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14
Nov

COP29, GLI STATI INSULARI CHIEDONO CREDIBILITÀ

A COP29 si è svolta mercoledì la seconda e ultima giornata del World Leaders Climate Action Summit (WLCAS) nella capitale dell’Azerbaigian. Dopo l’apertura del vertice, a cui abbiamo assistito martedì, il vertice ha visto susseguirsi sul palco un numero più contenuto di leader e capi di stato ma è stato altrettanto interessante per captare qualche anticipazione sui nuovi Nationally Determined Contributions (NDCs), gli obiettivi climatici nazionali ai quali i leader internazionali vincoleranno il proprio operato a partire dal 2025.

La giornata si è aperta con l’intervento del Kuwait, uno dei Paesi esportatori di petrolio più ricco al mondo, per la precisione il quarto esportatore tra i Paesi OPEC. Il principe ereditario Al-Sabah ha detto che il suo Paese è già oggi tra più caldi al mondo, sottolineando come l’aumento delle temperature,  sempre più allarmante, stia rendendo inabitabili vaste aree della nazione. Il principe ha quindi annunciato l’aumento di progetti di mitigazione e adattamento, che verranno finanziati attraverso il Fund for Arab Economic Development, con il quale lo Stato contribuisce a sovvenzionare progetti per settori quali trasporti, energia, irrigazione e sanità delle economie in via di sviluppo. Al-Sabah ha poi promesso anche di proseguire nell’intenzione di azzerare le emissioni nette del Kuwait attraverso l’implementazione delle energie rinnovabili, in particolare quella solare, fino ad  arrivare a un obiettivo del 50% entro il 2030; il principe si è impegnato infine a ridurre le emissioni climalteranti del Paese dell’80% entro il 2040.

In sala si percepiva grande curiosità nei confronti della delegazione dell’Unione europea dopo lo scoop di  Politico, che martedì aveva anticipato un ritardo nel lancio dell’atteso nuovo NDC europeo oltre la primavera 2025. L’UE, che presenta un unico obiettivo collettivo per i suoi 27 Paesi membri, ha dichiarato in più occasioni e sedi che l’adozione di piani ambiziosi per il 2035 e per il 2040 è una delle sue principali priorità. Tuttavia, a causa di tempistiche istituzionali dovute all’assestamento post elezioni del Parlamento Europeo e della nuova Commissione, Bruxelles avrà bisogno di qualche mese in più rispetto a quanto inizialmente immaginato. Mercoledì, comunque, diversi Stati Membri hanno anticipato i loro impegni in termini di riduzione delle emissioni e incremento degli investimenti nelle energie rinnovabili, con attenzione soprattutto all’energia nucleare.

Doveroso soffermarci, tra gli altri, sull’intervento della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha esordito ricordando la promessa dei 100 milioni di euro per il Fondo a compensazione di Perdite e Danni fatta lo scorso anno alla COP28 di Dubai, assicurando che l’Italia continuerà a fare la sua parte. La premier ha parlato della destinazione all’Africa di una parte consistente del budget del Fondo Italiano per il Clima e ha aggiunto che, per una transizione che sia «concreta», secondo il governo sarà necessario continuare a investire non solo nelle rinnovabili ma anche in biocarburanti, idrogeno e in futuro nella fusione nucleare, seguendo quello che ha definito come un «approccio pragmatico».

A questo link è possibile leggere la reazione di Italian Climate Network attraverso le parole della Direttrice Scientifica, Serena Giacomin, e del Presidente Jacopo Bencini.

In riferimento allo sviluppo delle tecnologie di fusione nucleare Meloni ha citato l’organizzazione, sotto la Presidenza italiana del G7, del “World Fusion Energy Group”, con il supporto dell’International Atomic Energy Agency. Il gruppo è finalizzato al rilancio di una tecnologia potenzialmente promettente ma impossibile da adottare per ridurre le emissioni nel breve termine, come invece avremmo urgentemente bisogno di fare.

Nella sala accanto alla plenaria si è svolto anche un altro Leaders Summit, quello dei piccoli Stati insulari, noti anche come SIDS (ovvero Small Islands Developing States). I SIDS rappresentano un gruppo di 39 Stati insulari, i cui abitanti complessivamente raggiungono i 65 milioni, appena l’1% della popolazione mondiale. Un minuscolo 1% che tuttavia affronta sfide sociali, economiche e ambientali uniche, subendo tangibilmente già da anni, e con preoccupanti profili di fragilità, gli effetti dei cambiamenti climatici.

In apertura del vertice parallelo, il Presidente di COP29 Mukhtar Babayev ha dichiarato che il Governo dell’Azerbaijan si impegna a supportare i piccoli Stati insulari e a dare importanza alla loro voce, sottolineando la leadership che questi hanno finora dimostrato fissando obiettivi ambiziosi nonostante le loro risorse limitate. 

Tra i principali partecipanti in plenaria c’era Cedric Shuster, Presidente dell’“Alliance of Small Island States” (AOSIS), gruppo negoziale i cui membri rappresentano circa il 28% dei Paesi in via di sviluppo. Shuster ha richiamato l’art. 9 dell’Accordo di Parigi per sottolineare le difficoltà gli Stati maggiormente vulnerabili devono affrontare in termini di giustizia climatica. Il Presidente ha poi ricordato anche la necessità di definire un nuovo obiettivo di finanza climatica (New Collective Quantified Goal, NCQG) abbastanza ambizioso da sostenere in modo concreto i Paesi in via di Sviluppo. L’urgenza è alta soprattutto per territori, come quelli degli AOSIS, che a causa dei cambiamenti climatici rischiano letteralmente di scomparire, con la cancellazione di interi Stati e identità culturali. Basti pensare che lo Stato insulare di Grenada (nei Caraibi) ha destinato al recupero e alla ricostruzione del proprio territorio a seguito di fenomeni climatici estremi una somma pari a sei volte le risorse economiche ricevute in termini di finanza per il clima.

Schuster ha chiesto che il disegno e l’implementazione dell’NCQG – tra gli obiettivi chiave della COP29 – tenga espressamente conto delle esigenze delle economie più piccole e meno autosufficienti, richiedendo che vengano destinati ai SIDS fondi per un minimo di 49 miliardi di dollari all’anno come parte del nuovo obiettivo globale. Hanno rafforzato il concetto gli altri esponenti SIDS intervenuti dopo di lui: il Presidente della Repubblica delle Maldive, il Presidente delle Isole Marshall, il Presidente del “Pacific Island Forum” e il Presidente di CARICOM (“Caribbean Community”), comunicando, da parte loro, obiettivi di transizione energetica e l’adozione di un “Pacific Regional Framework on Climate Mobility” per dotarsi di linee guida che aiutino i Governi a pianificare e gestire emergenze di mobilità dovuta alla necessità di spostamenti e migrazioni climatiche. Ennesima prova che la loro è un’emergenza concreta.

In chiusura di questo vertice parallelo ha preso la parola il Direttore Esecutivo del Green Climate Fund (GCF), che ha sottolineato come il supporto finanziario dei SIDS sia una priorità tanto chiara che il Fondo ha già destinato loro 66 miliardi di dollari negli anni e sta lavorando per ridurre i tempi necessari a concretizzare tale aiuto.
Di seguito l’intervento del Direttore Esecutivo del nuovo Fondo per Perdite e Danni, Ibrahima Cheikh Diong, che ha espresso da subito la volontà di essere parte della soluzione, impegnandosi a destinare 700 milioni di dollari tra le somme che verranno raccolte affinché i SIDS, e non solo, ricevano un supporto concreto. 

Al termine di questa seconda giornata di (doppio) summit, la COP ha pienamente sul tavolo la prospettiva di quegli Stati che sentono più reali e incombenti rispetto ad altri gli effetti della crisi climatica, consapevoli che il percorso verso il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi (sulla finanza e non solo) potrebbe non essere impossibile, ma soltanto sconveniente per altri.

Articolo a cura di Martina Compagnucci, delegata di Italian Climate Network alla COP29 di Baku.

Immagine di copertina: foto di Martina Compagnucci

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