ROADMAP BAKU TO BELÉM: UN PUNTO DI PARTENZA, O UN’OCCASIONE SPRECATA?
- Nella prima settimana dei negoziati intermedi di Bonn si sono svolte due consultazioni sulla Baku to Belém roadmap.
- La roadmap vuole trovare soluzioni concrete per aumentare la finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo, raggiungendo l’obiettivo di stanziare1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, come stabilito alla COP29.
- Nonostante l’approvazione del nuovo obiettivo di finanza climatica, le divisioni tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo sono ancora marcate.
COP29 si era chiusa con la promessa, da parte dei Paesi sviluppati, di raggiungere l’obiettivo di 1.300 miliardi di dollari all’anno di finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo entro il 2035. La base su cui costruire questo impegno è una roadmap, denominata “da Baku a Belém”, che, sotto la guida delle presidenze di COP29 e COP30, porterà alla creazione di un report. Farla funzionare è una prova di credibilità, ha avvertito il Segretario Generale UNFCCC.
Ed è proprio di credibilità che hanno bisogno i Paesi sviluppati: perché la finanza, nonostante l’accordo raggiunto a Baku, è un tema tutt’altro che chiuso per i Paesi in via di sviluppo. Lo dimostra l’impasse che si è verificato per l’introduzione nell’agenda di un punto sull’implementazione dell’articolo 9.1 di Parigi. Ed è evidente anche nelle discussioni che stiamo osservando altri tavoli negoziali, dalla mitigazione all’adattamento, fino alla giusta transizione. Nel caso delle discussioni sulla roadmap Baku to Belém la sensazione è che i Paesi considerati in via di sviluppo vogliano gettare le basi per un nuovo accordo di finanza climatica, più che interagire significativamente nella roadmap – che tuttavia potrebbe rappresentare uno strumento efficace per trovare almeno una parte delle risorse necessarie. Ma facciamo un passo indietro.
La roadmap si è aperta a febbraio con la richiesta delle presidenze di ricevere input, da Stati, organizzazioni e altre realtà, in merito ad aspettative sul processo, tematiche da trattare al suo interno, esperienze nazionali, eventuali best practices e lezioni imparate, o iniziative multilaterali da includere. Finora sono pervenuti 116 contributi, di cui solo 20 sono arrivati da Parti al processo UNFCCC. Le presidenze hanno anche organizzato delle consultazioni aperte, due delle quali si sono tenute qui a Bonn nella prima settimana dei negoziati intermedi.
Sia gli input alla roadmap che le consultazioni che abbiamo seguito di persona mostrano il fallimento del NCQG nell’appianare le divergenze tra le Parti. Le visioni sul processo, e più in generale sul futuro del discorso attorno alla finanza climatica, sono talmente differenti che le presidenze hanno identificato solo tre elementi in comune nelle submissions ricevute: la necessità che la roadmap sia orientata a definire soluzioni concrete, che coinvolga una grande quantità di attori differenti e che si basi sul principio di sovranità nazionale.
In particolare, i Paesi in via di sviluppo vedono la roadmap come un terreno fertile per portare avanti punti negoziali che non sono stati inseriti all’interno del nuovo obiettivo globale di finanza climatica. Secondo il G77+China, la roadmap dovrebbe:
- focalizzarsi non solo su adattamento e mitigazione, come delineato dal NCQG, ma anche sulle perdite e danni;
- assicurare che i Paesi assumano la leadership per il raggiungimento dei 300 miliardi di dollari all’anno previsto dall’obiettivo;
- esplorare anche il ruolo addizionale che i Paesi sviluppati devono ricoprire nel contesto dell’articolo 9.1, che come abbiamo spiegato qui non viene citato espressamente dal NCQG.
Su quest’ultimo punto, in particolare a Bonn è diventato evidente che l’assenza di menzioni all’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi è stata trasformata in una testa d’ariete per riaprire il discorso sulla finanza climatica. Come specificato dalla submission indiana, i Paesi in via di sviluppo ritengono che l’NCQG renda operativi solamente l’art. 9.2 e 9.3 dell’Accordo di Parigi, lasciando fuori il 9.1, che di conseguenza resta ancora da implementare. Da qui nasce l’idea che la roadmap debba evidenziare gli obblighi legali dei Paesi sviluppati, esplorando anche come l’articolo 9.1 possa essere implementato per la mobilitazione di 1.300 miliardi all’anno. Ulteriori punti inclusi nelle submissions riguardano temi come la necessità di aumentare la finanza concessionale e la finanza pubblica, di eliminare le barriere di accesso, di aumentare il bilanciamento tra mitigazione e adattamento.
Per i Paesi sviluppati, invece, la roadmap è una consultazione e non un’occasione per riaprire gli accordi di Baku. Considerano l’NCQG un traguardo storico che apre le porte ad una nuova era della finanza climatica. Sottolineano la volontà di fornire risorse finanziare, ma sostengono che le cifre necessarie potranno essere raggiunte solo coinvolgendo la totalità degli attori. Per questo, sostengono che la roadmap debba focalizzarsi su azioni concrete per aumentare la finanza privata, anche connettendo attori, processi e iniziative diverse. Fondamentale è quindi l’eliminazione di barriere e l’implementazione di abilitatori agli investimenti nei Paesi in via di sviluppo.
Il risultato della roadmap verrà riassunto in un report, presentato in bozza il prossimo 8 settembre e in versione definitiva a COP30. Solo allora sarà chiaro quale visione verrà messa in evidenza e quali soluzioni saranno identificate. In ogni caso, questa settimana di negoziati ha mostrato chiaramente che la cosa più importante è raggiungere i risultati promessi, nei tempi definiti. La pazienza di molti Paesi è finita; è il momento di implementare.
Articolo a cura di Claudia Concaro, delegata di Italian Climate Network ai negoziati di Bonn SB62.
Immagine di copertina: foto di Claudia Concaro.