di genere nelle politiche climatiche hanno insistito e ottenuto l’inserimento esplicito nel testo del concetto di ‘economia del lavoro di cura’ (care (work) economy). Lavoro tanto fondamentale quanto tradizionalmente disconosciuto, e di conseguenza senza valore per le società neoliberiste, dove il termine valore è legato alla capacità di generare profitto.
“United Arab Emirates just transition work programme”, paragraph n. 18
[…] “that multi-stakeholder, people-centric, bottom-up, whole-of-society approaches are required to achieve just transitions and recognizes the importance of education systems and skills development, including through upskilling and reskilling, labour rights and social protection systems, and of consideration of the informal sector, the care economy, unemployed people and future workers for ensuring a just transition of the workforce”.
“Care (work) economy” Secondo un report della UN Women ‘What is care economy?’ Per care (work) economy si intende quel settore che si occupa della fornitura di cure e servizi che contribuiscono al benessere e alla riproduzione delle popolazioni attuali e future. Con ciò si include il lavoro di cura sia all’interno del settore formale (regolamentato e remunerato) che informale (familiare/sociale e scarsamente regolamentato e retribuito). Questo si estrinseca tipicamente in servizi di assistenza all’infanzia, assistenza agli anziani, istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali domestici, ma può comprende tutte le attività necessarie per mantenere, continuare e prendersi cura del mondo che ci circonda, affinché sia possibile viverci nel miglior modo possibile. |
Non è una novità che le donne rappresentino una delle categorie più vulnerabili, subendo impatti più significativi sul loro benessere economico e non, sul loro progresso e sulla capacità di autodeterminazione. Tuttavia, non sempre è apprezzato e riconosciuto il ruolo cruciale che le stesse svolgono nelle società di oggi, dalla sfera privata a quella collettiva.
Il prendersi cura viene considerato come quell’insieme delle attività retribuite e non, che sostengono e provvedono alla società e all’ambiente in cui viviamo. La maggior parte di questo lavoro è storicamente in capo alla figura femminile in quanto l’unica capace di generare i nuovi membri della società, un ruolo che l’ha tradizionalmente collocata al centro delle dinamiche familiari e sociali. Questo compito tuttavia non si limita alla sfera familiare, poiché la cura dei figli si riflette nella comunità stessa e ne determina il benessere e la sopravvivenza, sebbene la sfera pubblica sia stata per lungo tempo dominata dagli uomini, con le donne spesso escluse da decisioni politiche ed economiche che riguardano proprio la comunità.
La riproduzione sociale Il ruolo della donna è tradizionalmente collegato alla sua funzione riproduttiva. La riproduzione è un presupposto fondamentale della sussistenza della società umana, tuttavia nelle società neoliberiste ne viene disconosciuta l’importanza relegando chi svolge il lavoro sociale riproduttivo in una posizione di subordinazione. La donna deve spesso scegliere il compromesso di un lavoro poco remunerativo, o meno remunerativo di eventuali compagni e mariti, senza grandi prospettive di carriera. Secondo la filosofa statunitense Nancy Fraser, questo rimanda a una contraddizione interna del sistema neoliberista, che necessita del lavoro riproduttivo delle donne per la sua stessa sussistenza (ossia della produzione della ‘forza lavoro’ necessaria al lavoro produttivo), ma non si preoccupa di tutelarlo. Lo dà per scontato e lo svilisce rispetto al lavoro produttivo, generando una relazione dicotomica tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, che pone in posizione di svantaggio le persone chiamate a svolgere il secondo. La stessa attività riproduttiva viene definita “cura” in opposizione al “lavoro”, quasi a implicare una minor considerazione delle capacità necessarie. |
In un intervento alla COP29 sul clima l’attivista kenyota Violet Shivutse ha portato come esempio le donne della sua comunità, che hanno contribuito attivamente alla bonifica di alcune aree contaminate da industrie petrolifere per poi coltivare il cibo necessario a nutrire i loro figli e le loro famiglie. Questi terreni poi, ha denunciato Shivutse, sono stati sottratti loro per far spazio a progetti legati alla produzione di energia senza nemmeno consultarle. Questo esempio restituisce un’immagine delle dinamiche cui le donne sono soggette: non solo non viene loro riconosciuto l’inestimabile lavoro di cura svolto (a livello familiare, ma anche di comunità e ambientale) ma vengono anche private delle possibilità di godere dei frutti del loro lavoro e spogliate di ogni capacità decisionale al riguardo.
La distinzione tra sfera pubblica e sfera privata rimanda a un altro argomento, che è sempre stato oggetto della lotta femminista ma mai come negli ultimi anni era stato portato alla luce e sostenuto con tanto fervore da figure femminili di alto profilo. Si tratta del tema delle cosiddette “superdonne”, ossia il raggiungimento di un equilibrio tra il lavoro e famiglia, tra l’essere una professionista dedita al lavoro e una madre presente.
Nell’ultimo decennio si è osservato un crescente interesse verso queste figure, emerse soprattutto a partire dagli Stati Uniti con le dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici definitesi apertamente femministe, da Emma Watson alla direttrice di Facebook Sheryl Sandberg. Queste dichiarazioni hanno dato vita a una corrente femminista più mainstream e sotto i riflettori dei media rispetto a quanto non fosse mai successo prima, dove le donne sono forti, individualiste, efficienti e con un’attitudine imprenditoriale, incoraggiate a concentrarsi su sé stesse e sulle proprie aspirazioni in una sorta di fusione tra femminismo e neoliberismo.
Questa nuova corrente, definita per l’appunto “femminismo neoliberista”, genera al contempo diffidenza nelle studiose femministe. In particolare, Catherine Rottenberg osserva come termini chiave – quali “eguaglianza”, “emancipazione” e “giustizia sociale” – siano stati sostituiti da “conciliazione vita-lavoro”, e “farsi avanti” (lean-in).
Secondo Rottenberg, Il femminismo neoliberista nasce per dar voce principalmente a un limitato numero di donne privilegiate (per lo più bianche) che ricoprono posizioni manageriali e appartengono già a uno strato sociale in cui l’empowerment economico è possibile. Il femminismo neoliberista finisce quindi per promuovere la meritocrazia più che l’eguaglianza, ponendo l’accento sull’atteggiamento individualista alla base del successo e sull’autosufficienza della donna a livello personale e professionale, anziché sul cambiamento delle strutture che perpetuano le disuguaglianze di genere.
La rottura del soffitto di cristallo
Nel femminismo neoliberista, l’espressione “rompere il soffitto di cristallo” si riferisce all’idea di superare le barriere invisibili e sistemiche che impediscono alle donne di accedere a posizioni di potere, di leadership o di successo. Le barriere sono frutto di stereotipi di genere, pratiche istituzionali o culturali che limitano le pari opportunità. Nel contesto del femminismo neoliberista, tuttavia, questa metafora viene intesa come un appello a promuovere il successo individuale delle donne, incoraggiandole a “scalare” le gerarchie professionali attraverso il talento, invece di promuovere un cambiamento radicale delle strutture sociali da cui tali barriere derivano.
La critica a tale tipologia di femminismo è mossa dal fatto che lo stesso ignora o minimizza il ruolo delle disuguaglianze strutturali, come la discriminazione salariale o la mancanza di servizi di supporto per la cura della collettività. Di conseguenza, non punta a risolvere le disparità di genere per tutte le donne, ma al contrario dà voce a coloro che partono da una posizione privilegiata da un punto di vista sia economico che sociale. Proprio le stesse, talvolta, riescono a conciliare l’ambito familiare con la loro personale scalata verso ruoli di leadership proprio grazie all’aiuto che ricevono da altre donne, provenienti da realtà meno agiate.
Tale individualismo di fondo si contrappone agli obiettivi propri dei movimenti femministi, ma anche di quelli antirazzisti e ambientalisti, che vogliono scardinare le disuguaglianze strutturali in seno alla società, a beneficio dell’intera collettività. Come più volte sottolineato, questo dovrebbe essere anche l’obiettivo delle politiche climatiche per garantire una giustizia climatica.
Siamo per la pedata di dietro
Nel “Femminismo per il 99% – Un manifesto” le autrici propongono, in risposta al femminismo ‘del farsi avanti’, quello che definiscono come il femminismo ‘della pedata da dietro’. “Non ci interessa rompere il ‘soffitto di cristallo’ per poi lasciare la maggior parte delle donne a raccogliere i frammenti di vetro – scrivono -. Invece di celebrare le donne amministratrici d’azienda che occupano uffici della dirigenza, preferiamo sbarazzarci degli uffici e dei consigli di amministrazione”.
Questo diverso approccio vuole garantire che il femminismo sia autenticamente inclusivo e si occupi delle problematiche che riguardano possibilmente tutte le donne, non solo quelle che aspirano a ricoprire posizioni di potere nelle grandi imprese private, diventando a loro volta strumenti del sistema neoliberista.
Riconoscendo la centralità delle donne per il benessere e la sostenibilità, attraverso le politiche climatiche è possibile riconfigurare sia la sfera pubblica che quella privata in considerazione del valore delle attività di cura svolte dalla donna, considerate nella loro accezione più ampia.. A oggi il percorso per arrivare a tale rimodellamento – affinché non si debba parlare di “conciliazione felice” tra famiglia e lavoro – è lungo e lontano, e il peso derivante dalla necessità di destreggiarsi tra esigenze spesso contrapposte, è tutt’altro che appannaggio di poche.
Pertanto, è necessario che le politiche climatiche tengano estremamente conto del ruolo centrale della work (care) economy e della donna come prima dispensatrice di cura, guardandosi bene dall’esaltazione di figure di leadership femminile che promuovono l’individualismo a discapito del collettivismo.
Articolo a cura di Martina Compagnucci, Volontaria della sezione Diritti e Clima di Italian Climate Network.
Questo articolo fa parte de Il Caleidoscopio, la rubrica di approfondimenti che punta a chiarire teorie e riflessioni sviluppate dal movimento femminista, calandole nel contesto delle tematiche legate al clima per capire meglio le richieste e i concetti di azione climatica e giustizia climatica. Come il caleidoscopio restituisce immagini plurime sempre diverse, le nostre riflessioni femministe vogliono restituire un’immagine pluriversale del mondo e fornire strumenti utili a renderlo più equo, inclusivo, giusto e sostenibile.
Direzione e Coordinamento di Erika Moranduzzo, Coordinatrice della Sezione Diritti e Clima di Italian Climate Network.
Fonti:
- L’ascesa del femminismo neoliberista. Catherine Rottenberg
- Femminismo per il 99% – Un manifesto. Nancy Fraser, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattachrya
- Care work in the just transition providing for People and Planet – Policy brief. UNRISD, Center for Environmental Justice, CISPAC, USC