PERDITE E DANNI, L’URGENZA DI UN’OTTICA DI GENERE
Le donne pagano il prezzo più alto della crisi climatica e delle sue conseguenze.
Non si tratta di un fattore biologico, ma secondo il World Economic Forum, in un contesto globale in cui mancano più di 130 anni per vivere in un mondo di eque opportunità, le donne risultano le più impattate a causa dell’indissolubile legame che coesiste tra danni ambientali e diritti umani. Nello specifico, laddove una comunità o un gruppo di persone parte da una situazione di non riconoscimento dei propri diritti fondamentali o di radicata disparità, gli eventi estremi causati dal cambiamento climatico, come inondazioni, alluvioni e sismi, non faranno altro che inasprire la loro condizione di inequità, con impatti negativi all’integrità fisica e mentale, alla salute, alla sicurezza, e anche all’istruzione e al lavoro.
Secondo le Nazioni Unite, infatti, donne e ragazze in tutto il mondo sono in media 14 volte più a rischio di perdere la vita a causa di disastri naturali causati dal cambiamento climatico. Ad esempio, il 70% delle vittime dello tsunami che si è verificato nell’Oceano Indiano nel 2004 erano proprio donne. Questo accade principalmente perché sulle spalle delle donne, a livello globale, ricade ancora il peso sproporzionato delle attività di cura. In caso di emergenza, quindi, saranno probabilmente loro a pensare di mettere in salvo prima i bambini e gli anziani, rallentando così la propria evacuazione e aumentando i rischi per la propria incolumità fisica.
Inoltre, il fatto che in alcuni Paesi alle donne sia vietata ogni tipologia di pratica sportiva aumenta il loro rischio di perdere la vita in caso di inondazioni o alluvioni, poiché molto probabilmente non sapranno nuotare. Oppure, in tutti quei Paesi in cui non hanno accesso al credito o ai finanziamenti per le proprie attività, le donne saranno economicamente più lente a riprendersi in caso di catastrofi naturali che danneggiano il loro lavoro o le loro attività commerciali. Pensiamo anche a un semplice episodio di allagamento di un negozio.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), inoltre, l’80% delle migranti climatiche sono donne, poiché sono maggiormente coinvolte in settori come la pesca e l’agricoltura, che sono industrie altamente vulnerabili e particolarmente colpite dalla crisi climatica.
I must have del Fondo per perdite e danni
In questo contesto, dibattere sul Fondo per Perdite e Danni introducendo anche un’ottica di genere e intersezionale è di vitale importanza perché gli strumenti di contrasto alle conseguenze del cambiamento climatico siano realmente efficaci ed effettivi.
Innanzitutto, servirebbero maggiori dati disaggregati per genere che possano analizzare meglio le conseguenze della crisi climatica sulle donne e il fenomeno delle migranti climatiche.
Lo scorso giugno, l’OCSE ha pubblicato l’ultimo Social Institutions and Gender Index (SIGI) Global Report, introducendo per la prima volta anche dei dati e indicatori relativi a clima e pari opportunità. Un primo passo virtuoso che si auspica prosegua negli anni a seguire con maggiori indicatori e venga emulato anche da altre organizzazioni, includendo i Paesi più colpiti dalla crisi climatica a livello mondiale.
Tra i criteri di destinazione delle risorse stanziate dal Fondo, inoltre, servirebbe inserire anche una valutazione di impatto di genere per analizzare, ex-ante ed ex-post, le modalità di erogazione, i soggetti e i progetti destinatari del Fondo, assicurandoci che anche le donne ne possano beneficiare in base alle loro sfide più urgenti.
Secondo la Women’s Environment and Development Organization (WEDO), la COP27 ha avuto la rappresentanza femminile più scarsa della storia. Appena 7 le leader presenti, su un totale di 110.
Una sfida che non possiamo più ignorare e che non basta ovviare dedicando una giornata della Conferenza alle questioni di genere (quest’anno cadrà il 4 dicembre). Le pari opportunità dovrebbero essere un approccio mainstream e trasversale ad ogni accordo e negoziazione sul clima. Non dimentichiamo che le donne, oltretutto, oggi rappresentano più della metà della popolazione globale.
Articolo a cura di Martina Rogato, Sustainability/Diversity Advisor, Founder ESG Boutique e Co-chair Women7.org