VERSO COP16 SULLA BIODIVERSITA’: IL SUMMIT EUROPEO SULLA NATURA E IL SETTORE PRIVATO
Mercoledì 11 e giovedì 12 ottobre si è tenuto a Milano l’European Business & Biodiversity Summit. Lo scopo del summit è stato fare il punto in vista della COP16 sulla biodiversità che si terrà l’anno prossimo, in una location da definire dopo che la Turchia ha ritirato la propria candidatura. L’obiettivo del Summit a Milano era quello di capire quanto il settore privato sia preparato rispetto agli obiettivi dettati dal Global Biodiversity Framework (GBF), l’accordo globale sulla biodiversità adottato l’anno scorso a Montreal durante la COP 15, di cui avevamo parlato qui.
Più precisamente, il centro della discussione a Milano è stato il Target 15 del GBF che disciplina il ruolo e le responsabilità del settore privato e delle aziende nel contesto dell’Accordo.
Durante l’incontro si è parlato di molti temi tra cui l’importanza fondamentale dell’interconnessione tra cambiamento climatico e biodiversità, il cosiddetto climate change and biodiversity nexus. Il cambiamento climatico è una delle cause principali della perdita di biodiversità e, come aveva ricordato Elizabeth Mrema a COP27, ogni cosa è collegata e risolvere la crisi climatica avrà un impatto positivo anche sulla conservazione della biodiversità. Inoltre, la natura è fondamentale nella lotta al cambiamento climatico, per esempio perché assorbe CO2 dall’atmosfera e la immagazzina nelle piante o nelle alghe, e senza di essa non saremo in grado di mantenere le temperature globali al di sotto della soglia critica del 1.5°C. Come avevamo raccontato qui, a COP27 in Egitto si era tenuta la giornata dedicata alla biodiversità in una Conferenza delle Nazioni Unite sul clima e anche quest’anno a COP28 a Dubai si terrà una giornata tematica dedicata alla natura e alla biodiversità.
La necessità di avere delle metriche e degli standard per misurare gli impatti sulla natura è stato un altro tema affrontato durante il Summit. Molta strada è stata fatta negli ultimi anni per sviluppare delle metriche universali per misurare gli impatti delle aziende sulla biodiversità, ma un consenso globale su queste metriche deve ancora essere trovato e le aziende sono solo all’inizio del loro percorso di rendicontazione. Un’altro tema importante è avere delle terminologie comuni. Per esempio, si parla molto ultimamente di “nature positive” – infatti molte sessioni del Summit riportavano il termine nel titolo – ma manca una definizione condivisa su cosa si intenda esattamente col termine. Senza metriche condivise e terminologie comuni, sarà difficile aumentare l’ambizione a protezione della biodiversità del settore privato.
Si è affrontato il tema della finanza e dell’importanza degli investimenti privati a favore delle attività a protezione della natura. Diversi organizzazioni del settore finanziario hanno ribadito come proteggere la natura aiuta le aziende a ridurre i rischi finanziari e non legati alla natura e come le aziende debbano trasformare i loro modelli di business per contribuire maggiormente alla conservazione e ripristino della biodiversità.
Si è discusso, poi, degli ostacoli che frenano un’accelerazione dell’azione privata a protezione della natura. Tra questi sono stati ricordati la mancanza di expertise e training adeguato all’interno delle aziende e la difficoltà di far capire al top management il vantaggio economico nell’inserire la conservazione e ripristino della biodiversità all’interno delle strategie aziendali.
E’ stato ricordato anche come un approccio multidisciplinare che tenga in considerazione, non solo la scienza sia climatica che basata sulla natura, ma anche le scienze umanistiche sia fondamentale per affrontare le sfide globali della lotta al cambiamento climatico e quelle poste dalla conservazione e ripristino degli ecosistemi naturali.
Infine, è stato sottolineato come non si parla sufficientemente di diritti umani e transizione giusta in relazione agli obiettivi di protezione della biodiversità (questo è vero anche in relazione al cambiamento climatico ndr). Uno dei relatori ha affermato che non possiamo concentrarci solo su obiettivi numerici come mantenere le temperature globali sotto l’1.5°C o conservare il 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030, senza darsi anche degli obiettivi di tutela dei diritti umani legati alla natura e che le sfide poste dalla natura, cambiamento climatico e diritti non possono essere vinte, se i diversi temi continueranno ad essere trattati separatamente.
Articolo a cura di Margherita Barbieri, Volontaria Italian Climate Network