cop28 palestina VULNERABILI
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Dic

COP28, PAROLA AI PIÙ VULNERABILI: PALESTINA E MONDO INTERO AGGRAPPATI A UNA CHIAVE DI GAZA 

  • La Plenaria delle Persone a COP28 ha mostrato tutta la rabbia e la frustrazione di un mondo senza equità e giustizia.
  • Forse la sessione più politica di COP28, senza politici ad ascoltare l’urlo dei più deboli.
  • Crisi climatica, sì, ma non solo: guerre e occupazioni, questione di genere, infanzia e gioventù, lavoro, sfruttamenti. E un infinito bisogno di giustizia e diritti.
  • Una chiave di casa, al collo di una donna palestinese, cui sembra aggrapparsi lei e tutto il mondo.

Difficile riemergere da un’assemblea come quella che lunedì si è svolta a COP28, nella quale si sono riuniti tutti i più deboli e vulnerabili del mondo -persone e Paesi- che stanno affogando in un mare di iniquità e ingiustizia.

Intorno si stanno ancora tenendo frenetiche sessioni negoziali, praticamente su tutto a un giorno dalla chiusura ufficiale; nelle sale piccole e grandi, tecnici e politici sono alle prese con periodi, frasi e punteggiature delle bozze dei testi negoziali. La politica è altrove, insomma,mentre nella sala Al Ghafat, si è svolta l’assemblea più politica dell’intera COP: tutti i principali nodi politici ancora aperti, infatti, sono venuti al pettine dei negoziati Onu sul clima con forza, determinazione, rabbia e frustrazione. Il senso ultimo e sintetico è che la crisi climatica crea un ulteriore peso su tutte le altre crisi che attanagliano la contemporaneità: guerre e occupazioni, questione di genere, infanzia e gioventù, lavoro, popolazioni indigene e comunità locali, sfruttamenti, povertà.

Le diverse Constituncies e molte associazioni hanno ricordato al mondo che crisi climatica e transizione non si risolvono senza giustizia climatica. E che quest’ultima non ci potrà essere se non ci saranno diritti umani.

Due dei momenti più toccanti e commoventi dell’intera assemblea plenaria (che toccante e commovente lo è stata dall’inizio alla fine) sono stati quello di Ainin, rappresentante palestinese, e di Joseph, giovanissimo rappresentante del Sud Sudan.

Ainin, questo il nome della donna dalla Palestina, ha dato voce ai suoi territori devastati da “75 anni e 7 settimane” di guerra e occupazione, forse per la prima volta a Dubai, e non a caso lontano dai palcoscenici principali. Portava una chiave appesa al collo: la chiave di una casa che non c’è più. E ci si è aggrappata con forza, mentre cercava di parlare con voce rotta dall’emozione. E insieme ad Ainin ci si è aggrappato tutto il mondo, a quella chiave di Gaza, ascoltando cosa sta avvenendo in quelle terre dal 1948.

Tutti i successivi interventi, da ogni angolo del mondo, hanno espresso solidarietà al popolo palestinese, chiedendo il cessate il fuoco e urlando in più momenti “Palestina libera!”. 
Alla fine della plenaria, un lungo solidale abbraccio liberatorio da parte della presidente l’asiatica Lindy Nacpil, a testimoniare quanto il mondo sia vicino ai Territori e al popolo palestinese.

Un secondo momento incredibilmente toccante è venuto subito dopo, con l’intervento del giovanissimo Joseph, attivista climatico che ha parlato per CAN International e in rappresentanza dei diritti dei bambini e della gioventù. Dal Sud Sudan ha raccontato di come le sue terre siano colpite da inondazioni, che devastano anche le scuole, impedendo a bambini e ragazzi di andare a scuola e studiare, perché anche i libri vengono distrutti. E di come “senza insegnamento, senza apprendimento, per noi non c’è un futuro più luminoso”. Come un politico navigato, ha poi parlato delle carenze di cibo, di povertà, di crisi climatica e soluzioni: “noi siamo la generazione futura e sono sicuro che quelli che hanno causato il cambiamento climatico non esisteranno più e lasceranno il fardello sulle nostre mani. Perché non troviamo soluzioni? Perché non troviamo modi per rendere il mondo migliore? I leader devono proporre soluzioni che portino un cambiamento che renda il futuro migliore per noi bambini. Abbiamo bisogno di una soluzione di giustizia climatica, abbiamo bisogno di giustizia se si parla di clima”.

Ma l’intera assemblea ha avuto toni devastanti, rabbiosi, frustrati. Specialmente sapendo che fuori da quella sala ancora si sta cercando di quadrare il cerchio climatico e le relative opzioni.

Un susseguirsi di interventi delle popolazioni indigene, che parlano di natura violata, del proprio “preoccupato e sconcertato” ruolo di “guardiani” e tutori dei sistemi naturali e di biodiversità. 

Di donne, spesso giovani, che a differenza delle sale più prestigiose rappresentavano qui la maggior parte di coloro che hanno preso parola, parlando di diritti e clima in moltissime sfaccettature.

Come Maria Jose, dall’Ecuador:abbiamo lottato molto per venire qui, non è facile per noi mentre c’è chi continua a violare i nostri diritti, ma siamo qui e vogliamo agire. I popoli indigeni sono stati costretti a fare azioni per il clima e non perché siamo noi a creare il cambiamento climatico. Ma vorrei chiedervi come i popoli indigeni possono agire contro il cambiamento climatico mentre accettate le industrie che creano il cambiamento climatico ci stanno criminalizzando, perseguitando e uccidendo?

O come la giovane rappresentante di YOUNGO, Rowa, anche lei del Sudan del sud. Anche lei ha parlato di guerre, problemi sociali e sanitari, concentrandosi poi sul clima e futuro, inevitabilmente: “è compito nostro prenderci cura di questo pianeta, è la nostra unica casa. Non siamo lontani dalla natura e siamo parte di una stessa nazione, che è qui per salvarci. Tradire la natura è stupido. Stiamo combattendo per il diritto o qualsiasi tipo di uguaglianza. Perché se non lavoriamo insieme per salvare questo ambiente, si estingue”.

Poi ancora un susseguirsi di interventi delle Trade Unions, di TUNGO. Che parlano di ambiente e diritti. Diritti dei lavoratori e crisi climatica, come il rappresentante svedese che ricorda come i lavoratori “degli stabilimenti di Elon Musk per i veicoli elettrici siano in lotta per avere una giusta paga”.

Per la WGC, la Women and Gender Constituency, Aishka Najib parla del “sapere collettivo di femministe” aggrappandosi “al nostro potere collettivo e al nostro sogno collettivo di un futuro liberato. Tuttavia, sono anche profondamente spaventata perché questo spazio è stato compromesso dall’industria dei combustibili fossili, che sta commettendo crimini contro le donne, le ragazze, le popolazioni indigene, le persone che subiscono forme intersettoriali di discriminazione e le generazioni future”; e di modelli economici da rimodellare.

Un’assemblea difficile da dimenticare. Restano forti negli occhi quella mano attorno a quella chiave, quell’abbraccio e i pugni alzati di tutte le donne e gli uomini che, in piedi hanno chiesto giustizia climatica, diritti umani e il cessate il fuoco in Palestina.

A cura di Paolo Della Ventura, volontario di Italian Climate Network.

Foto: UNFCCC Platform

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