Un vaccino contro la catastrofe climatica
Jacopo Bencini, Policy Advisor, Italian Climate Network
Questo articolo è il nono e ultimo di una serie realizzata con il contributo di European Climate Foundation nell’ambito del progetto “Green New Deal per l’Italia”
L’anno della grande pandemia si appresta a chiudersi con l’Occidente travolto da una seconda ondata di casi, decessi, non ultimo dall’acuirsi della crisi economica e delle disuguaglianze, nuove o che vanno ad innestarsi su fragilità socioeconomiche precedenti. Stime aggiornate ci parlano di un’Unione Europea che a fronte di 250.000 morti prevede per il 2020 una contrazione economica del 7,4% con l’Italia che si attesterebbe su un -9,9%, accompagnata da contestuali effetti sull’occupazione italiana stimati in circa 330.000 posti di lavoro persi già alla fine dell’estate. Crolli economici e insorgenza di disuguaglianze cui gli Stati Membri dell’Unione Europea hanno provato, in quello che nei piani doveva essere l’anno del Green Deal sul clima, a porre rimedio tramite numerose azioni correttive in attesa di investimenti di più ampio respiro tramite le risorse in arrivo dai fondi di Ripresa e Resilienza, per i quali i governi stanno predisponendo piani nazionali di investimento. Il piano italiano, che secondo le linee guida dovrebbe avere tra i temi principali “rivoluzione verde e transizione ecologica”, è atteso per febbraio 2021.
Ma quanto sono state ambientalmente sostenibili queste azioni di sostegno e stimolo all’economia, bonus, ristori, iniziative? Quanto, nella crisi, i governi hanno potuto giocare su leve “verdi” per anticipare la rivoluzione energetica e dei consumi che leader, governi e partiti invocano – almeno a parole – ormai da anni? Un recentissimo studio di Vivid Economics pubblicato a inizio novembre sul quotidiano britannico The Guardian ha tentato di stilare una classifica aggregando tutte le azioni di stimolo economico messe in atto dalla primavera ad oggi rispetto alla crisi generata dalla pandemia. Risultati ambivalenti per l’Europa che, come Unione, si vede al primo posto in sostenibilità anche grazie alla decisione di Bruxelles di dedicare il 30% di tutti gli investimenti degli strumenti di Ripresa e Resilienza in progetti ambientali o con caratteristiche di sostenibilità, a fronte di performance addirittura negative e complessivamente ambientalmente dannose da parte di alcuni Stati Membri, tra i quali l’Italia, ultima in classifica tra gli stati europei considerati dalla ricerca. A peggiorare il bilancio di sostenibilità italiano sarebbero state in particolare alcune misure quali il salvataggio da 3 miliardi di Alitalia non vincolato a clausole ambientali o climatiche, misure non bilanciate dal contesto nazionale di partenza (persistenza di sussidi pubblici alle fonti fossili) e dalle poche misure positive quali l’ecobonus 110%, gli incentivi per le auto elettriche e i bonus per i progetti energetici dei piccoli Comuni o per l’acquisto di bici e monopattini. Fuori dalla freddezza del dato macroeconomico, quanto emerge dallo studio rilanciato dal Guardian indica un’Italia che sì, ha saputo mettere in campo 557 miliardi in misure di stimolo fiscale, ma poco di quanto mobilitato avrà impatti positivi diretti sulla performance ambientale e climatica del paese.
In termini di ambizione ambientale, a fare da punto di riferimento per i molti sottosettori dell’economia e della produzione nazionale rimane il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) del 2019. Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso del 2020, il PNIEC non risulta adeguato alla nuova ambizione europea lanciata con il Green Deal ormai un anno fa – si fa infatti riferimento a obiettivi di decarbonizzazione superati dalla politica europea, a quel -40% (il PNIEC parla addirittura di un mero -37%) di emissioni climalteranti al 2030 che i nuovi piani della Commissione e la Legge Europea sul Clima hanno portato ad un “almeno” -55%, con il Parlamento Europeo che spinge politicamente per un -60% verso la dichiarata neutralità carbonica europea al 2050. Sia chiaro, l’attuale PNIEC rimane un piano foriero di obiettivi positivi rispetto al caso specifico, quello italiano, con forti spinte in avanti, per esempio, sul settore delle energie rinnovabili – e ambizioso viene tutt’ora definito da vari osservatori. Sebbene il piano sia altamente migliorativo rispetto allo stato attuale delle cose, ribadiamo che non lo si può tuttavia considerare sufficiente rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Green Deal europeo. Ad accompagnare il PNIEC, focalizzato su produzione di energia, fonti energetiche ed emissioni sarà il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, purtroppo rimasto ad una versione consultiva del 2017 e mai adottato.
Se è vero che da un punto di vista di scelte governative l’Italia pare accumulare, sul tema del contrasto ai cambiamenti climatici, un crescente ritardo rispetto alle ambizioni comunitarie, possiamo identificare esempi positivi e buone pratiche che da livelli sub-statali e non-statali possono anticipare formule e indirizzare l’azione. La Regione Sardegna con la sua Strategia Regionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SRACC), il Comune di Bologna con il suo Piano di Adattamento, l’attivismo delle associazioni storiche e dei gruppi emergenti quali Fridays for Future e Extinction Rebellion, delle Città in Transizione, sono tutti esempi di come dai territori, dalla società civile si possano – intercettando sensibilità e fondi atti allo scopo – trasformare i desiderata in piani di intervento, in investimenti e deliberazioni locali, in azione per il clima. Proprio rispetto all’uso dei fondi in arrivo da Bruxelles nel 2021 il movimento Fridays for Future ha recentemente lanciato #nonfossilizziamoci, un’intelligente campagna in sette punti dal forte impatto mediatico. Italian Climate Network si inserisce in questo tipo di visione-azione, quella della partecipazione costruttiva all’elaborazione di politiche basandosi sempre sulla scienza disponibile e in reciproco ascolto con i decisori politici, secondo un approccio mai conflittuale ma che mira, anzi, alla costruzione condivisa di un’Italia migliore dal punto di vista dell’ambiente e del clima, come della ricchezza e dell’occupazione, specialmente quella giovanile, temi che abbiamo ampiamente affrontato attraverso la stesura e diffusione del report “Il Green Deal conviene: benefici per economia e lavoro in Italia al 2030”, presentato lo scorso 7 ottobre.
Quali i prossimi passi? Il finale del 2020 e poi il 2021 saranno mesi cruciali. La presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano a febbraio chiarirà l’orientamento del governo e farà da apripista all’arrivo delle risorse mobilitate dalla Commissione Europea per il periodo 2021-2026 e 2021-2027 per quelle che arriveranno, invece, dal bilancio comunitario ordinario; la stessa Commissione avrà contestualmente già presentato alle Nazioni Unite i nuovi obiettivi comunitari sotto l’Accordo di Parigi (NDC), riallineati a Green Deal e Legge sul Clima e quindi comprensivi dell’obiettivo di riduzione delle emissioni europee del 55% entro il 2030, verso la neutralità carbonica al 2050. Questo mentre il governo italiano si troverà auspicabilmente ad incrociare i documenti citati nella revisione al rialzo del PNIEC, che se non modificato porterebbe il paese a vivere uno scollamento tra obiettivi europei e nazionali per il prossimo decennio di almeno il 15% delle attuali emissioni italiane – su questo si è già impegnato mesi fa il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa.
Sappiamo già che la transizione economica e industriale verso un’Italia sostenibile non sarà indolore, ma sappiamo anche che i benefici supereranno le perdite, come evidenziato nel report. All’attivismo climatico, alla società civile, alla politica italiana ed europea adesso il compito di osare, di spingersi oltre gli steccati, del business as usual, verso la costruzione condivisa di un 2021 e di un futuro climaticamente sostenibili a partire dalle indicazioni fornite dalla comunità scientifica.
Se per la pandemia sarà proprio la scienza, attraverso la ricerca, a fornire al mondo un vaccino, solo un grande sforzo collettivo a tutti i livelli (scienza, attivismo, politica) potrà fare da vaccino alla crisi precedente la crisi, quella climatica. Un vaccino contro la catastrofe.
Nell’anno della pandemia, dei tanti morti, dei 330.000 posti di lavoro persi, Italian Climate Network ha tentato di trovare un filo rosso negli sviluppi delle politiche climatiche italiane ed europee e di raccontarle attraverso questa serie di articoli, supportata da European Climate Foundation, che giunge oggi all’ultimo articolo. Abbiamo provato a raccontare il Green Deal europeo ed immaginarne i benefici sul sistema-Italia, sempre nell’ottica di costruire ricadute reali e positive su ambiente, emissioni, ricchezza e lavoro. Questi anche i principi che hanno guidato il lavoro del team di ricerca di EStà nella redazione, per ICN, del report “Il Green Deal conviene”, che rimane scaricabile gratuitamente sul nostro sito e speriamo possa rappresentare una “guida alla lettura” di questo finale di 2020 e verso il 2021 per attiviste e attivisti, esperti del settore, decisori politici, verso un’Italia verde e sostenibile.