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Mar

Gelo a sud, caldo a nord: l’allarme che arriva dall’Artico

Il gelo che ha ricoperto l’Europa a cavallo tra febbraio e marzo è conseguenza del cambiamento climatico. Nonostante non siano mancati i pareri e le conferme degli esperti in merito, l’apprensione per le nevicate copiose che hanno mandato in tilt i trasporti e messo a dura prova diverse città anche italiane, ha in parte adombrato nell’attenzione mediatica un dato sconcertante per i climatologi: temperature anomale e in veloce aumento nell’Artico.

Mentre sui nostri Paesi soffiavano i venti del Burian infatti, in una delle stazioni meteorologiche più settentrionali del mondo, Cape Morris in Groenlandia, le temperature in quelle settimane sono state a volte più alte che in alcune capitali europee. L’allarme per i climatologi è scattato in seguito alla persistenza nel tempo di questo caldo anomalo nella regione dell’Artico: a metà febbraio si sono registrati ben dieci giorni di temperature al di sopra dello zero per buona parte della giornata, cosa che non era successa neanche durante l’ultimo evento simile che si ricordi, risalente alla fine degli anni ’50. All’origine di queste anomalie c’è il fenomeno dello stratwarming, ovvero “riscaldamento stratosferico”. Si tratta in sostanza di un riscaldamento anomalo della stratosfera, appunto (lo strato dell’atmosfera che raggiunge i 50 Km di altezza) che è riuscito a spezzare letteralmente il vortice polare – il “Polar Vortex” – spingendo l’aria gelida contenuta nel vortice in direzione dell’Europa e dell’Italia, tra cui la corrente del Burian.

Caldo sù, freddo giù. L’anomalia che spaventa i climatologi

Estensione del ghiaccio marino artico a febbraio 2018. La linea rossa indica la media per quel mese nel periodo 1981 – 2010. Crediti: National Snow and Ice Data Center

La conseguenza di questa fuga di aria fredda verso le latitudini più basse è stato il richiamo di aria molto più calda sull’artico, che ha raggiunto così un’escursione termica di anche 20°C, toccando i 6°C sopra lo zero, ben oltre le medie stagionali tipiche del Polo Nord, come confermato dai dati della stazione di Cape Morris.

Sebbene l’inverno artico sia di per sé molto instabile, le anomalie registrate da novembre sono state del tutto eccezionali: il pack artico ha perso superficie, anziché acquistarne, e al polo si sono sciolti i ghiacci in quantità fuori norma. Secondo i dati del NOAA, l’estensione del ghiaccio marino in gennaio è stata la più bassa mai registrata finora.

Con i dati aggiornati a disposizione, sono stati in molti ad accorgersi – ricercatori climatici in primis – che a febbraio la temperatura nelle zone più prossime al Polo Nord è stata più alta anche rispetto all’ultimo record, registrato nel 1958.

 

 

 

 

Artico amplificatore del global warming
Tutti i segnali portano insomma a definire l’artico come la regione del pianeta che si sta surriscaldando più velocemente, mentre aumentano ondate di gelo improvviso più a sud. Più in dettaglio, il riscaldamento della superficie artica è stata quasi il doppio della media globale degli ultimi decenni, fenomeno noto agli esperti come “amplificazione artica”.
Questi eventi stanno diventando sempre più intensi, come già confermato da diverse ricerche. In uno studio condotto al dipartimento di fisica dall’Università di Toronto pubblicato su Nature nel 2015, per esempio, viene analizzata la relazione tra perdita di ghiaccio marino invernale e perturbazione del vortice polare con l’aumento di eventi di riscaldamento anomalo di questo tipo, che finora hanno fatto la loro comparsa massimo una o due volte per decennio. Una delle conseguenze della perdita di ghiaccio marino, è l’aumento della superficie di scioglimento della Groenlandia e quindi l’ulteriore innalzamento del livello marino, in un ciclo che si autoalimenta.

L’interrogativo più pressante a cui rispondere ora è se queste condizioni termiche anomale e persistenti portino a un indebolimento ulteriore se non a un collasso del vortice polare. Il vortice dipende infatti dalla differenza di temperatura che c’è tra le latitudini alte dell’Artico e le latitudini medie, un range che ora si sta restringendo a causa del riscaldamento polare sempre più frequente e più veloce che altrove: mentre altrove le temperature medie sono aumentate di circa 1°C, al polo si tocca un aumento medio di 3°C, con conseguente scioglimento dei ghiacci al ritmo del 13,2% per decennio, secondo i dati NASA, con temperature costantemente più elevate.
Se continueranno a verificarsi le anomalie termiche in Artico – e al momento i dati lasciano presagire che sia così – aumenterà di conseguenza la probabilità che diventino sempre più frequenti anche i fenomeni meteorologici estremi, in cima alla lista dei rischi maggiori a livello globale secondo l’ultimo Global Risk Report 2018. E tutto questo a causa delle emissioni incontrollate di gas serra.

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