CLIMATE AMBITION SUMMIT: DA VERTICE DELL’AMBIZIONE A SUMMIT DELLA SPERANZA
Italian Climate Network ha seguito direttamente gli eventi della settimana di alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, in particolare l’SDG Summit: il bilancio di metà percorso nel conseguimento dell’Agenda 2030 con i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG). L’SDG 13, la lotta ai cambiamenti climatici, è uno degli obiettivi centrali, avendo ripercussioni su tutti gli altri goal.
La centralità dell’azione per il clima nell’Agenda è dimostrata anche dalla scelta di António Guterres, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, di indire il Climate Ambition Summit (20 settembre) durante la settimana dell’Assemblea Generale. Per partecipare al vertice i leader dei Paesi, dei governi locali e delle istituzioni finanziarie avrebbero dovuto dimostrare progressi concreti in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. La speranza era quella di incentivare così un incremento dell’ambizione e nuovi impegni come, ad esempio, l’aggiornamento degli obiettivi climatici nazionali (NDC[1]) per il 2030 o il 2050, scadenze per l’abbandono definitivo dei combustibili fossili e nuovi apporti al Fondo verde per il clima dell’ONU.
Noto per i suoi appelli accorati, Guterres ha inaugurato il summit lanciando un monito ai leader presenti: «L’umanità ha aperto le porte dell’inferno». Anche stavolta, il segretario generale dell’ONU non ha risparmiato le critiche verso i progressi attuali, largamente insufficienti rispetto alla portata della sfida che dobbiamo affrontare. I Paesi più poveri hanno «il diritto di essere in collera», ha detto, a causa della scarsa ambizione dei più ricchi, della penuria di finanziamenti per il clima e dei costi sempre più crescenti per far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici.
Guterres ha poi ricordato la sua Acceleration Agenda presentata a inizio anno, che include dei punti di intervento concreti per ridurre drasticamente le emissioni, garantire la giustizia climatica e proteggere le vite umane e i mezzi di sussistenza. Tra questi:
- abbandonare l’energia alimentata a carbone: entro il 2030 per i Paesi dell’OCSE, ed entro il 2040 nel resto del mondo;
- eliminare tutte le sovvenzioni ai combustibili fossili;
- riformare le Banche multilaterali di sviluppo per sostenere l’azione per il clima;
- stanziare nuovi finanziamenti per il Fondo verde per il clima e onorare l’impegno di erogare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020;
- rendere operativo a COP28, la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, il Fondo per le Perdite e i Danni.
Nonostante l’iniziativa lodevole di indire un summit volto a spronare maggiori progressi, l’iniziativa sembrava già una battaglia persa in partenza e, purtroppo, ha nel complesso confermato le previsioni più pessimiste. Come nel caso dell’SDG Summit del 18-19 settembre, pochissimi leader hanno annunciato nuovi impegni e i più ambiziosi si sono rivelati – ancora una volta – i Paesi in via di sviluppo. Infatti, molti di questi hanno già degli NDC in linea con l’obiettivo di mantenere sotto 1,5°C l’aumento delle temperature medie globali rispetto all’era preindustriale – come emerge dalle analisi del Climate Action Tracker. Nonostante molti di questi siano responsabili solo in minima parte delle emissioni globali, mostrano un livello di ambizione di gran lunga superiore a quello dei maggiori emettitori. Tuttavia, a causa delle loro scarse risorse finanziarie spesso dipendono dal sostegno economico delle nazioni più ricche.
Basti pensare a Tuvalu, il piccolo Stato insulare tra i più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, che ha annunciato di star lavorando insieme ad altri Paesi del Pacifico, al Parlamento Europeo e all’Organizzazione mondiale della sanità a un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili che andrebbe a integrare l’Accordo di Parigi.
Un altro esempio è l’ormai celebre Primo ministro delle Barbados, Mia Mottley, che con la sua Bridgetown Agenda è riuscita ad avviare il dibattito, atteso da troppo tempo, sulla necessità di riformare il sistema finanziario internazionale. Proprio Mottley è intervenuta al Summit per condannare aspramente l’industria dei combustibili fossili.
Tra i pochi leader occidentali a essere invitati al Climate Ambition Summit, segno di un impegno concreto nell’accelerare i progressi, c’è stata la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. L’UE è, infatti, una delle poche realtà ad avere un NDC sancito dalla legge, e i suoi impegni di riduzione delle emissioni e di finanza internazionale sono tra i più ambiziosi, seppur ancora insufficienti. Come ha ricordato von der Leyen, l’UE è parte di una coalizione (insieme alla Presidenza COP28, Mia Mottley, e il Presidente del Kenya William Ruto) che mira a concordare, alla COP28 di Dubai, un target triplicato della produzione di energia da fonti rinnovabili e il raddoppio dell’efficienza energetica entro il 2030. In occasione del vertice, l’UE si è inoltre impegnata ad aumentare il proprio contributo di finanza climatica per il 2023, che dovrà crescere di 2 miliardi di euro rispetto al 2022.
Nuovi impegni sono arrivati anche dalla Spagna, che ha stanziato 225 milioni di euro per la prossima ricostituzione del Fondo per il clima, e dal Canada, che ha promesso 700 milioni di dollari in diritti speciali di prelievo per i Paesi in via di sviluppo[2].
Ad attirare l’attenzione è stata l’assenza dei maggiori emettitori di gas serra: nonostante i progressi compiuti da Joe Biden, gli impegni degli Stati Uniti sono ancora ritenuti insufficienti rispetto alla loro responsabilità storica, motivo per cui non si sono “qualificati” per il summit. Escluse anche Cina e India.
Tra i Paesi del G20, solo Brasile, Canada, Francia, Germania, Sud Africa e UE sono stati ammessi. Proprio Guterres si è detto deluso dalla mancata leadership del gruppo delle maggiori economie mondiali, emersa anche in occasione dell’ultimo summit in India: le divisioni geopolitiche impediscono tuttora di raggiungere un compromesso.
Tuttavia, l’ambizione di alcuni partecipanti indicherebbe che non tutto è perduto. Come ha concluso il Segretario Generale, «questo summit è iniziato come il summit dell’ambizione, e credo che finisca come summit della speranza».
È ancora possibile ridurre le emissioni per rientrare nel limite di +1,5°C. Il prossimo grande evento dell’anno, la COP28, con il primo Bilancio mondiale dei progressi dell’Accordo di Parigi, è l’occasione di affrontare finalmente il vero problema alla radice e concordare l’abbandono di tutti i combustibili fossili. al momento, purtroppo, le premesse non sono promettenti: la Presidenza COP emiratina ha ribadito, proprio al Summit voluto da Guterres, la propria strategia focalizzata sull’espansione delle energie rinnovabili e sull’abbandono dei fossili le cui emissioni non siano compensate, il che lascia spazio a greenwashing e soluzioni sperimentali come il sequestro del carbonio. Ma la speranza rimane.
Articolo a cura di Teresa Giuffrè, Volontaria Italian Climate Network
Foto di copertina: di Teresa Giuffrè
Note:
[1] Nationally determined contributions = Contributi determinati a livello nazionale
[2] Una valuta utilizzata dal Fondo monetario internazionale, che permette alla banca centrale di un Paese in crisi di avere accesso a riserve in valuta estera scambiando i propri DSP con una banca centrale che ha eccedenza di valuta estera. Le quote di DSP sono distribuite in base alla quota versata al FMI, e pertanto i Paesi che più ne avrebbero bisogno ne hanno un minor numero