03
Ott

MENO DI DUE MESI DA COP28, LE RICHIESTE

Loss and Damage vuol dire Perdite e Danni. La popolarità di questa espressione è esplosa durante la Cop27 di Sharm el-Sheikh, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è tenuta nel novembre del 2022 in Egitto. “Forse vi ricorderete di lei” perché pronunciata da qualche speaker radiofonico o conduttore di telegiornale. Ma cosa significa esattamente? A cosa serve? Come funziona? Facciamo un tuffo nel 2022, in Pakistan. 

È estate quando un terzo del Paese finisce letteralmente sott’acqua per monsoni senza precedenti. Questi fenomeni non sono qualcosa di straordinario in questa regione del mondo, ma ne  sono state l’intensità, la portata e la durata. In questa tragedia perdono la vita più di 1.700 persone, così come oltre un milione di animali da allevamento, mentre 38mila chilometri quadrati di coltivazioni vengono distrutti. E tra chi è sopravvissuto alla tragedia, 15 milioni rischiano di finire in povertà. I danni economici hanno superato i 30 miliardi di dollari e altri 16 miliardi serviranno per la ricostruzione, secondo i dati della Banca Mondiale. 

Queste inondazioni, le peggiori nella storia del Pakistan, sono state direttamente collegate al riscaldamento globale, che aumenta la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi.  Ma cosa c’entrano, invece, con il meccanismo delle Perdite e dei Danni? Il riscaldamento globale è dovuto alle attività umane, alle emissioni di gas serra che produciamo in grandi quantità bruciando combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. Non tutti gli Stati, però, sono ugualmente responsabili delle emissioni. Dalla rivoluzione industriale al 2017 gli Stati Uniti, da soli, hanno “vomitato” in atmosfera 400 miliardi di tonnellate di CO2, cioè il 25 per cento di tutte le emissioni che l’essere umano è riuscito a produrre dal 1850 a oggi. Unione europea e Regno Unito si attestano poco sopra il 20 per cento del totale. Al terzo posto c’è la Cina con poco più del 12 per cento del totale.  

E quanta CO2 ha emesso il Pakistan nella sua storia? Lo 0,28 per cento del totale. 

Insomma, possiamo affermare che il Pakistan non è responsabile del riscaldamento globale. Eppure nel 2022 ha vissuto uno dei peggiori disastri climatici. Il Pakistan, quindi, è diventato il simbolo dell’ingiustizia climatica, ma non è l’unico. Anche molti Paesi africani sono nella stessa condizione nonostante l’Africa, nella sua immensità, abbia causato solo il 3 per cento delle emissioni storiche. Dal 1991 in poi, però, il numero di eventi climatici estremi che colpiscono ogni anno i Paesi del sud del mondo è più che raddoppiato, causando circa 700mila morti. Se si considerano anche le persone che hanno subito danni alla propria casa o che hanno visto compromesso il lavoro, si arriva a 190 milioni di persone colpite ogni anno. Una cifra che rappresenta il 97 per cento del totale delle persone colpite sulla Terra. Insomma, è chiaro come non ci sia alcuna forma di equilibrio tra chi ha causato la crisi climatica e chi la subisce. 

Ed eccoci arrivati al momento clou: il meccanismo Loss and Damage serve a riparare le Perdite e i Danni che si sono già verificati a causa della crisi climatica o che inevitabilmente si verificheranno in futuro. Danni causati da eventi meteo estremi, come inondazioni, uragani, ondate di caldo esiccità, fino ai cambiamenti che si verificano su un arco di tempo più lungo, come la fusione dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari, la desertificazione e l’acidificazione degli oceani. 

Questo meccanismo rappresenta un tassello fondamentale nel mosaico di azioni che vanno intraprese per contrastare la crisi climatica. Un terzo pilastro che va ad aggiungersi a quelli della mitigazione e dell’adattamento. Ma non è un tema nuovo, è da più di trent’anni che se ne parla, per la precisione dal 1991. All’epoca, a proporlo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’UNFCCC, era stato Vanuatu, l’arcipelago che si trova nell’oceano Pacifico e che rischia di essere “cancellato” dalle mappe geografiche.

L’anno dopo, al Summit della terra di Rio de Janeiro, si adotta il Principio della responsabilità comune ma differenziata, che ha poi scritto la storia del diritto ambientale internazionale. Si mette, quindi, nero su bianco che tutti gli Stati hanno la responsabilità di affrontare la crisi, ma non allo stesso modo: devono farlo in modo proporzionato alle loro condizioni socio-economiche, ma soprattutto alle loro emissioni storiche. E spesso le due cose vanno di pari passo. 

Sono le ultime, frenetiche ore della Cop27 di Sharm-el-Sheikh, fuori tempo massimo rispetto alla durata prevista dei negoziati, il rischio è che non si raggiunga alcun accordo a causa di forti divergenze tra Paesi del nord e del sud del mondo. Ma poi la diplomazia prende il sopravvento e la decisione arriva. Nel trattato finale c’è la creazione del Fondo Loss and Damage che entra de facto nel mosaico dell’Accordo di Parigi. È un passo avanti importantissimo, storico.

Ora, però, bisogna capire chi eroga questi fondi e come. A chi devono andare queste indennità e a quali condizioni. Per esempio: la Cina deve contribuire come fosse un Paese ricco? O può continuare a fare la parte del Paese emergente per evitare di pagare i danni causati dalle sue emissioni? Tutte cose che dovranno essere discusse alla Cop28 di Dubai, che si aprirà a breve, a fine novembre. Nel frattempo, però, ciò che è successo in Pakistan – come previsto – non è rimasto in Pakistan, parafrasando uno slogan scritto sul padiglione del Paese asiatico a Sharm. E c’è chi, anche nel nord del mondo, ha iniziato a comprenderlo. Il 2023 per Europa e Stati Uniti sembra destinato a diventare un annus horribilis. Gli Stati Uniti sono già stati colpiti da più di 20 eventi meteo estremi, ma questo non sembra essere sufficiente per fermare la loro “ingordigia fossile” e le multinazionali a stelle e strisce continuano a essere protagoniste indiscusse della proliferazione di gas e petrolio a livello globale.

Articolo a cura di Tommaso Perrone, Direttore Lifegate

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