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DISABILITÀ E NEGOZIATI SUL CLIMA: UN APPROFONDIMENTO

Tra le tante questioni che la COP28 di Dubai ha lasciato sul tavolo e su cui è necessario ancora riflettere c’è sicuramente il tema della disabilità. Le persone con disabilità rappresentano circa il 16% della popolazione mondiale secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), la più ampia minoranza ad oggi esistente. Tale gruppo sociale, insieme a donne, bambini e popolazioni indigene, è tra quelli più sproporzionalmente impattato dal cambiamento climatico secondo i report dell’OHCHR e dall’IPCC. Si stima, infatti, che i casi di mortalità tra le persone disabili in relazione agli effetti del cambiamento climatico siano fino a 4 volte superiori rispetto alle persone abili.

Tuttavia, tale minoranza non ha ancora trovato adeguata inclusione e spazio all’interno dei negoziati sul clima. A COP28 si è presentata una piccola delegazione di persone con disabilità, ma a livello UNFCCC non esiste la relativa constituency, seppure a COP27, Pratima Gurung, rappresentate della Associazione Nazionale delle Donne Indigene Disabili del Nepal, abbia invocato la necessità della sua creazione e formale riconoscimento. In generale, le persone con disabilità vengono sempre citate per interposta persona attraverso qualche altro gruppo della società civile e difficilmente sono presenti per far sentire la propria voce, le proprie istanze o per arricchire il dibattito con le proprie opinioni ed esperienze.

Questo ha delle ricadute concrete in termini negoziali e di successiva azione climatica. I testi, di fatto, menzionano le persone con disabilità in modo sporadico e saltuario, ma soprattutto astratto, cioè senza calare l’azione climatica nel vissuto e nella realtà concrete di tale gruppo sociale di fatto producendo azioni climatiche che non si accompagnano a nessun risultato significativo. Pensiamo, ad esempio, ai cosiddetti  sistemi di allerta (early warning). L’implementazione di sirene che avvisano la popolazione in caso di disastro naturale non tiene conto delle persone non udenti, escludendole di fatto dai piani di evacuazione. 

Come mai si fatica così tanto a trattare la disabilità con la dovuta considerazione?

Una risposta semplice e complessa allo stesso tempo, perché questa mancanza non è altro che il riflesso della marginalizzazione sistemica che la società in generale opera nei confronti delle persone con disabilità. A COP si fatica ad includere e a fare spazio a persone con disabilità perché i negoziati sul clima incorporano e perpetuano la stessa concezione abilista del mondo. Già a partire dalla logistica:dall’arrivare alla venue della COP al muoversi al suo interno, nulla sembra concepito per ospitare persone con disabilità.

Nella definizione di disabilità, fornita dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), rientrano un’ampia gamma di menomazioni mentali, fisiche, intellettuali o sensoriali a lungo termine. Tuttavia, non sono queste a generare la marginalizzazione delle persone con disabilità. È piuttosto l’interazione di tali menomazioni con le barriere sociali-attitudinali che gli sono state costruite attorno – gli stereotipi, lo stigma e il pregiudizio – a rendere le persone disabili. Ritenuti più ‘oggetti’ che ‘soggetti’ della società, le persone con disabilità hanno sperimentato secoli di esclusione che si sono concretizzati nel costante diniego di accesso allo spazio fisico – infrastrutture, beni e servizi – e allo spazio civico, tutti esclusivamente concepiti da e per persone abili. 

Da questo punto di vista, la CRDP incorpora un cambio di paradigma: da una concezione delle persone con disabilità come meri oggetti di attenzione caritatevole, di trattamento medico o protezione sociale, a soggetti di diritto. Le obbligazioni introdotte dalla CRDP riflettono questa nuova concezione, riconoscendo alle persone con disabilità lo status di portatori attivi di diritti esattamente come tutti gli altri.

Perché è fondamentale includere le persone con disabilità?

Come per altri gruppi sociali, le persone con disabilità non sono solo vittime sproporzionalmente impattate dal cambiamento climatico, ma sono agenti di cambiamento. In primo luogo perché ci ricordano quanto siamo vulnerabili. La disabilità non è, infatti, qualcosa di unico, ma è una parte intrinseca della vita umana. Ciò significa che siamo tutti esposti a disabilità e questo vale soprattutto nel contesto del cambiamento climatico capace di azzerare secoli di sviluppo in un battito di ciglio. 

In questo nuovo paradigma, le persone con disabilità sono portatrici di saperi ed esperienze uniche che ci aprono a nuove concezioni delle relazioni tra noi e tra noi e l’ambiente. In poche parole, accendono la luce su modi di immaginare il mondo – allo stato limitato dalla nostra visione abilista – che portano beneficio a tutti non solo alle persone con disabilità. Ad esempio, il movimento sociale Universal Design, nato a partire dagli anni ‘60 e sviluppatosi inizialmente soprattutto negli Stati Uniti d’America, mira ad integrare la prospettiva disabile proponendo la progettazione di infrastrutture, prodotti, sistemi di comunicazione e degli spazi circostanti tali da adattarsi al più ampio spettro possibile di utenti. Una rampa di accesso ad un edificio al posto delle scale, non beneficia solo le persone con disabilità fisiche, ma anche genitori con carrozzine, donne incinte e persone anziane.

Per questo motivo è necessario che le politiche climatiche includano la prospettiva delle persone disabili. Un’azione climatica inclusiva della disabilità favorirebbe uno sviluppo sostenibile senza lasciare indietro nessuno. Per fare ciò, è necessario il riconoscimento e la partecipazione delle persone con disabilità nei relativi processi decisionali, a partire dai negoziati sul clima. Le COP, dunque, devono essere organizzate in modo tale da garantire la loro piena ed effettiva partecipazione. Questo garantirebbe anche coerenza interna, visto che i negoziati sul clima sono sotto la giurisdizione delle Nazioni Unite, ovvero la stessa casa che ospita la CRPD, la convenzione che offre il quadro giuridico di riferimento per ri-abilitare le persone con disabilità. 

Articolo a cura di Erika Moranduzzo, Esperta di Diritti Umani e Coordinatrice della Sezione Diritti e Clima, Italian Climate Network

Immagine di copertina: IDA

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