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EMISSIONI DI METANO: SIAMO FINALMENTE A UN PUNTO DI SVOLTA?

  • Il metano è il secondo gas serra in termini di emissioni climalteranti, dopo l’anidride carbonica, ed è responsabile di circa il 30% del surriscaldamento globale attuale rispetto al periodo preindustriale.
  • Durante e prima della COP28 sono state annunciate nuove normative statunitensi ed europee sulle emissioni di metano legate alle operazioni di estrazione e ricerca di combustibili fossili.
  • Nel contesto di nuovi impegni volontari a questo riguardo da parte dell’industria oil&gas, le nuove normative annunciate rafforzano le richieste di un accordo internazionale vincolante.

Stati Uniti ed Europa alla ricerca della leadership sulla riduzione delle emissioni di metano

Sabato scorso, nel padiglione USA della COP28 a Dubai, l’EPA (Agenzia per la protezione dell’ambiente USA), per voce dell’amministratore Michael S. Regan, ha annunciato un nuovo regolamento sul metano. Questo permetterà di ridurre di quasi l’80% – rispetto alle emissioni future in assenza della norma stessa – le emissioni di metano originate delle operazioni di estrazione e ricerca di combustibili fossili (upstream) dell’industria oil&gas americana. 

La norma finale dovrebbe, tra il 2024 e il 2038, prevenire l’equivalente delle emissioni climalteranti dell’intero settore di produzione elettrica statunitense del 2021 e, solo nell’anno 2030, l’equivalente delle emissioni annue di 28 milioni di auto.

Per la prima volta, inoltre, si richiederà ai produttori di aggiornare le attrezzature e di cercare attivamente le perdite nei propri pozzi e infrastrutture. Le aziende non potranno più semplicemente comunicare una stima da loro stessi calcolata sulla quantità di metano che fuoriesce dai loro siti, ma dovranno effettuare misurazioni reali tramite sensori e altri strumenti.

Si tratta della traduzione, in pratica, della volontà dell’amministrazione Biden di assumere un ruolo di leadership sul metano, leadership rivendicata però dall’Unione Europea.

Sempre a Dubai, infatti, la presidente della Commissione europea Von der Leyen ha sottolineato le nuove regole dell’Unione Europea. A novembre era, infatti, stato raggiunto un primo accordo tra Consiglio e Parlamento europeo su una norma analoga: l’obbligo di dichiarazione e misura diretta delle emissioni di metano dell’industria del carbone e dell’oil&gas, accompagnato da ispezioni periodiche delle autorità competenti e dal vincolo di riparazione immediata in caso di perdite. La norma EU si applicherà, dal 2027, anche alle importazioni di gas naturale; i produttori che vorranno esportare nell’UE dovranno uniformarsi alla legislazione europea. Dal 2030 è, inoltre, previsto un limite di intensità di emissione di metano.

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Perché proprio il metano 

Il metano è il secondo gas serra in termini di emissioni climalteranti, dopo l’anidride carbonica, ed è responsabile di circa il 30% del riscaldamento attuale rispetto al periodo preindustriale.  

È prodotto dalle discariche, dall’agricoltura, dall’allevamento (in particolare dei bovini), ma soprattutto dal settore dell’oil&gas (il 35% del totale, secondo solo all’agricoltura), dove il metano può fuoriuscire lungo tutta la catena del valore, dall’estrazione all’utilizzo. In particolare, nelle operazioni di estrazione sono comuni pratiche di flaring (pratica che consiste nel bruciare il gas in eccesso estratto insieme al petrolio) e di venting (rilascio diretto in atmosfera del gas).

Il metano ha una capacità complessiva di intrappolare calore (tecnicamente GWP, potenziale di riscaldamento globale) pari a ben 84 volte quella della CO2 in un periodo di 20 anni. Permane però in atmosfera molto meno della CO2 per poi trasformarsi proprio in anidride carbonica. Ha un tempo di vita medio di circa 12 anni, contro le centinaia di anni della CO2. La breve permanenza in atmosfera e l’alto GWP consentirebbe perciò di ottenere dalla sua riduzione risultati di mitigazione importanti già sul breve termine. 

Più volte l’IPCC e l’IEA hanno sottolineato il ruolo cruciale del metano nel raggiungimento degli obiettivi di Parigi e, secondo l’UNEP, una riduzione del 45% delle emissioni di metano causate dall’uomo eviterebbe quasi 0,3°C di riscaldamento globale entro il 2045.

Questi risultati sarebbero peraltro ottenuti a un costo bassissimo, se non addirittura con un guadagno: secondo l’International Energy Agency, infatti, “circa il 40% delle attuali emissioni di metano dall’attività globale dell’oil&gas potrebbero essere evitate a costo zero”.

Il Global Methane Pledge e la Cina

Alla COP26 di Glasgow nel 2021, gli Stati Uniti e l’Unione Europea avevano promosso il “Global Methane pledge”, un impegno volontario per ridurre le emissioni di metano di almeno il 30% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020. Inizialmente all’accordo multilaterale avevano aderito 130 Paesi

Nel frattempo, il numero di Paesi firmatari è cresciuto e ora comprende più di 150 nazioni. Purtroppo, mancano ancora all’appello Cina, India e Russia.

La Cina, però, pur non avendo aderito formalmente all’iniziativa, nella dichiarazione di Sunnyland del 14 novembre ha concordato con gli Stati Uniti di “attuare i rispettivi piani d’azione nazionali per il metano” e di “sviluppare le rispettive azioni/obiettivi di riduzione del metano da includere gli NDC 2035”.

Nonostante questi impegni, nel 2022 le emissioni di metano sono aumentate ancora.

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La COP28 e l’OGDC

Alla COP28 abbiamo visto nascere un nuovo accordo, sempre su base volontaria, sostenuto dalla presidenza emiratina, denominato “Oil and Gas Decarbonisation Charter” (OGDC).

Con esso cinquanta produttori di petrolio e gas naturale si sono impegnati a limitare le emissioni di metano dovute alle operazioni di ricerca ed estrazione dei fossili fino a ridurle quasi a zero entro il 2030, eliminando la pratica del flaring di routine

Le parti che hanno aderito all’accordo rappresentano oltre il 40% della produzione globale di petrolio: parliamo di colossi come Saudi Aramco, BP, ExxonMobil, Equinor, l’italiana ENI e, ovviamente, Abu Dhabi National Oil Company, di cui AlJaber è amministratore delegato. 

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Sarà la volta buona?

Oltre 320 organizzazioni della società civile hanno firmato una lettera aperta alla Presidenza della COP28, allo scopo di rigettare in toto la carta: senza un impegno formale, gli accordi su base volontaria hanno ben poca rilevanza da un punto di vista pratico. Soprattutto, ridurre le emissioni di metano delle operazioni upstream “non è sufficiente”. La grande maggioranza delle emissioni climalteranti dell’oil&gas, non coperta dall’Accordo, è legata all’utilizzo dei combustibili prodotti e non alle operazioni di estrazione e ricerca. “Il fatto che l’industria [oil&gas], in questo momento cruciale dell’emergenza climatica, si stia offrendo di riparare i disastri causati limitandosi a limare i bordi in sostituzione di un rapido phase-out di gas e petrolio è un insulto”. 

Intervenendo alla COP28, il Primo Ministro delle Barbados Mia Mottley ha fatto eco all’appello, chiedendo un accordo vincolante per la riduzione di queste emissioni“Se non c’è un accordo globale sul metano che sia obbligatorio, non arriveremo dove dobbiamo andare […] La scienza è chiara. Se si vuole essere in grado di abbassare il riscaldamento globale, è necessario controllare il metano”.

Articolo a cura di Elisa Terenghi, fisica dell’atmosfera e volontaria di Italian Climate Network.

In copertina: immagine a infrarossi delle emissioni di metano da un impianto europeo. Crediti Clean Air Task Force.

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