cop28 articolo 6 barbieri
09
Dic

IL MERCATO DEI CREDITI DI CARBONIO NON È UNA SOLUZIONE DURATURA ALLA CRISI CLIMATICA

Mai come in questa COP28 l’attenzione è stata così alta sul mercato dei crediti di carbonio. Tra venerdì 8 e sabato 9 dicembre le sale che hanno ospitato i negoziati sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi erano piene, e in molti casi bisognava addirittura aspettare fuori perché i posti disponibili erano finiti.

La ragione è chiara: in una COP la cui Presidenza è impegnata a spostare l’attenzione dal tema della mitigazione e dalla discussione sul “phase out” dei combustibili fossili, il mercato dei crediti di carbonio può rappresentare una facile via di uscita per la Presidenza emiratina. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (l’International Energy Agency IEA), e in linea con i science-based targets, per raggiungere la neutralità climatica i crediti di carbonio possono essere utilizzati solo per neutralizzare le emissioni residue.
Le emissioni residue sono quelle emissioni rimanenti (o “unabated) dopo che le emissioni totali di un Paese o di un attore non statale sono state ridotte almeno del 90% e non è più possibile tagliarle ulteriormente pur portando avanti tutte le azioni/soluzioni scientifiche e/o tecnologiche. Secondo la scienza, i crediti di carbonio possono quindi essere utilizzati solo per neutralizzare al massimo il 10% delle emissioni rimanenti di un Paese o attore non statale, mentre il 90% delle emissioni devono essere ridotte.

Tuttavia, l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi e le relative negoziazioni non specificano che percentuale di emissioni possano essere neutralizzate coi crediti di carbonio, aprendo la porta a interpretazioni poco ambiziose e alla possibilità di continuare a bruciare combustibili fossili, limitandosi a neutralizzare le relative emissioni

Per questa ragione venerdì 8 la Bolivia e il gruppo negoziale Like Minded Developing Countries (LMDC), di cui fanno parte per esempio India e Indonesia, hanno dichiarato di essere contro i crediti di carbonio e hanno affermato a gran voce che il mercato dei crediti di carbonio non è una soluzione duratura alla crisi climatica. La Bolivia ha quindi proposto una moratoria sui meccanismi di mercato sotto l’articolo 6 (articolo 6.2 e articolo 6.4), chiedendo uno stop delle funzioni di mercato sotto l’articolo 6.2 e l’articolo 6.4, e ha chiesto di mettere tutto il testo delle bozze tra parentesi. La moratoria della Bolivia è al momento contenuta nell’Annex II della bozza sull’articolo 6.4 circolata sabato mattina 9 dicembre. Qui si legge anche il motivo della moratoria: “il mercato delle emissioni è scientificamente e concettualmente incongruente con le basi della scienza sul cambiamento climatico”. 

Queste affermazioni hanno scatenato le reazioni dei Pesi sviluppati che hanno chiesto di continuare i lavori su articolo 6.2 e articolo 6.4 e hanno accusato la Bolivia di tenere il testo in ostaggio e vanificare i lavori fatti finora.

Inoltre la Bolivia ha affermato che è solo l’articolo 6.8 a rappresentare il vero spirito della cooperazione internazionale. 

Ricordiamo che l’articolo 6 ha tre filoni negoziali: 

  • Articolo 6.2 che regolamenta il mercato dei crediti di carbonio tra Paesi 
  • Articolo 6.4 che disciplina il mercato dei crediti di carbonio tra uno o più Paesi e attori non statali
  • Articolo 6.8 che regolamenta gli approcci non di mercato in riferimento ai crediti di carbonio

Inoltre ricordiamo che secondo l’Accordo di Parigi, l’obiettivo dell’articolo 6 è perseguire cooperazione volontaria con l’obiettivo di aumentare l’ambizione dei piani di mitigazione e di adattamento e di promuovere lo sviluppo sostenibile e l’integrità ambientale. 

Bisogna fare un ulteriore distinguo. I crediti di carbonio si generano in due modi: da progetti di rimozione della CO2 (removals) o da progetti di riduzione

I progetti di rimozione dell’anidride carbonica sono per esempio progetti di riforestazione o protezione di foreste esistenti, che la assorbono, o anche progetti di cattura e stoccaggio. 

I progetti di riduzione, invece, comprendono progetti legati alle energie rinnovabili o all’efficientamento energetico, e si basano su stime di comparazione tra due scenari, per esempio tra una situazione business as usual (impianto di energia non rinnovabile) e un impianto di rinnovabili. La stima delle emissioni “ridotte” generate dall’impianto di rinnovabili (in comparazione con un ipotetico impianto di non rinnovabili) può generare crediti di carbonio. Tuttavia, secondo la scienza solo i crediti generati da attività di rimozione possono essere utilizzati per neutralizzare le emissioni residue. I crediti generati da attività di riduzione non possono essere utilizzati per raggiungere obiettivi science-based

Veniamo però ai testi negoziali. 

Per quanto riguarda l’articolo 6.2:

  • Non si fa riferimento a quanto previsto dalla scienza: utilizzo di crediti esclusivamente per la neutralizzazione del 10% delle emissioni residue ed esclusivamente tramite progetti di rimozione di CO2.
  • Nell’articolo 1 si discute se l’approccio cooperative disciplinato sotto l’articolo 6.2 sia un accordo, un framework o un insieme di standard e procedure. Sembra che l’obiettivo sia elevare lo status di questo articolo ad accordo. Date le premesse condivise all’inizio di questo articolo non sarebbe una buona notizia.
  • La necessità di stabilire terminologie comuni su cosa si intenda per attività di riduzione e attività di rimozione è tra parentesi, ossia non c’è accordo. Ma senza questa definizione il rigore del sistema dei crediti sarebbe compromesso.
  • Non c’è accordo sul richiedere informazioni sul rischio di rilascio della CO2 una volta rimossa dall’atmosfera (reversal risk). Ricordiamo che, senza la prova scientifica che la CO2 rimossa rimanga permanentemente nei pozzi di carbonio (carbon sinks), il mercato dei crediti di carbonio sarebbe estremamente dannoso per il raggiungimento dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi
  • Non c’è menzione alla salvaguardia dei diritti umani e ai diritti delle Popolazioni Indigene e comunità locali che potrebbero subire impatti negativi a causa dei progetti di crediti di carbonio: ne abbiamo parlato qui.

Per quanto riguarda l’articolo 6.4: 

  • Si richiede di sviluppare un programma di lavoro che delinei distinzioni chiare tra le misure che includono attività di rimozione della CO2 e quelle che includono progetti di riduzione di gas serra. Questo è positivo perché aumenterebbe trasparenza e chiarezza.
  • Positiva la menzione ai diritti umani.

(Sull’articolo 6.4 abbiamo appena pubblicato, peraltro, un’analisi di dettaglio da Dubai sull’avanzamento dei testi negoziali: la trovate sul nostro sito).

E qui finiscono le buone notizie. Passiamo alle cattive:

  • Si discute se includere o meno le “emissioni evitate” (emissions avoidance). Innanzitutto serve una definizione chiara di cosa si intenda per “emissions avoidance”. La loro rendicontazione si basa su un sistema, basato su ipotesi, diverso da quello tradizionalmente usato per rendicontare le emissioni, che si basa sui dati. In mancanza di metodologie chiare su come rendicontare le emissioni evitate il rischio di double-counting o greenwashing sarebbe elevato.
  • Ci sono alcuni punti non chiari. Si parla di chiarire il rischio di rilascio della CO2 e di specificare se si tratti di rilascio evitabile (avoidable) o non evitabile (unavoidable), ma manca una definizione chiara di questi termini.
    Si chiede di spiegare il ruolo dei pozzi “buffer”, ma non si definisce che cosa siano. Alcune parti sabato hanno chiesto di eliminare la parola buffer perché estranea ai termini usati in relazione all’Articolo 6.
  • Nel testo c’è un riferimento a riconsiderare il sistema di rendicontazione tonnellata-anno (tonne-year) che alcuni stati stanno cercando di riportare in auge. Si tratta di un sistema di rendicontazione che tenta di misurare i benefici dello stoccaggio di carbonio a breve termine. Secondo il sistema, lo stoccaggio di 300tCO2 per 1 anno sarebbe considerato – secondo un utile esempio citato nel bollettino ECO di CAN – equivalente allo stoccaggio di 1tCO2e per 300 anni. Questo sistema di rendicontazione era stato accantonato dall’Organismo di Vigilanza dell’articolo 6.4, perché non basato su prove scientifiche.
  • Il piano è quello di lanciare il database sul meccanismo dell’articolo 6.4 entro il 2025 anche se molti punti rimangono ancora aperti.

Aspettiamo di vedere i testi che verranno consegnati e come proseguiranno le discussioni nei prossimi giorni. 

Articolo a cura di Margherita Barbieri, delegata di Italian Climate Network alla COP28.

Immagine di copertina: foto di Margherita Barbieri

You are donating to : Italian Climate Network

How much would you like to donate?
€10 €20 €30
Would you like to make regular donations? I would like to make donation(s)
How many times would you like this to recur? (including this payment) *
Name *
Last Name *
Email *
Phone
Address
Additional Note
Loading...