20
Ott

TICKET TO THE FUTURE, COSA È STATO? IL RACCONTO DEI PROTAGONISTI

Con il consorzio di SPARK (il gruppo 20 ONG Europee con cui lavoriamo ormai da oltre 3 anni) qualche mese fa ci siamo incontrati per l’annuale coordination meeting a Bologna, e proprio in quell’occasione è nata l’idea di riunire giovanə attivistə per il clima da tutta Europa, e non solo, coinvolgendo anche tantə giovanə dai Paesi del cosiddetto Global South. 

Ecco, da quel momento è nata l’attività Ticket To The Future, che si è appena conclusa, in cui 140 persone tra staff delle organizzazioni e giovanə hanno raggiunto in treno Barcellona, dove si è tenuto il Festival Fixing To The Future.  Lo scopo di questo viaggio è stato il tempo “lento” insieme in cui abbiamo ricreato una situazione reale di incontro fra persone che lavorano per combattere la crisi climatica e, poi nello specifico, fra giovanə con vissuti, esperienze, provenienze, approcci di diverso tipo, costruendo uno spazio di dialogo, scambio, crescita. Condivisione di ciò che possiamo migliorare grazie a varie competenze e attitudini. 

Così ci siamo divisi in due gruppi diversi, uno più numeroso che si è dato appuntamento al 10 ottobre sera a Parigi e un gruppo più piccolo,partito da Madrid. Per la giornata dell’11 abbiamo riservato degli interi vagoni per le tratte Parigi-Barcellona e Madrid-Barcellona dove nelle ore di viaggio si sono svolti workshop, attività social e attività media.

Una volta arrivati a Barcellona abbiamo seguito 3 giornate di Festival che ha presentato i migliori 25 progetti selezionati da tutto il mondo, tra cui il nostro Ticket To The Future con ə giovanə:

“Over three packed days, Fixing the Future will bring together the best 25 future-shaping projects from across the world – from adapting AI technologies to farming innovation to drought mitigation to creative recycling. Meet the change-makers over a range of panel discussions, debates, workshops and performances.”

Nel programma hanno parlato gli attivisti del Global South e poi c’è stata la sezione dedicata alla climate justice a cui abbiamo partecipato attivamente anche come ICN. 

Ma adesso…lascio la parola ad Adele e Silvio per un racconto più da vicino di questa intensa avventura di attivismo, confronto e crescita per tuttə noi!

La voce di Adele Zaini

“Ciao cara, ho una proposta indecente per te!” Così è iniziata la mia partecipazione all’iniziativa del progetto SPARK. Dopo una prima veloce introduzione di Marirosa, sono salita su quel treno da Parigi a Barcellona con domande e incertezze riguardo al contributo che avrei potuto portare sul tema della giustizia climatica, ma anche carica, molto carica, di un entusiasmo amplificato dalla consapevolezza di avere tantissimo da imparare e scoprire da vissuti così diversi dal mio personale.

Sul treno di Ticket To The Future, ho avuto l’opportunità di ascoltare le storie delle attiviste Anita e Nakabuye da Kenya e Uganda e di Isaa dal Niger. Ecco, in quel momento ho realizzato l’abisso che esiste tra essere consapevole di un problema e ascoltare le parole e guardare negli occhi le persone che lo subiscono ogni giorno della loro vita, per le quali è la realtà delle loro vite; gli impatti della crisi climatica sulla comunità di Anita, le forme di neocolonialismo in Uganda, la totale e violenta repressione del diritto di protesta da Isaa. Ma anche, e soprattutto, mi hanno comunicato la loro inarrestabile convinzione e forza nel poter cambiare veramente queste situazioni, ognuno nella propria forma di azione: prendere parte nella politica, condurre compagne attiviste internazionali, fondare organizzazioni per contrastare l’impatto climatico e sociale di queste crisi.

Sono arrivata a Barcellona disorientata dalle inaspettate emozioni che stavo provando, ma anche carica dal fuoco di giustizia che sentivo. Ciò che avevo appena vissuto io sentendo la loro voce, guardandoli negli occhi, è fondamentale perché anche noi dal Global North veniamo personalmente scombussolati e coinvolti, perché non saranno i dati a muovere le persone e le istituzioni (che sono composte da persone…), ma le emozioni. Solo così contribuire a risolvere le situazioni di cui siamo storicamente responsabili diventa una priorità. Dobbiamo dare loro spazio e agire come parte di una popolazione globale, perché, come la CO2, anche le soluzioni non possono vedere confini.

Nei giorni successivi ho preso parte a numerose conferenze, talk e workshop del Fixing the Future Festival. Con gli anni, sono diventata sempre più scettica sull’effettiva efficacia e sostanza di questi festival, ma questo mi ha colpita. Non si è fermato alle parole delle lezioni frontali di esperti e esperte, ma gravitava attorno alla condivisione di 25 iniziative concrete che stanno già ora disegnando il cambiamento. Da Force of Nature con i suoi climate cafè per coinvolgere i giovani nell’azione e i repair cafè che riparano oggetti danneggiati, fino a JESAC che rigenera gli ecosistemi africani rendendo protagonisti i giovani e le donne in Niger e Burkina Faso e “le guardiane del pianeta”, donne Quechua che restituiscono la vita a laghi sacri nelle Ande.  Tutti progetti che non compaiono nei media mainstream, ma che esistono, vivono e che stanno rivoluzionando i nostri sistemi e società da dentro. Forse non sono sufficienti – come molti potrebbero criticare – ma sono vitalmente essenziali. E funzionano. Perché creano comunità per co-creare insieme il cambiamento. Le persone vengono attivamente coinvolte in questo movimento, e sono esse stesse a tenerci personalmente ad avere un impatto effettivo. Un festival, quindi, di molte poche parole vuote, ma di tantissime emozioni e di empowerment di ogni singola persona. Perché se tutti quei progetti esistono è per l’iniziativa di singoli individui e individue. Esattamente come ognuno di noi (anche tu!).

È difficile includere qui tutte le altre riflessioni, ma ciò che sento è che in questi giorni sono stati gettati i semini di una intensa e viva rete di persone infuocate dalla lotta per la vita. Ritorno a casa con la consapevolezza che il mio modo di agire, la parte di me attivista, cambierà, arricchita da vissuti e nuove prospettive e con la convinzione che l’attivismo per il clima si fa anche di piccoli successi quotidiani, perché, come la crisi climatica è complessa, così anche le soluzioni devono abbracciare tutte le scale di azione. Per riassumere, prendo in prestito le parole di Paul McCartney: “think global, act local”. Non solo uno slogan, ma la chiave della rivoluzione.


La voce di Silvio Mottolese

Il mio paese si trova nella provincia di Taranto. In quella zona ci sono dei grandi inquinatori – primo fra tutti l’Arcelor Mittal (ex Ilva) – che hanno plasmato la nostra mentalità nei confronti della questione ambientale e climatica. La gente non pensa di poter davvero contrastare la situazione perché queste realtà sono dei colossi: troppo grandi e troppo potenti, troppo radicati nella società, nell’economia e nell’immaginario del luogo.

Durante il progetto Ticket to the Future e il festival Fixing the Future ho ascoltato le storie di tante persone e in quelle storie risuonava, in qualche modo, l’eco del mio paese. Ho toccato con mano l’aspetto globale della lotta per la giustizia climatica e mi sono scontrato con le reali proporzioni della situazione e con l’urgenza di soluzioni. Quello che noi lì stavamo facendo era necessario: chiedere a gran voce la giustizia climatica con la campagna Loss & Damage e collaborare per trovare nuove soluzioni possibili. Nonostante le centinaia di storie, di background, di punti di vista diversi, tutti eravamo lì. Tutti lì eravamo una sola voce. E la mia preoccupazione per la mia terra diventava un singolo, minuscolo capitolo di una storia molto più grande.

Dal mio punto di vista il progetto Ticket to the Future può essere pensato come un modo per ridurre l’esternalizzazione di tutti quei problemi legati alla ripercussione dei cambiamenti climatici sul cosiddetto “Global South”. Ascoltare persone che quei disastri li hanno osservati in prima persona significa far scattare nelle mentalità di noi ragazzi del “Global North” una scintilla di coscienza critica, il che apre le porte alla scelta di un riposizionamento attivo nelle dinamiche globali di potere. Noi a queste ingiustizie non vogliamo prendere parte!

Io, ad esempio, sono rimasto colpito dal racconto di Jakob, un ragazzo della Lettonia che è regista e fotografo (e musicista doom death metal!). Jakob è stato in una zona rurale della Tanzania abitata dai Masai, una zona che era disastrosamente arida perché non pioveva da quattro anni. Mi ha mostrato alcune scene agghiaccianti del suo documentario “Water is life”: letti di fiumi completamente asciutti, ponti ormai inutili perché sotto non c’è più acqua, tante carcasse di animali in putrefazione, morti per siccità. Tutto questo è in netto contrasto con l’immagine comune che si ha dell’Africa come una sorta di paradiso ecologico della biodiversità. Tutto questo è reale. La storia di Jakob ha un lieto fine perché due giorni dopo che lui e la sua troupe sono ripartiti, in quella zona è scrosciata una grande pioggia e il fiume asciutto che avevo visto nelle immagini era tornato pieno e vivo. Ad ogni modo stare faccia a faccia con una testimonianza così tragica mi fa chiedere quanto considerare “lieto” questo finale non sia ipocrita per un ragazzo del “Global North”. Io ho la facoltà di vivere queste realtà come storie, storie lontane che possono avere un finale, una morale, un significato, ma per la gente che le vive sono tutta la vita quotidiana, cruda, brutale e senza senso.

Partecipare al progetto Ticket to the Future mi ha dato una forte spinta, una fiducia nel fatto che, nonostante tutte queste effettive difficoltà, qualche cosa si può sempre fare. Le conferenze, i workshop, i progetti innovativi, le belle amicizie… tutto questo fermento è stato per me davvero vitale. Ci sono tanti esempi reali di persone che hanno fatto e fanno qualcosa per contrastare la crisi climatica ed è per questa ragione che ho apprezzato l’approccio del festival; non era tanto centrato sulla crisi climatica in sé, quanto piuttosto sulle SOLUZIONI alla crisi. Un approccio costruttivo che va oltre la crisi stessa.

Non so quanto le sfere alte dei decision makers tengano realmente conto degli sforzi di tutta questa gente, di noi, ma ora so che alzare la voce è nostra responsabilità. Dobbiamo liberare la mente dalle dinamiche di potere e mantenere sempre aperta la possibilità al cambiamento.

Introduzione a cura di Marirosa Iannelli, Coordinatrice Clima e Advocacy di Italian Climate Network con i contributi di Adele Zaini e Silvio Mottolese

You are donating to : Italian Climate Network

How much would you like to donate?
€10 €20 €30
Would you like to make regular donations? I would like to make donation(s)
How many times would you like this to recur? (including this payment) *
Name *
Last Name *
Email *
Phone
Address
Additional Note
Loading...