LA FINANZA CLIMATICA RESTA AL CENTRO DELL’AGENDA ANCHE A BONN
- L’adozione dell’agenda dei negoziati intermedi di Bonn è stata rimandata per 30 ore a causa di divergenze sulla proposta di inserire due nuovi punti: uno riguarda l’implementazione dell’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi.
- La proposta deriva probabilmente dalla struttura decisa a COP29 per NCQG, il nuovo obiettivo globale di finanza climatica.
- I Paesi considerati in via di sviluppo vogliono mantenere vivo il discorso sugli obblighi finanziari dei Paesi sviluppati.
Protagonista indiscussa di COP29, contro ogni aspettativa la finanza climatica è già diventata uno dei temi più discussi anche ai negoziati intermedi verso la COP30. Con l’approvazione del nuovo obiettivo (New Collective Quantified Goal – NCQG) alla COP29 di Baku, si immaginava di cominciare i negoziati a Bonn riprendendo il discorso nei filoni interrotti e ragionando sulla Baku to Belem Roadmap, il percorso che dovrebbe portare a centrare l’obiettivo entro il 2035.
Non la pensava così il gruppo dei Like Minded Developing Countries (LMDC), che ha cambiato le carte in tavola proponendo di inserire nell’agenda un punto sull’applicazione dell’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi. Secondo questi Paesi l’articolo, che esprime gli obblighi per i Paesi sviluppati di assistere con risorse finanziare quelli in via di sviluppo nella mitigazione e nell’adattamento, non è mai stato realmente implementato nel corso dei dieci anni da Parigi. Hanno chiesto quindi che si cominci a discuterne.
L’idea alla base della proposta potrebbe essere scaturita dalla stessa struttura del NCQG. L’obiettivo, infatti, prevede una mobilitazione – con i Paesi sviluppati nel ruolo di leader – di almeno 300 miliardi l’anno entro il 2035i, verso le nazioni in via di sviluppo. Il goal si inserisce in una chiamata più verso tutti gli attori per aumentare la finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo fino ad almeno 1.300 miliardi all’anno entro il 2035.
L’accordo non riporta il linguaggio dell’articolo 9.1 e non definisce un obiettivo specifico di finanza fornita (“provided”) dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Un’assenza che era stata attribuita ad una vittoria negoziale da parte dei Paesi sviluppati, ma che probabilmente nasconde un significato più grande. Come abbiamo riportato da COP29, infatti, sul tema del NCQG si scontravano sostanzialmente due visioni opposte:
- i Paesi in via di sviluppo chiedevano di fissare una percentuale considerevole di finanza pubblica nel goal (all’inizio del negoziato la totalità dei 1.300 miliardi all’anno era richiesta da finanza pubblica, mentre verso gli ultimi giorni la cifra è scesa a 440-900 miliardi da finanza pubblica su un totale di 1.300 mobilitati);
- i Paesi sviluppati parlavano della necessità di allargare la base di contribuenti a tutte le fonti possibili, e proponevano una definizione del goal che si avvicinava molto a quanto è poi stato concordato a COP29.
Secondo i Like Minded Developing Countries, quindi, il nuovo NCQG non risponde all’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, ma al contrario si focalizza troppo sul ruolo che la finanza privata potrebbe occupare nell’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo. Questa visione, tuttavia, non tiene sufficientemente in considerazione la attuali barriere di investimento che impediscono un’azione climatica ambiziosa. Inoltre, non si considera con attenzione il fatto che il settore privato non è un attore interno dell’Accordo di Parigi o alla Convenzione ONU sul clima – e per questo non può essere considerato responsabile dell’erogazione dei finanziamenti definiti ai Paesi in via di sviluppo. L’aumento di risorse finanziarie pubbliche concessionali o altamente concessionali sarebbe invece fondamentale per superare questi limiti e garantire risorse adeguate ai Paesi in via di sviluppo.
Le considerazioni presentate si basano su preoccupazioni concrete. Finora le fonti private hanno rappresentato solamente una quota limitata nella finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo, e saranno necessarie molte misure per far sì che arrivino a coprire la metà dei 1.300 miliardi, come stimato dall’High Level Expert on Climate Finance. La Road to Belem for 1.3 T e il circolo dei ministri della finanza istituito dalla presidenza di COP30 sono stati pensati proprio con il compito di aiutare nell’aumento dei flussi finanziari verso i Paesi in via di sviluppo. Vedremo se riusciranno nel loro intento.
Nel compenso a Bonn, dopo quasi due giorni di intensa negoziazione tra le Parti l’agenda è stata approvata alle 17:30 di martedì, senza includere il punto sull’applicazione dell’articolo 9.1. Il compromesso raggiunto riguarda la conduzione di intense negoziazioni sul tema, durante questi negoziati, da parte dei due organi tecnici che ogni anno accompagnano e preparano le COP, SBI e SBSTA. I risultati saranno riportati alla COP30 di Belém in modo da decidere come procedere. Gli interventi dei Paesi in via di sviluppo durante la plenaria hanno dimostrato che da parte loro c’è un forte interesse a mantenere vivo il discorso riguardo gli obblighi finanziari dei Paesi sviluppati. Non è escluso che nell’agenda di Belém vedremo comparire l’implementazione del 9.1 dell’Accordo di Parigi.
Articolo a cura di Claudia Concaro, delegata di Italian Climate Network ai negoziati di Bonn SB62.
Immagine di copertina: foto UNFCCC.