COP29 analisi completa italian climate network
24
Nov

COP29, L’ANALISI COMPLETA DI ITALIAN CLIMATE NETWORK

Dopo due settimane di negoziati difficili e forti tensioni, per chiudere definitivamente la COP29 sono servite molte ore extra di trattative. Ore serrate, con le delegazioni chiuse in sala anche di notte per discutere accordi che, tra forte scontento sui testi definitivi e passi indietro su scienza e mitigazione, alla fine sono però arrivati.

Centrale il tavolo della finanza climatica, intorno a cui ruotava ogni altro tema trattato qui a Baku. Alla fine si è trovato l’accordo: il vecchio obiettivo globale di finanza per il clima, che prevedeva di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno verso i Paesi in via di sviluppo entro il 2025, viene sostituito con un doppio obiettivo che porta ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 la mobilitazione di risorse finanziarie, con i Paesi industrializzati nel ruolo di leader, nell’ambito di un più ampio incremento globale e multi-attore della finanza per il clima che punterà a mobilitare almeno 1300 miliardi all’anno entro il 2035. 

Per quanto riguarda gli impegni a valere principalmente sui Paesi industrializzati parliamo dunque di cifre ben lontane da quelle richieste dai Paesi in via di sviluppo e dalla società civile, ma soprattutto dalle comunità più vulnerabili che stanno già affrontando gli effetti più catastrofici della crisi climatica pur essendone responsabili solo in minima parte. Allo stesso tempo, l’impegno di mobilitazione complessiva di 1300 miliardi l’anno rappresenta un notevole passo avanti politico da parte dei Paesi sviluppati – ricordiamo che solo un mese fa parlare di trillions sembrava fantapolitica.

Sensazioni agrodolci e delusioni anche su altri temi, primo fra tutti quello della mitigazione, relativo alle misure necessarie a limitare l’aumento delle temperature entro 1.5°C al di sopra dei livelli preindustriali: dal testo è addirittura sparito il riferimento a questa soglia cruciale. Similmente, la prima COP successiva al Global Stocktake dell’uscita dalle fossili sembra essersi dimenticata di quel transition away che solo un anno fa aveva parzialmente tenuto viva l’ambizione globale, fino al collasso notturno dei testi proprio sull’implementazione del GST, clamorosamente rimandati al 2025.

Ma andiamo subito al sodo con l’analisi di Italian Climate Network, che ha seguito la ventinovesima Conferenza delle Parti direttamente dalle sale di Baku, e vediamo insieme che passi avanti abbiamo fatto – e quali passi indietro – su ogni tema negoziale.

Finanza, il Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale 2025-2035

Il precedente obiettivo finanziario di 100 miliardi di dollari all’anno per i Paesi in via di sviluppo viene esteso ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, in finanza pubblica e privata mobilitata, con i Paesi sviluppati nel ruolo di leader. Una formulazione che lascia la possibilità di includere, seppur senza alcun obbligo, ma con un incoraggiamento,  i contributi di Paesi con elevate emissioni o capacità contributiva (Cina, Corea del Sud, Paesi OPEC del Golfo), non inseriti tra quelli sviluppati nella Convenzione ONU sul clima.
L’accordo finale prevede inoltre che entro il 2035 vengano mobilitati almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno a livello globale, tenendo in considerazione tutte le fonti private e pubbliche e – secondo una formula inusuale per il linguaggio dei trattati –  “tutti gli attori”.

La finanza mobilitata a livello internazionale verso i Paesi in via sviluppo dovrà finanziare la parte condizionata ad aiuti esterni dei piani clima sotto l’Accordo di Parigi, gli NDC, dei Paesi del sud del mondo, oltre ai loro piani nazionali di adattamento e relative comunicazioni alle Nazioni Unite, oltre ad altri piani e politiche minori. 
Il testo di Baku prevede inoltre che vengano significativamente aumentate le risorse pubbliche per i fondi per l‘adattamento (Adaptation Fund, Least Developed Countries Fund, Special Climate Change Fund) e almeno triplicare i flussi  di risorse in uscita ai fondi nel 2030, rispetto al livello del 2022. Anche qui l’assenza del riferimento ai soli Paesi sviluppati come contribuenti lascia spazio all’inclusione dei Paesi in via di sviluppo. 

Per fare chiarezza sul raggiungimento del layer più esterno dell’obiettivo finanziario, quello di 1300 miliardi di dollari annui, viene lanciata una roadmap che, da Baku a Belém, cercherà di incrementare la finanza del clima anche sotto forma di concessioni, strumenti concessionali e misure per la creazione di spazio fiscale per lo  sviluppo sostenibile e l’implementazione dei piani climatici dei Paesi in via di sviluppo. 

Dal punto di vista dei diritti e della giustizia climatica, solo una menzione generica al principio di equità e responsabilità comuni ma differenziate nel preambolo. Nessuna menzione ad un vero e proprio diritto di accesso alla finanza per il clima per le comunità più vulnerabili, debitamente elencate ma nel contesto di incrementare ed estendere i loro benefici. Un testo debole anche sotto questo punto.

In un contesto in cui neanche in questa storica occasione si è arrivati a chiarire una definizione di finanza per il clima (ma solo, come visto, della sua destinazione), la COP fallisce quindi nel dotare il mondo di un nuovo obiettivo all’altezza delle aspettative immediate dei Paesi più fragili, ma ne trova uno di compromesso, un compromesso ora da percorrere. Salvo forzature politiche questa decisione rimarrà in vigore per i prossimi dieci anni.

Implementazione del Global Stocktake

I lavori sul Global Stocktake del 2023 sono stati spacchettati a COP29 in tre tavoli negoziali.

Il primo, elementi procedurali e logistici del processo, si è concentrato sulla valutazione dell’efficacia degli NDC nel contesto globale di mitigazione, con particolare attenzione alla scienza disponibile. Alcuni Paesi, guidati dall’Arabia Saudita, hanno cercato di ridurre il ruolo dell’IPCC, proponendo l’uso di altri fonti scientifiche. Questa sfiducia nei confronti dell’IPCC è ricorrente, come evidenziato da una proposta simile della Russia a Bonn. Inoltre, alcuni Paesi chiedono un report IPCC prima del GST2 del 2028, mentre altri ritengono che forzare la scienza a tenere il passo con la politica possa essere dannoso. Alla fine, il testo non è stato approvato e l’intero pacchetto è stato rimandato ai negoziati intermedi per ulteriori discussioni.

Il secondo tavolo, il dialogo annuale sul Global Stocktake, si è concluso senza decisioni concrete. Svoltosi a Bonn a giugno, il dialogo ha visto Stati e stakeholder confrontarsi sull’implementazione degli NDC e la cooperazione internazionale. Gli Stati dovevano decidere se proseguire questi incontri nei prossimi anni e se includerli nei futuri NDC. Sebbene tutte le Parti abbiano espresso soddisfazione per il lavoro svolto, i Paesi in via di sviluppo considerano il mandato concluso. Nonostante le lunghe negoziazioni, non sono emerse conclusioni decisive e la Regola 16 è stata applicata a questo tavolo, rimandato quindi ai prossimi negoziati.

Il terzo negoziato, il dialogo degli Emirati Arabi Uniti sul Global Stocktake, è stato il più complesso, focalizzandosi su come tradurre i risultati del primo inventario (GST1) in azioni nazionali concrete, invitando gli Stati ad aumentare l’ambizione nei prossimi NDC. Inizialmente il dialogo era stato inserito nella sezione sulla finanza climatica, ma si è deciso di adottare un approccio olistico che includesse non solo la valutazione dei progressi collettivi, ma anche il finanziamento, come richiesto dall’UE. Tuttavia, il dialogo sarà limitato fino al 2026, come chiesto dal G77. Organizzativamente, i dialoghi si terranno annualmente a Bonn, strutturati in due sessioni di mezza giornata, con un portale per raccogliere input da Paesi e stakeholder. Inoltre, nel testo finale è stato rimosso il riferimento a un “rapporto annuale sui progressi globali” in favore di una riaffermazione del ruolo dei combustibili di transizione. Infine, è stato discusso se redigere un report dei dialoghi, ma alcuni Stati si sono opposti. Questo punto ha bloccato il consenso attorno a questo dialogo, che non è stato approvato e dunque rimandato ai negoziati intermedi.

Programma di lavoro sulla Mitigazione

Quello della mitigazione è uno dei temi cruciali delle COP sul clima, o almeno dovrebbe. In questa COP ha rappresentato invece uno dei più grandi fallimenti negoziali dell’anno, dopo due settimane di silenzio nelle sale.
L’Emissions Gap Report 2024 pubblicato poco prima di COP29 dall’UNEP ha mandato un segnale allarmante mostrando chiaramente che con gli attuali impegni nazionali contenuti negli NDC, il meglio che ci si può aspettare è un riscaldamento globale catastrofico fino a 2,6°C nel corso del secolo. Nonostante queste premesse le due settimane di COP29 hanno visto un continuo stallo e blocco delle discussioni sulla mitigazione, blocco imposto da Cina (seguita da tutto il gruppo negoziale Like Minded Developing Countries), Arabia Saudita (e tutto il gruppo negoziale dei Paesi arabi) e Paesi africani. Questi Paesi hanno più volte ribadito di non voler accettare obiettivi imposti dall’alto o da altri stati. Per questa ragione nel testo finale del Sharm el-Sheikh mitigation ambition and implementation work programme (MWP) manca qualsiasi riferimento a una rapida e sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra.

Inoltre, nel testo non si fa riferimento all’uscita dai combustibili fossili, non compare mai “transition away from fossil fuel” come deciso a COP28; mai citati il contenimento dell’aumento della temperatura media globale (entro 1.5°C o almeno 2°C) e il picco delle emissioni. L’anno scorso a COP28 si discuteva di raggiungere picco delle emissioni prima del 2025; a COP29 non si fa riferimento al 2025 ne a nessun altro anno – semplicemente nella decisione finale il picco non viene mai citato.
Non solo. l testo non definisce azioni o impegni concreti per ridurre le emissioni e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Nessuna traccia di parole chiave come fossil fuel, phase out, transition, NDCs e renewable energy.

È trattata una generica riduzione delle emissioni operative (da riscaldamento, raffreddamento ed elettrodomestici), la progettazione di cappotti edilizi per l’efficienza energetica (per ristrutturazioni e nuove costruzioni), la riduzione delle emissioni incorporate (nei materiali da costruzione), la pianificazione territoriale e infrastrutture a basse emissioni di carbonio, l’elettrificazione e il passaggio a fonti da tecnologie pulite e a basse emissioni, il miglioramento dello stoccaggio del carbonio attraverso infrastrutture verdi e blu.

Viene richiamata espressamente “l’importanza della collaborazione internazionale e dei mezzi di attuazione, compresi i finanziamenti, il trasferimento di tecnologie, lo sviluppo di capacità, la condivisione delle conoscenze e la sensibilizzazione, per aumentare urgentemente l’attuazione delle azioni di mitigazione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo”

Si ipotizza la creazione di una piattaforma digitale per facilitare l’attuazione delle azioni di mitigazione per migliorare la collaborazione tra governi, finanziatori e altre parti interessate per lo sviluppo di progetti. Infine, entro il 1 febbraio 2025 dovranno essere presentati gli argomenti, successivamente decisi e comunicati entro il 1 marzo 2025, da discutere nei “dialoghi” del 2025. Complessivamente, però, ci troviamo davanti a un deciso passo indietro rispetto a COP28. Nelle parole e nel contenuto.

Obiettivo globale sull’Adattamento

Non più di 100 indicatori per la reportistica, con opzioni flessibili per ogni Paese in base alle oggettive circostanze locali. Si chiude così uno dei negoziati più complessi di COP29, che ha visto le Parti confrontarsi in lunghe sessioni tecniche. 

Gli indicatori servono ad aiutare i Paesi a misurare i progressi raggiunti verso gli obiettivi di adattamento stabiliti nel Global Goal on Adaptation (GGA) secondo un approccio sia incrementale che trasformativo. In questo contesto, tra gli ulteriori indicatori che possono essere applicati restano quelli sugli ecosistemi e quelli finalizzati a cogliere l’inclusione sociale, le persone indigene, i processi partecipativi, i diritti umani, le persone giovani e quelle con disabilità. C’è poi una novità positiva: le Parti hanno ripristinato la menzione all’eguaglianza di genere e alle persone migranti che in precedenti bozze di lavoro, come avevamo evidenziato, non comparivano.

All’elenco degli indicatori si aggiungono anche quelli relativi ai fattori che aumentano la probabilità di successo delle misure di adattamento: tra questi il trasferimento di tecnologie, capacity-building e l’importanza dei tempi, della fattibilità e dell’accesso alla finanza per l’adattamento. Viene infine stabilita la creazione della Baku Adaptation Road Map per continuare i lavori sul GGA, così come risulta confermata dal testo l’importanza della migliore conoscenza scientifica disponibile e del ruolo dell’IPCC nell’informare il processo.

Articolo 6 e mercati del carbonio

Sapevamo che COP29 sarebbe stata anche la COP dell’Articolo 6. La stessa Presidenza aveva annunciato la chiusura del pacchetto (con quasi 10 anni di ritardo) durante gli scorsi intermedi di Bonn. Sembrava una missione impossibile ma le decisioni sono effettivamente arrivate e riguardano sia la cooperazione bilaterale tra Paesi (Articolo 6.2) che il Meccanismo di Credito sotto l’Accordo di Parigi (nuovo nome e nuovo acronimo, PACM). Non sono mancate le proteste della società civile, rispetto a testi ritenuti deboli per l’assenza di sufficienti garanzie sulla credibilità del contributo di mitigazione dei crediti emessi e sulla tutela dei diritti umani nei progetti che saranno selezionati e finanziati, viste le brutte esperienze dell’ultimo decennio.

In avvio di COP, il primo giorno, la plenaria ha adottato una proposta del Presidente che prendeva atto del lavoro svolto dal Supervisory Body dell’Articolo 6.4, che in estensione del proprio mandato originario aveva già adottato in ottobre le metodologie minime per i nuovi crediti e una metodologia specifica per i progetti di rimozione del carbonio, oltre allo Strumento di Sviluppo Sostenibile (una valutazione ex ante di ogni nuovo progetto sulla base degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile), a completamento di un pacchetto che aveva già visto adottato nel corso dell’anno l’innovativo strumento di vertenza per le popolazioni coinvolte.

Nello specifico, la metodologia adottata prevede di strutturare le basi di partenza (storiche) su cui calcolare il contributo di mitigazione secondo una traiettoria decrescente nel tempo (“downwarding adjustment”), anche se la società civile fa notare che le metodologie di calcolo potrebbero non essere così stringenti o precise

Per quanto riguarda le rimozioni di carbonio dall’atmosfera la nuova metodologia prevede clausole di responsabilità per gli sviluppatori nel caso del fallimento evitabile di progetti, con un nuovo approccio che prevede per tutti gli sviluppatori la creazione obbligatoria di potenziali crediti aggiuntivi, da non commercializzare, da usare solo in caso di sostituzione – un approccio che pur regolando finalmente il settore non ha convinto il mondo degli sviluppatori. Interessante notare che secondo la nuova metodologia un progetto può essere immediatamente sospeso non appena un portatore d’interesse segnali un potenziale fallimento tecnico dello stesso. Sono state infine previste clausole di flessibilità nello sviluppo e reportistica per i Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda invece l’Articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi nella sua interazione con l’Articolo 6.4, il tema caldo della COP è stato quello dei registri. Nel mondo dei crediti di carbonio, sia nel mercato volontario che nei sistemi nazionali, esistono registri che raccolgono dati chiave sui progetti e sui crediti scambiati. Molti attori, in particolare l’Unione Europea, auspicavano da anni che la COP istituisse un registro ONU unico e vincolante sotto l’Articolo 6 per tutti i crediti emessi e scambiati, ma questo punto è sempre stato fortemente osteggiato dagli Stati Uniti, che preferivano la deregolamentazione. La decisione finale adottata a Baku è un compromesso: il nuovo registro ONU si farà ma sarà un registro leggero, quasi passivo, nel quale riportare i dati degli altri registri esistenti secondo un approccio “apri e vedi”. Solo in caso di necessità (non disponendo di registri nazionali) i Paesi in via di sviluppo potranno chiedere un supporto attivo dalle Nazioni Unite nel registrare le loro transazioni nel registro ONU.

Reazioni miste, come dicevamo. Entusiasmo palpabile in sala dopo nove anni di negoziati, ma anche tra gli sviluppatori di progetti e portatori di interesse nel mercato volontario, che vede ora la possibilità di nuove e attese convergenze (e quindi opportunità di sviluppo) verso il nuovo sistema ONU. 

CAN segnala, infine, una falla dal punto di vista dei diritti umani: il testo adottato a Baku non dice niente in merito all’eventuale divieto di utilizzo sotto il nuovo sistema di progetti che violino apertamente i diritti umani delle comunità coinvolte. I diritti umani non sono mai nominati nell’intero testo. 

Trasparenza

Le Parti dell’Accordo di Parigi sono tenute a presentare Relazioni biennali sulla trasparenza (BTR) ogni due anni: la prima presentazione dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2024. A COP29 si voleva garantire che tutte le Parti fossero pronte a presentare le loro Relazioni

A Baku si sono svolti due laboratori operativi per fornire supporto alle Parti nelle fasi finali della preparazione della BTR, con assistenza individuale e un supporto mirato per tre moduli: inventario dei gas serra, progressi sui contributi determinati a livello nazionale (NDC), supporto per i formati tabulari comuni.

Le Relazioni biennali sulla trasparenza includono informazioni su: report di inventario nazionale; progressi verso NDC; politiche e misure, impatti e adattamento ai cambiamenti climatici; livelli di supporto finanziario, sviluppo e trasferimento tecnologico e rafforzamento delle capacità, esigenze di rafforzamento delle capacità e aree di miglioramento. I piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati possono inviare le informazioni richieste per la relazione a loro discrezione.

Per l’invio di quanto richiesto dalla Relazione biennale sulla trasparenza, si utilizza l’applicazione ETF Reporting Tools, a cui possono accedere solo i compilatori nazionali nominati, tramite uno specifico portale di invio. A Baku, prima di COP29, la Presidenza azerbaigiana ha anche lanciato l’iniziativa Baku Global Climate Transparency Platform che dovrebbe incrementare il sostegno ai Paesi in via di sviluppo.

Giusta Transizione

I dibattiti sul Programma sulla Giusta Transizione sono stati intensi, con i Paesi in via di sviluppo che chiedevano più supporto finanziario e il rispetto del principio di responsabilità differenziata. Il programma mira a sviluppare strategie per contrastare l’aumento delle temperature promuovendo lo sviluppo sostenibile, con un’attenzione speciale ai lavoratori. Tuttavia, i Paesi in via di sviluppo hanno criticato la bozza finale, giudicandola insufficiente senza impegni concreti. Le divergenze riguardavano soprattutto l’ambito di applicazione: i Paesi sviluppati preferivano politiche nazionali, mentre il G77 sosteneva un approccio internazionale e cooperativo. La questione del finanziamento resta cruciale, con una richiesta di un fondo dedicato per le transizioni nei Paesi vulnerabili.

Nel testo, i diritti umani erano menzionati solo nel preambolo, richiamando l’Accordo di Parigi. Un punto positivo è l’enfasi sulla partecipazione delle comunità nei processi decisionali. Tuttavia, anche questo tavolo negoziale non ha raggiunto un consenso e il tema è stato rimandato ai negoziati intermedi di Bonn.

Politiche di genere e diritti

Dopo una partenza tutta in salita – con Paesi Arabi, Santa Sede e Russia che contestavano l’utilizzo di termini cruciali del testo sul Gender Work Program – sembra che alla fine i Paesi siano venuti a più miti consigli. Il testo finale di COP29, infatti, mantiene la parola “gender”, la più rilevante per questo filone trasversale di lavoro nella UNFCCC. Permangono punti di criticità, in particolare, l’assenza dei termini “intersezionalità” (sostituita con “multidimensionalità”, meno tecnico) e “diversità”, soprattutto con riferimento alle donne; manca, purtroppo, anche un riconoscimento della protezione delle attiviste per l’ambiente. Tra le decisioni a cui si fa riferimento è poi sparita, paradossalmente, ogni menzione all’Accordo di Parigi, che oltre a essere una pietra miliare dei negoziati sul clima è stato il primo testo a menzionare i diritti umani nel preambolo.

Confermata infine l’estensione di altri dieci anni del Lima Work Programme, così come lo sviluppo di un nuovo Gender Action Plan che lascia spazio per futuri possibili incrementali sviluppi sui diritti delle donne.

Verso i prossimi NDC

Quest’anno la COP avrebbe dovuto proseguire l’esame di ulteriori orientamenti sulle caratteristiche dei contributi determinati a livello nazionale (NDC). I Paesi sono stati molto divisi, non solo sulle caratteristiche dei prossimi NDC (ricevute dalla COP ben 39 pagine di osservazioni), ma anche su quando finalizzarle. Dopo tre ipotesi, si è deciso che l’esame continuerá a novembre 2026. Altro punto negativo di COP29, visto che i prossimi NDC copriranno il quinquennio 2031-35

Biodiversità

La Presidenza di COP29 ha lanciato l’Iniziativa Trio di Rio per segnare l’impegno a catalizzare un’azione coordinata tra le tre Convenzioni delle Nazioni Unite di Rio (clima, biodiversità e desertificazione), con l’obiettivo di affrontare le tre sfide globali, strettamente legate tra loro. Tuttavia manca un filone negoziale specifico su clima e biodiversità (come del resto su clima e desertificazione) simile a quelli istituiti negli scorsi anni sulla transizione giusta o sull’agricoltura. Riteniamo da sempre che creare un’agenda negoziale condivisa tra cambiamenti climatici e protezione della biodiversità sia fondamentale, perché si tratta di sfide simili e legate strettamente tra loro, che non possono essere affrontate a compartimenti stagni.

Parlare o non parlare del CBAM europeo nella COP?

Il tentativo dei BRICS di inserire un nuovo punto negoziale sul CBAM europeo nella plenaria di apertura di questa COP era presto fallito, come già un anno fa a Dubai. Quel gruppo di Paesi, assieme a molti del G77, non hanno però mollato il colpo, continuando a proporre su più tavoli opzioni testuali simili in un tentativo di mainstreaming attorno alla formula “meccanismi implementati per la lotta al cambiamento climatico che impongono restrizioni unilaterali al commercio  internazionale”, non lontano dalle “misure unilaterali” viste durante il 2024 in ambito WTO, Assemblea Generale e BRICS. Nelle ultime ore di COP29 il punto è riapparso nel cappello introduttivo della decisione sull’implementazione del Global Stocktake. La decisione COP sul Global Stocktake stabilisce inoltre di avviare, da giugno 2025 a Bonn, un dialogo sul legame tra commercio e cambiamento climatico, un punto che viste le tensioni era rimasto tra parentesi fino alla plenaria conclusiva. Punto per la Cina? 

Verso COP30

Contro ogni pronostico, la COP di Baku riesce veramente a portare a casa le due decisioni-chiave sul nuovo obiettivo di finanza per il clima e sull’Articolo 6. Risultato affatto scontato visto il processo che, da quel giovedì di Dubai di un anno fa, ci ha poi portato qui a Baku in un Paese forse non troppo pronto, credevamo, a ospitare un evento multilaterale di tale portata.

La decisione finale sul nuovo obiettivo di finanza per il clima, come abbiamo visto, ha deluso molti – ma c’è . E rimarrà per i prossimi dieci anni. Il Meccanismo di Parigi per i Crediti di Carbonio dal 2025 potrà vedere la luce e svilupparsi, sempre più sotto la guida del Supervisory Body che ora dovrà svilupparne i registri. Pur nello sconforto di una decisione sulla finanza che non rende giustizia ai bisogni dei Paesi più fragili ed esposti ai cambiamenti climatici, l’Accordo di Parigi è ora davvero completo e, con l’NCQG, vede adottato il secondo dei suoi documenti-chiave per questi anni ‘20 dopo il Global Stocktake dello scorso anno e in vista del prossimo nel 2028. Da più realisti del re, non possiamo non sottolineare che la COP di Baku toglie diverse castagne dal fuoco a quella di Belém del prossimo anno, che vorrà e dovrà trattare altri temi.

Immagine di copertina: foto di UN Climate Change – Habib Samadov

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