VENTI DI GUERRA E QUESTIONI D’AGENDA
Con quasi due ore di ritardo rispetto al programma, ha preso il via a Sharm El-Sheikh la COP27, ventisettesima edizione del vertice annuale sul clima delle Nazioni Unite. Come da prassi la COP è stata aperta dal Presidente uscente, il britannico Alok Sharma, che ha poi ceduto la presidenza al Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, nuovo Presidente della COP.
Nel suo discorso di congedo, Sharma ha voluto ribadire e rivendicare i risultati raggiunti – a suo dire – un anno fa in Scozia con il Glasgow Climate Pact, documento politico finale della COP26: raddoppio dei fondi per l’adattamento, presentazione di nuovi impegni nazionali fino addirittura alla prospettiva (nel caso in cui tutti gli impegni saranno rispettati) di rimanere entro i +2°C di riscaldamento medio globale entro la fine del secolo, ipotesi ben fuori dagli scenari prima di COP26. Ma sarebbe merito della COP26 e della presidenza britannica anche, ha detto il Presidente uscente, l’aver “aperto la strada sul tema delle Perdite e Danni” oltre a “importanti passi avanti sulla questione della finanza climatica”. Visto l’esito politico di COP26, con i Paesi del Sud del mondo profondamente contrariati dall’apparentemente irrisolvibile questione della mancanza di fondi e solidarietà finanziaria dal Nord sviluppato, Sharma potrebbe aver voluto dire che quello scontro finale sul testo del Glasgow Climate Pact possa aver aperto una strada, sì, ma tramite l’acuirsi dello scontro politico. Quale? Quella della non disponibilità a temporeggiare oltre da parte dei Paesi in via di sviluppo, come chiaramente emerso pochi mesi fa ai negoziati intermedi di Bonn. Nelle parole di Sharma, “a questo punto, la questione finanziaria può far funzionare il programma di lavoro o distruggerlo.”
Il neo-Presidente della COP Shoukry si è poi soffermato sul fatto che la Presidenza egiziana, sotto forte spinta dei Paesi del Sud del mondo, abbia voluto inserire una discussione sulla possibilità di istituire uno strumento finanziario su perdite e danni nell’ordine del giorno dei lavori, cosa non scontata fino a poche settimane fa. Ha poi scaldato la sala l’intervento del nuovo Segretario Esecutivo della Convenzione ONU sul Clima, Simon Stiell. L’ex Ministro dell’Ambiente di Grenada ha puntato su un intervento fortemente emotivo, ripartendo dai motivi che lo hanno portato dall’attivismo alla politica a partire dalla sua storia personale, ribadendo in più passaggi che “con oggi inizia una nuova era” per il clima – vedremo quanto questa spinta personale influenzerà effettivamente i negoziati, nei quali il Segretariato ONU non ha quasi mai una reale influenza sull’agenda.
Si è, quindi, aperta la parte più formale della mattinata e la COP27 è diventata improvvisamente molto calda, anche politicamente. Affrontando il punto 2.g dell’ordine del giorno, i delegati erano chiamati ad esprimersi in merito all’adozione delle regole e procedure per la gestione di votazioni e discussioni. Alla proposta della presidenza di approvare una bozza di regolamento comunque incentrata sull’utilizzo estensivo dell’unanimità senza votazione palese (il cosiddetto consensus) come da sempre in ambito UNFCCC, il delegato del Bangladesh ha preso la parola a nome di molti Paesi in via di sviluppo per ribadire la necessità e l’urgenza – a 30 anni dal primo summit sul clima a Rio de Janeiro – di passare ad una nuova interpretazione del consensus come “largo consenso”, larga maggioranza dei presenti, e non più unanimità, pena il perenne rallentamento del processo. Il suo appello non è stato accolto e anche in questa COP ogni decisione sarà presa per assenza di opposizioni. Che, di fatto, significa unanimità.
Uno dei punti successivi toccava il tema caldo di Perdite e Danni, come detto inserito in agenda dalla presidenza egiziana contro molti pronostici. L’entusiasmo generato dall’inserimento in agenda è stato parzialmente mitigato dalla proposta del Presidente della COP, approvata, di specificare in forma scritta che la discussione in merito all’eventuale istituzione di strumenti finanziari (fondi) a copertura di Perdite e Danni “non pregiudicherà ulteriori discussioni dopo COP27” (quindi aprendo a tempi più lunghi), “non includerà responsabilità singole e compensazioni” (leggi riparazioni) e “include” i percorsi esistenti derivanti da COP26, in particolare i Glasgow Dialogues ritenuti di fatto inutili dai Paesi in via di sviluppo. Positivamente, invece, si è proposto (e approvato) di arrivare comunque ad una decisione sul tema non più tardi della fine del 2024. Ecco la nuova formulazione del punto 8.f all’ordine del giorno (nella sezione finanza climatica) per come oggi approvata:
“Matters relating to funding arrangements responding to loss and damage associated with the adverse effects of climate change, including a focus on addressing loss and damage”
(questioni relative ad accordi di finanziamento per rispondere a perdite e danni associate agli effetti avversi del cambiamento climatico, incluso un focus su come rispondere a perdite e danni)
A detta di esperti e osservatori, la scelta di ribadire il concetto della centralità di Perdite e Danni nel secondo (e apparentemente ripetitivo) periodo mette invece la questione al riparo da derive verso strumenti finanziari già esistenti su altri fronti, come mitigazione e adattamento. Lati positivi e negativi, insomma, ma il tema rimane in agenda tra le questioni finanziarie e si cominciano a delineare scadenze temporali: è anche compito della società civile, in queste due settimane, attuare massima pressione sulle delegazioni per non giungere all’ennesima non-decisione. Se non a clamorosi, ma pur probabili passi indietro.
In coda all’esame delle proposte sul tema di Perdite e Danni, si è assistito ad un episodio abbastanza singolare. Il Presidente Shoukry ha, infatti, dato la parola alla delegazione degli Emirati Arabi Uniti, ma a prendere la parola è stata la delegata dell’Ucraina. Nel suo intervento, come era lecito attendersi, la delegata di Kiev ha aspramente denunciato la Federazione Russa per i fatti bellici degli ultimi mesi, mantenendo però il discorso – provocatoriamente – nel solco del tema della reportistica e trasparenza sulle emissioni climalteranti e quindi sulla responsabilità, argomentando come un Paese parzialmente occupato da un altro non possa efficacemente produrre report e monitoraggi sulle zone occupate o di combattimento. Mentre la delegata parlava ha chiesto la parola la delegazione bielorussa, che poi però, quando era il proprio momento, non è intervenuta neanche a seguito di richiami del Presidente Shoukry, che infine – nessuna traccia degli emiratini – ha tolto la parola chiudendo il dibattito. Pur trovandoci in sala, non abbiamo potuto cogliere la dinamica dell’accaduto.
Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor e UNFCCC Contact Point Italian Climate Network