NON SOLO TRANSITO: L’UCRAINA TRA ENERGIA ED EMISSIONI
(Questo articolo è stato aggiornato alla luce degli eventi bellici rispetto alla versione apparsa sul sito di ICN il 15 febbraio scorso)
Nelle settimane immediatamente precedenti l’invasione russa del territorio ucraino, molte testate e analisti si sono concentrati sul ruolo di Kiev come transito preferenziale per buona parte del gas importato ogni anno dall’Unione Europea – l’Ucraina è infatti il paese che trasmette più gas naturale al mondo. Scarsa attenzione, invece, alla vicenda energetica ucraina, domestica ed internazionale ed al ruolo che ha avuto il paese, oggi sconvolto dal conflitto, a livello di politiche interne ed internazionali su clima ed energia.
Fino alla metà degli anni Ottanta le emissioni ucraine ammontavano a un terzo di quelle allora emesse dell’odierna Russia. Nell’anno del picco emissivo del paese, il 1985, l’industria ucraina aveva già immesso nell’atmosfera 17,22 miliardi di tonnellate di CO2, contro i 54,33 miliardi di tonnellate della Russia come parte, entrambe, dell’allora Unione Sovietica (fonte: Our World in Data). Un gigante produttivo ed emissivo, insomma, che per ragioni geopolitiche godeva peraltro già allora di uno status speciale all’interno dell’URSS assieme alla Bielorussia, essendo – a differenza di tutte le altre singole repubbliche sovietiche – dotata di un proprio seggio alle Nazioni Unite come repubblica indipendente.
Con la metà degli anni Ottanta, la stagnazione economica ed il successivo dissolversi dell’Unione Sovietica, l’industria ucraina vide un rapidissimo declino e con essa le emissioni annuali del paese, che, come in tutti i principali paesi allora appartenenti al Patto di Varsavia, hanno continuato a calare vertiginosamente fino a metà degli anni Novanta, spinti dalla chiusura e riconversione delle industrie pesanti. Ad oggi l’Ucraina ha immesso cumulativamente nell’atmosfera 30,56 miliardi di tonnellate di CO2. Moltissimo se pensiamo alla dimensione dell’economia nazionale e della ricchezza del paese in termini generali e pro-capite: basti pensare che l’Italia, membro del G7 e del G20 e quindi fra le maggiori economie del pianeta, ad oggi ha emesso cumulativamente “solo” 24,74 miliardi di tonnellate di CO2. Questo dato, di nuovo, è sicuramente da leggersi alla luce della passata e massiccia presenza di industrie pesanti altamente energivore nei paesi allora membri dell’Unione Sovietica.
Con 213,91 milioni di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera nel 2020, l’Ucraina è oggi responsabile per lo 0,61% delle emissioni globali, con numeri simili a quelli di paesi come l’Argentina o il Vietnam (nell’anno del picco, il 1985, il paese rappresentava il 3,65% delle emissioni globali, con numeri di poco inferiori alla Germania di oggi).
Da dove provengono queste emissioni? L’energy mix ucraino è sufficientemente diversificato, con nessuna fonte di energia oltre il 30% del totale (fonte: IEA). Al primo posto nella produzione energetica ucraina troviamo ancora il carbone, che pesa per quasi il 30% e per il quale Kiev dipende al 50% da importazioni estere. Il carbone viene utilizzato quasi interamente per produrre elettricità. Al secondo posto nella produzione energetica il gas naturale, che il paese produce, compra e fa transitare, con una dipendenza da altri paesi per il 33% del totale. Un ruolo importante lo gioca l’energia nucleare, prodotta in quantità grazie all’imponente struttura allora messa in opera ai tempi dell’Unione Sovietica e che soddisfa il 24% dell’offerta energetica odierna. Ruolo assai meno centrale lo gioca il petrolio, con percentuali minime ma, tuttavia, quasi interamente dipendenti da importazioni (83%). All’ultimo posto le rinnovabili, con meno del 10% (fonti diverse oscillano tra 6 e 11%) sulla produzione nazionale di energia che deriva però quasi interamente da energia prodotta da centrali idroelettriche, con scarsa o nulla presenza di impianti eolici o fotovoltaici nonostante importanti miglioramenti negli ultimi anni. Complessivamente la produzione nazionale di energia copre il 65% della domanda per consumi, quindi con un importante grado di autosufficienza energetica per un paese purtroppo sconvolto da tensioni di altro tipo: economico (pesantissime le due crisi del 2008, dopo un decennio di crescita, e del 2017), politico, ora militare e geopolitico.
A livello internazionale, l’Ucraina è pienamente membro della Convenzione ONU sul clima ed ha ratificato l’Accordo di Parigi del 2015. Tuttavia, secondo dati di Climate Action Tracker le sue politiche interne su clima ed energia fino ad oggi sono da considerarsi altamente insufficienti e sicuramente troppo poco ambiziose rispetto agli obiettivi di Parigi, in un contesto di persistente crisi del settore energetico, con lo Stato che accumula debiti da pagare proprio per acquisti di energia. L’ultimo aggiornamento dell’NDC ucraino, presentato nel 2021, vede la conferma dell’obiettivo della neutralità climatica al 2060 ed una riduzione complessiva delle emissioni del -65% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 – abbiamo tuttavia visto poco fa come le emissioni ucraine avessero ampiamente raggiunto il proprio picco nel 1985 per poi calare a gran velocità negli anni successivi. Le riduzioni previste rispetto al 1990 di fatto sono già state raggiunte, o quasi, grazie al collasso del sistema produttivo sovietico avvenuto a inizio anni Novanta – lo si dice esplicitamente proprio nel testo dell’NDC. Se da un lato l’NDC non può dunque risultare ambizioso (non proponendo, di fatto, ulteriori diminuzioni), dall’altro non possiamo non considerare che il paese vive sotto un persistente stato di tensione economica, politica e militare.
Si potrebbe fare di più? Auspicando una rapida e pacifica risoluzione del conflitto armato con la Federazione Russa nel breve periodo, rimane comunque il fatto che a livello UNFCCC l’Ucraina vive nel paradosso della propria storia: per i suoi livelli emissivi e produttivi precedenti il 1992 e per la sua appartenenza alla ex galassia socialista il paese fa parte dell’Annex I, ossia di quei paesi del mondo considerati economicamente avanzati e responsabili per il problema del surriscaldamento globale. L’economia ucraina di oggi è tuttavia molto più simile (per fragilità e PIL pro-capite) a molte economie in via di sviluppo, che in virtù della divisione del mondo ONU in “ricchi e poveri” hanno facoltà di indicare nel proprio NDC quali misure avranno bisogno di supporto finanziario esterno per essere attuate (c.d. condizionalità). Anche in una auspicabile situazione di ritrovata tranquillità, in virtù del suo passato industriale ed emissivo, quindi, l’Ucraina non potrebbe comunque indicare misure condizionali da supporto internazionale né accedere ai fondi internazionali dedicati al supporto ai paesi in via di sviluppo.
Lo scenario attuale non aiuterà sicuramente il paese ad investire risorse pubbliche in politiche per il clima a discapito di altre voci di spesa (quale ad esempio la difesa nazionale o le spese di ricostruzione dell’immediato futuro) né ad attirare nel breve termine capitali esteri o privati.
di Jacopo Bencini, Policy Advisor