13
Nov

FINANZA CLIMATICA, CONCORDIAMO NEL NON CONCORDARE

  • Al via a Baku la prima negoziazione sul tema più centrale, e spinoso, della COP29: la definizione di un nuovo obiettivo di finanza climatica.
  • Come avevamo percepito a Bonn, le visioni dei Paesi sviluppati e quelle in via di sviluppo sono chiare e molto lontane, se non del tutto contrapposte.
  • Si continuerà a lavorare in tutta la prima settimana di COP29, aspettando che arrivino i ministri a risolvere i punti più controversi.

Ed eccoci arrivati alla prima negoziazione del tema centrale di questa COP29, questione che ne ha addirittura determinato l’appellativo di “COP della finanza”: martedì si sono ufficialmente riaperti i lavori per la definizione di un nuovo obiettivo quantitativo di finanza globale (New Collective Quantified Goal o NCQG). Tutte le Parti si trovano d’accordo almeno su un punto: è fondamentale arrivare a un’intesa entro la fine della COP. Per quanto riguarda il resto, diciamo che c’è ancora molto da fare.

Arriviamo a COP29 dopo tre lunghi anni di lavoro, partiti già dalla COP26 di Glasgow con la definizione di un filone specifico per NCQG. Più di dieci incontri dopo, le Parti si sono riviste martedì per discutere una bozza di testo negoziale, preparata sulla base di quanto emerso nelle scorse discussioni.
Ed subito emerge un altro punto in comune, ma non troppo promettente.Tutte le delegazioni sono scontente del testo proposto: non riflette le opinioni espresse finora dalle Parti, non dà sufficiente rilevanza all’obiettivo di mantenere l’incremento di temperatura a 1.5°C, non presenta abbastanza garanzie per le categorie più colpite dai cambiamenti climatici, come donne e bambini, e per gli stati insulari. 

Insomma, tutto da rifare. Tanto che le Parti si sono rifiutate di utilizzare questo testo come base negoziale e hanno richiesto ai co-chair (che guidano i gruppi di lavoro su ogni tema di COP29) di crearne uno nuovo, a partire da input scritti e verbali forniti nella giornata di martedì. Nessuna paura di perdere tempo, perché i co-chair hanno promesso di restituire già mercoledì un documento utile alle negoziazioni. Nell’attesa di vedere cosa conterrà, analizziamo gli input verbali delle delegazioni, che forniscono comunque indizi molto interessanti su quello che ci aspetta. 

Come avevamo già evidenziato qui, la sensazione principale seguendo le negoziazioni è che ci siano due visioni completamente diverse sulla questione NCQG. 

Da un lato troviamo i Paesi in via di sviluppo.

  • Chiedono un target di almeno 1.3 mila miliardi di dollari all’anno di finanza pubblica (per cinque anni? per dieci anni? entro il 2030? non è ancora chiaro). Questo obiettivo dovrebbe essere misurato in concessioni-equivalenti, ed elargito sotto forma di concessioni e di prestiti altamente concessionali. 
  • Propongono alcuni sotto-obiettivi per mitigazione, adattamento e perdite e danni
  • Imparando dagli errori commessi con il precedente obiettivo di finanza climatica – quello dei 100 miliardi di dollari – adesso chiedono una maggiore chiarezza.Vorrebbero quindi definizioni chiare su: cosa si intende per finanza climatica, quali interventi includere e quali no (prestiti a tasso di mercato ne possono far parte? Risorse impiegate in attività non in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi?), come garantire la tracciabilità e la trasparenza, come dividere equamente le risorse tra i Paesi in via di sviluppo tenendo conto delle necessità differenti. 
  • Alcuni si spingono più in là e, facendo i conti in tasca ai Paesi sviluppati, propongono meccanismi di ripartizione delle responsabilità.

Insomma, il punto è che il nuovo NCQG deve rappresentare le fondamenta per la definizione di un’azione climatica ambiziosa e in linea con il mantenimento del riscaldamento globale entro 1.5°C dall’era preindustriale, come stabilito con l’accordo di Parigi. I Paesi sviluppati devono fornire gli strumenti per l’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo, sulla base della responsabilità storica e delle loro maggiori capacità. La possibilità di allargare la base dei contribuenti viene percepita come un tentativo da parte dei Paesi sviluppati di negare le proprie responsabilità, oltre che come un modo di guadagnare sulle spalle dei Paesi in via di sviluppo. 

Dall’altra parte, i Paesi più ricchi immaginano un obiettivo finanziario che rifletta un impegno globale, il cosiddetto global effort dell’Art. 9.3 dell’accordo di Parigi, e che per questo sia il più ampio possibile, superando la storica divisione tra nazioni più o meno sviluppate.

Queste nazioni:

  • propongono un primo target di mobilitazione di investimenti (globali o nei Paesi in via di sviluppo), includendo tutte le fonti di finanza possibili, sia internazionali, che domestiche e da tutti i Paesi (sì, anche da quelli in via di sviluppo).
  • Riconoscendo la necessità di un supporto prevedibile e adeguato, prevedono un secondo target di finanza pubblica che sia il successore dello scorso e per questo rimanga dell’ordine dei miliardi di dollari l’anno. 

Stati Uniti e Unione europea si sono sbottonati più dei propri colleghi, sostenendo che, per loro, creare un nuovo obietto di finanza climatica che sia il più ampio possibile non sarebbe un modo per rinunciare alle proprie responsabilità, ma una misura fondamentale per mandare un messaggio a tutti gli attori finanziari sulla volontà di raggiungere l’obiettivo degli 1.5°C.
«L’NCQG rimarrà rilevante – ha detto la delegata dell’Unione europea -, ma deve riflettere la più ampia base di investimenti possibile, perché è l’unico modo per raggiungere 1.5°C. Non lo raggiungeremo solo attraverso la finanza pubblica». 

Visto lo stallo in cui ci troviamo e la presenza sul tavolo di molte questioni di aspetto più politico che tecnico, la presidenza di COP29 ha proposto di chiudere le discussioni tecniche entro sabato e di partire con dialoghi politici dalla prossima settimana.
In questi giorni si tenterà quindi di trovare un accordo per più aspetti tecnici possibili (suddivisione delle risorse, accesso, trasparenza) e per definire chiaramente in un testo tutte le visioni e le possibilità per le questioni più critiche e controverse (quantum, base dei contribuenti, inclusione delle perdite e dei danni con un sotto obiettivo specifico, tempistiche). Il piano è di consegnare tutto nelle mani dei ministri, settimana prossima, sperando che portino una ventata di aria fresca. 

Articolo di Claudia Concaro, delegata di Italian Climate Network per COP29

Immagine di copertina: foto di UN Climate Change

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