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Feb

DONNE DELL’ARTICO: QUANDO RICERCA E TRADIZIONE SI INCONTRANO

  • L’Artico si sta riscaldando 3 volte più velocemente rispetto al resto del globo
  • La prosperità dei popoli artici è minacciata dagli effetti cambiamenti climatici e dallo sfruttamento di queste aree 
  • Molte donne e ricercatrici lottano per combattere i cambiamenti climatici, le deforestazione e la perdita delle conoscenze tradizionali in questi luoghi remoti

Ad ottobre 2023 ho avuto la grande occasione di trascorrere una settimana, insieme a un gruppo di fortunatissimi giovani ricercatori, in una piccola comunità Sami nel nord della Finlandia, nel villaggio di Sevettijärvi. Durante quei giorni passati alle alte latitudini, partecipando ad un workshop chiamato Sharing Circle ho avuto l’opportunità di conoscere alcune straordinarie donne che vivono e/o fanno ricerca in queste aree remote

Secondo uno studio dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico), l’Artico rappresenta una delle aree che del nostro pianeta che si sta riscaldando 3 volte più velocemente rispetto al resto del globo. La fusione dei ghiacciai e la riduzione dell’estensione del ghiaccio marino contribuiscono sia all’innalzamento globale del livello dei mari che all’alterazione del bilancio energetico terrestre. Questi cambiamenti hanno però anche impatti locali e influiscono sulle attività economiche e sociali delle comunità che vivono in questi luoghi. L’Artico, infatti, è abitato da 4 milioni di persone, la cui prosperità è  intrinsecamente legata ai cambiamenti ambientali che si verificano a livello locale. In particolare, una vasta regione chiamata Sapmi, che comprende il nord della penisola scandinava e la Penisola di Kola (Russia), è abitata una popolazione indigena chiamata Sami, di cui una grande percentuale concilia un impiego con attività come l’allevamento di renne, caccia, pesca e gestione di piccole fattorie seguendo pratiche tradizionali.

“I Sami allevatori di renne hanno dovuto cambiare molte abitudini tradizionali negli ultimi anni, tra cui la scelta delle aree dove far pascolare le renne e l’introduzione dell’utilizzo di mangimi industriali” ci racconta Kaisu Mustonen, ricercatrice a capo della sezione Biodiversità della cooperativa Snowchange. L’allevamento di renne è una pratica tradizionale e costituisce una fonte di sostentamento ed approvvigionamento di cibo per i Sami . Il disboscamento, effettuato da compagnie private, ha ridotto le aree naturali dove gli allevatori possono portare le renne a cibarsi di licheni, i quali vengono completamente distrutti dai macchinari che tagliano gli alberi. Grazie alla cooperativa Snowchange , molti terreni originariamente utilizzati dai Sami, sono stati acquistati e sottoposti ad interventi di “Rewilding” dove sono state reintrodotte le conifere e trapiantati licheni per diventare aree adibite a pascolo. “Anche i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova le renne stesse, che a causa delle repentine variazioni di temperatura, non riescono più a scavare sotto la neve alla ricerca del loro cibo preferito”, continua Kaisu. La neve sciolta e ricongelata crea una strato di ghiaccio che isola i licheni presenti al suolo e, quindi, spesso le renne vengono alimentate con mangimi industriali aumentando i costi per gli allevatori. 

I licheni amati delle renne (Cladonia Stellaris). Credits Ilaria Crotti

L’importanza che le foreste boreali e i licheni ricoprono in questi luoghi ci viene ribadita anche una mattinata in cui andiamo a visitare Pauliina Feodoroff, artista ed ex presidente del Sami Council, nel suo terreno, una foresta boreale recuperata bagnata dalle acque cristalline di un lago.“Con il mio lavoro voglio fare conoscere il problema della deforestazione in Finlandia nelle terre dei Sami. Voglio proteggere le nostre foreste, sia quelle che sono state disboscate che quelle che sono rimaste intatte”, ci racconta Pauliina, che nel nel 2023 ha portato la sua performance “Matriarchy” alla Biennale di Venezia . L’impegno dell’artista si estende anche nelle scuole e nella comunità locale al fine di rivitalizzare la cultura e la lingua Skolt Sami, tipica dell’area di Sevettijärvi, che la Chiesa Ortodossa e il governo Finlandese ha cercato di cancellare nei secoli passati. 

Terreno di Paulina in una foresta boreale recuperata dalla cooperativa “Snowchange”. Credits Ilaria Crotti

Paulina non è l’unica che si occupa di rivitalizzare la lingua tradizionale, anche Ulpu Mattus-Kumpunen ci racconta di aver appreso la lingua Inari Sami solo da adulta e ora organizza anche corsi di lingua Inari Sami per i bambini. La storia di Ulpu e della sua famiglia è diventata un documentario intitolato “Grandfather’s language” presentato a gennaio di quest’anno al Tromsø Film Festival. Ulpu, scienziata ambientale, è stata la nostra guida al Siida Museum di Inari (N.d.r. Siida significa comunità), uno spazio dedicato alla raccolta di testimonianze Sami, oggetti e libri tradizionali. “Mio nonno è nato in questa casa, una costruzione Sami tradizionale”, dice Ulpu mostrandoci un basso e semplice chalet in legno presente nel parco del museo. Le case dei Sami, oltre ad avere una funzione di memoria storica, costituiscono esempi concreti di conoscenze tradizionali che al giorno d’oggi vengono applicate per la costruzione di case “Carbon Neutral” in luoghi freddi come l’Artico (progetto “Arctic Zero” ).

Le donne incontrate durante questa settimana ci hanno accompagnato in un meraviglioso viaggio dove scienza e conoscenze tradizionali si intrecciano e spesso si sovrappongono. I loro progetti e il loro lavoro ci hanno mostrato quanto sia importante includere le conoscenze tradizionali in progetti scientifici, poiché permettono di affrontare problematiche come i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità con un approccio più completo e compatibile con le comunità che abitano questi luoghi remoti. 

Articolo a cura di Ilaria Crotti, Volontaria Italian Climate Network

Ringraziamenti:

Le esperienze descritte in questo articolo sono state possibili grazie al progetto Europeo H2020 Arctic PASSION (https://arcticpassion.eu/)

Immagine di copertina: Foresta boreale recuperata dalla cooperativa “Snowchange” e utilizzata come pascolo per le renne. Credits Ilaria Crotti.

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