IL FEMMINISMO È PER TUTTƏ
Riflessioni femministe su COP29 e il sessismo istituzionalizzato
La notizia che il Presidente dell’Arzeibaijan (Paese che ospiterà la prossima COP), Ilham Alivey, tra i 28 membri inizialmente nominati per la Commissione Organizzativa della 29esima conferenza sul clima in seno all’UNFCCC, non abbia incluso alcuna donna ha fatto infuriare le femministe di tutto il mondo che si battono per l’equo e giusto accesso delle donne nei processi decisionali inerenti la lotta al cambiamento climatico.
Se consideriamo poi che, ad oggi come 10 anni fa, nei processi UNFCCC, solo il 34% dei delegati degli stati sono donne, viene da domandarsi cosa del pensiero femminista che sta dietro le richieste di giustizia climatica non comprendiamo?
Soprattutto a fronte degli sforzi titanici messi in campo dalle femministe della Women Gender Constituency, l’adozione del Gender Action Plan nel 2017, rinnovato nel 2019, più di 132 decisioni della UNFCCC che menzionano il ‘genere’, di cui 54 relative alle disuguaglianze di genere dei processi decisionali.
Se volessimo spiegare cosa sia il femminismo, i più scettici lo considerano più che altro un movimento di donne arrabbiate che vogliono essere superiori agli uomini; in pratica un movimento anti-uomini. I più progressisti, invece, lo ritengono comunque un qualcosa per lo più pensato esclusivamente per le donne per molto tempo schiacciate dal dominio patriarcale maschile. In questo quadro l’idea che più ha catturato il nostro immaginario e che continua ad essere veicolato anche dai media mainstream è che le donne vogliono quello che hanno gli uomini: le loro posizioni, il loro potere, i loro privilegi.
Niente di più sbagliato! Faremmo davvero un grave torto alle femministe e ai collettivi femministi di tutto il mondo se riducessimo a questo le richieste di parità di genere formulate in seno alle istituzioni della UNFCCC e in ogni altro consesso decisionale legato all’azione climatica. Le femministe chiedono di occupare lo spazio per molto tempo riservato solo ed esclusivamente agli uomini non per sostituirsi ad essi nella catena di comando. Il loro obiettivo è molto più radicale e visionario.
L’obiettivo è porre fine al sessismo, allo sfruttamento e all’oppressione (il patriarcato) a cui tutti – sia uomini che donne – siamo stati addestrati sin dalla nascita e che si manifesta attraverso istituzioni politiche, economiche e sociali che favorendo il genere maschile a discapito di tutti gli altri si traduce negli svantaggi, nelle barriere, nelle privazioni e nei pericoli che le donne affrontano quotidianamente anche nel contesto del cambiamento climatico. Sappiamo, infatti, che le donne sono più vulnerabili e sproporzionatamente colpite dagli impatti climatici rispetto agli uomini proprio a causa di queste dinamiche di dominio e delle relative norme di genere che su di esse sono state costruite. L’obiettivo è, dunque, una ristrutturazione complessiva della società che ci liberi tuttə da ogni traccia di sessismo e dalle sue sciagurate conseguenze. 1
La richiesta di maggiori delegate donna alle COP, così come la necessità di includere le donne all’interno dei processi decisionali relativi all’azione climatica o di adottare un approccio all’azione climatica che tenga conto della disuguaglianza di genere, devono dunque essere letti entro questo più ampio obiettivo. Le donne subendo il dominio patriarcale che le rende subalterne agli uomini hanno avuto più tempo e modo per comprendere il funzionamento di questo sistema di dominio, come si è istituzionalizzato, come si produce, come si mantiene e come interagisce con gli effetti del cambiamento climatico. E’ un sapere prezioso a beneficio di tuttə!
Ad esempio, alcuni studi mostrano che un’azione climatica senza appropriate considerazioni di genere rischia di far deragliare gli obiettivi di giusta transizione e di green economy. Nell’ambito delle politiche di transizione dal carbone, il Canada ha per lo più beneficiato lavoratori bianchi, uomini e canadese impiegati nel settore lasciando tuttavia indietro molti altri sotto gruppi di lavoratori legati alla filiera, ovvero quelli impiegati nel sistema sanitario e di assistenza o della vendita al dettaglio, in prevalenza donne. Così facendo ha perpetuato l’esistente ineguaglianza di genere sul lavoro che risulta poi nella segregazione occupazionale delle donne, soprattutto di colore e indigene.
Ma bisogna stare in guardia. Di fronte alla reazione irritata delle femministe e non solo, ed essendo la presidenza Azera sotto i riflettori globali, il presidente dell’Azerbaijan ha modificato la composizione della Commissione Organizzativa della COP29, che oggi include 12 donne e un ulteriore uomo per un totale di 41 membri (29 uomini e 12 donne). È questo di per sé sufficiente? Essendo il sessismo istituzionalizzato, anche le donne possono essere sessiste e possono perpetuare il sessismo tanto quanto gli uomini.
Il fatto di essere nate donna non fa delle donne delle femministe. Femministi non si nasce, lo si diventa! Per cui pensare di riempire gli spazi con voci femminili non farà del bene a nessuno se queste voci non abbracciano la visione radicale e visionaria del movimento femminista. Anche le donne sono chiamate ad affrontare il sessismo interiorizzato che le pone le une contro le altre a tutto vantaggio del dominio patriarcale maschile. Le donne devono riscoprire il potere della sorellanza nella lotta all’ingiustizia patriarcale affinché l’azione climatica produca giustizia climatica.
E gli uomini? Anche gli uomini possono essere validi compagni e alleati nella lotta. Anzi, senza di loro come alleati il femminismo non potrà progredire e così la giustizia climatica. Infatti, se quanto meno le donne possono riconoscersi sorelle nell’oppressione maschile, i maschi come gruppo traggono maggiori benefici dal patriarcato, dal presupposto che in quanto superiori alle donne, dovrebbero governarle. Perché dunque dovrebbero rinunciarci?
Perché il privilegio che hanno non è un privilegio. Da una parte, perché in cambio chiede lo sfruttamento e l’oppressione delle donne (anche attraverso il ricorso alla violenza sia essa fisica o verbale, sia essa diretta o indiretta) che generano l’ingiustizia di genere, che viene poi ulteriormente amplificata dagli effetti del cambiamento climatico. Dall’altra, perché, a causa del privilegio patriarcale, gli uomini faticano a costruire un autentico nucleo di identità maschile. Il patriarcato gli insegna che la loro identità consiste nella loro capacità di dominare gli altri e questo lede profondamente la loro autostima tanto che, se il patriarcato cessasse di esistere, non saprebbero bene cosa ne sarebbe di loro e del mondo che hanno imparato a conoscere.
In questo senso vanno lette le continue resistenze alle potenza rivoluzionaria delle teorie del movimento femminista e che sono state riscontrate anche nella società Azera e di riflesso nella decisione del suo presidente di formare un comitato COP29 ad esclusiva trazione maschile. Il patriarcato non ci salverà, non ci fornirà le soluzioni alla crisi climatica! Solo abbracciando intimamente il femminismo potremo farcela. Venite tuttə, guardate quanto il femminismo ha da offrire.
Articolo a cura di Erika Moranduzzo, Coordinatrice della Sezione Diritti e Clima, Esperta di diritti umani Italian Climate Network
Questo articolo fa parte de Il Caleidoscopio, la rubrica di approfondimenti che punta a chiarire teorie e riflessioni sviluppate dal movimento femminista, calandole nel contesto delle tematiche legate al clima per capire meglio le richieste e i concetti di azione climatica e giustizia climatica.
Come il caleidoscopio restituisce immagini plurime sempre diverse, le nostre riflessioni femministe vogliono restituire un’immagine pluriversale del mondo e fornire strumenti utili a renderlo più equo, inclusivo, giusto e sostenibile.
- Fonte: Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata. Bell Hooks. ↩︎