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Nov

Negoziati sul clima: un anno perso? Verso i Dialoghi sul Clima e il 2021

Di Chiara Soletti e Jacopo Bencini, Policy Advisors, Italian Climate Network

Immagine: Il Glasgow SEC Centre, che avrebbe dovuto ospitare le COP26, rimandata al 2021 (da What’s on Glasgow)

Quello di oggi, avrebbe dovuto essere il classico articolo finale di riepilogo della Conferenza ONU sul clima del 2020, scritto rimettendo assieme qualche appunto preso durante le sessioni e le dirette video, rivisto a mente lucida appena rientrati in Italia. Le date segnate a inizio anno sul calendario, quel “Glasgow COP26”, tuttavia, quest’anno non hanno comportato alcun viaggio, alcun transito, alcuna conferenza sul clima. Per via della pandemia, quest’anno l’ONU ha semplicemente deciso di rinviare a tempi migliori (il 2021) tutti i negoziati climatici. Ma è davvero rimasto tutto fermo? Si è davvero perso l’anno?

Non del tutto. Nelle attese e dopo l’esito incerto della COP25 a Madrid, il 2020 avrebbe dovuto essere un anno cruciale per i negoziati sul cambiamento climatico – molto infatti rimaneva da fare sui temi della finanza, della trasparenza, dei diritti umani, del coinvolgimento di tutti gli attori statali in vista dei primi cicli di revisione dell’ambizione e strutturazione di standard nella reportistica, tema tecnico solo all’apparenza. Non ultimo, verso la revisione dei contributi nazionali, gli NDCs. Con la COP26 ora rinviata di un anno a causa del COVID-19, il capo dell’UNFCCC Patricia Espinosa ha convocato a fine agosto un gruppo di alti diplomatici per stabilire un piano d’azione verso il 2021, che allo stesso tempo potesse almeno tentare di mantenere alta l’ambizione sul clima, mentre ogni paese del mondo si richiudeva su sé stesso nella lotta alla crisi sanitaria. Il calendario stabilito nell’incontro di agosto e confermato dalla nota informativa alle parti del 9 settembre, ha quindi previsto un primo forum informale di discussione online, i cosiddetti Dialoghi sul Clima (Climate Dialogues), che prendono il via oggi 23 novembre e proseguiranno fino al 4 dicembre 2020. Nelle intenzioni degli organizzatori, i Dialoghi sul Clima offriranno l’opportunità agli Stati di confrontarsi sui progressi e i risultati dell’azione per il clima, di avanzare l’attuazione delle attività previste per il 2020 e, per quanto possibile, di identificare azioni che potrebbero aiutare le Parti ad essere meglio preparate alle sessioni negoziali del 2021. Il tutto, ovviamente, online, nella viva speranza che non si tratti di un mero showcasing di buone pratiche per gli addetti ai lavori, bensì di un vero tentativo di avanzamento quantomeno tra quei paesi che più “spingono” in termini di obiettivi. Contestualmente, nei mesi scorsi si è parlato di convocare una sessione negoziale aggiuntiva per il 2021 oltre ai già riprogrammati negoziati intermedi, COP dei giovani (28-30 settembre), pre-COP (30 settembre – 2 ottobre) e COP (1-12 novembre).

Mentre il calendario per il 2021 si definisce, uno sguardo alla storia della diplomazia climatica ci ricorda perché i prossimi 13 mesi saranno cruciali. Nel 1992 il Summit della Terra di Rio de Janeiro ha rappresentato il primo passo per la creazione di un’azione globale, formale, a protezione dell’ambiente e del clima. Da Rio la comunità’ internazionale ha iniziato un lavoro collettivo che ha portato nel 1997 al lancio del Protocollo di Kyoto, il primo piano d’azione internazionale per l’azione climatica, che coinvolgeva operativamente solo gli Stati inquinatori. Gli scarsi risultati del Protocollo – dettati dalla mancanza volontà politica di alcuni dei maggiori attori coinvolti – sono poi stati seguiti dal fallimento della COP15 di Copenaghen nel 2009, COP sulla quale si riponevano grandi aspettative verso il superamento del modello di Kyoto ed il lancio di un nuovo modello di governance globale delle emissioni. Il fallimento di Copenaghen ha però posto le basi per il successo della successiva COP21 di Parigi del 2015, che ha di fatto segnato l’inizio di un nuovo approccio focalizzato sul rilancio dell’ambizione climatica attraverso contribuzioni volontarie, un approccio bottom-up che ha portato oggi quasi il 100% degli Stati del mondo a presentare proposte di riduzione delle emissioni e azioni di adattamento. Un percorso non lineare nel tempo, ma che come tutti i processi della politica vive di accelerate e punti morti, che tuttavia sembra da qualche anno sulla buona strada.

La COP26, ora programmata per novembre 2021, avrebbe dovuto essere e sarà politicamente essenziale vista una delle caratteristiche-chiave del panorama post-parigino, l’impostazione su cicli quinquennali dell’ambizione: ogni cinque anni vi è un check-up collettivo durante il quale la comunità internazionale è chiamata a fare il punto sui progressi ed aumentare contestualmente l’ambizione. Questo primo incontro di controllo dell’Accordo di Parigi sarà particolarmente importante sia per finalizzare il regolamento di esecuzione dell’accordo (Paris Rulebook) sia per testare la solidità di un sistema basato su piani nazionali volontari e altamente differenziati (NDCs), molti dei quali fortemente dipendenti da aiuti esterni – la larghissima maggioranza dei piani dei paesi in via di sviluppo. A causa della pandemia ad oggi solamente 13 paesi, che rappresentano il 3,6% delle emissioni di gas serra globali, hanno presentato nuovi NDCs impegnandosi verso azioni più ambiziose a livello nazionale per il clima. Segnali che non fanno dormire sonni tranquilli all’attivismo climatico rispetto all’anno saltato e che anzi devono spingerci a lavorare con ancora più determinazione con i nostri governi nazionali verso la presentazione, nei prossimi mesi, di nuovi e ambiziosi NDCs.

Oltre al ritrovato ruolo dell’Unione Europea, rinvigorita nell’ambizione dal Green Deal lanciato nel dicembre 2019, buone notizie sembrano essere arrivate anche dalle elezioni presidenziali statunitensi. In un 2020 normale esse si sarebbero tenute immediatamente prima della COP26 di Glasgow, lasciando i negoziatori nell’incertezza di non sapere se aspettarsi il ritiro completo degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi o una presenza americana nuovamente impegnata. L’impegno, già ampiamente anticipato in campagna elettorale, del neo-Presidente Joe Biden di riportare gli Stati Uniti d’America nell’Accordo di Parigi in tempi brevi rappresenta sicuramente una buona notizia per il clima e farà respirare tutto quel movimento della società civile, degli attori non-statali (città, imprese, contee, Stati) che negli ultimi 4 anni ha tentato di tenere salda l’ambizione americana sotto il motto di “We are still in”, nella totale assenza del governo federale. Una nuova alleanza tra la Casa Bianca e le migliaia di attori coinvolti, stanti passaggi non facili al Congresso, potranno rilanciare l’impegno di Washington con forse ancora maggiore spinta rispetto al passato.

Aver rimandato i negoziati al 2021 permetterà inoltre di arrivare alla COP26 dopo il rilascio, da parte del governo cinese, del suo 14 ° piano quinquennale, dal 1953 il principale documento di pianificazione del paese che – tra le altre cose –  stabilisce l’intensità delle emissioni a breve termine e gli obiettivi del mix energetico sul lungo periodo. Il rilascio del piano quinquennale chiarirà il livello di ambizione con cui la Cina si presenterà ai negoziati – anticipazioni recenti parlano di un piano “aggressivo negli obiettivi” rispetto ad una possibile neutralità carbonica cinese al 2060.

In un contesto globale caratterizzato da una diffusa crisi economica e sociale oltre che sanitaria e l’emergere di nuovi conflitti anche armati, Stati e società civile dovranno far si in vista della COP26 che il problema dei cambiamenti climatici non passi in secondo piano rispetto alla contingenza. In questo senso l’UNFCCC ed i negoziati sul clima del 2021 dovranno rappresentare fori nei quali premere forte l’acceleratore non solamente sull’ambizione in senso clima-diplomatico, ma sfruttando la triste occasione della pandemia per fornire al mondo strumenti e lessico per una ripartenza veramente verde, di transizione, attenta sia alla mitigazione che all’adattamento, pur nel rispetto delle circostanze di sviluppo di ognuno e capace di mettere in atto i meccanismi di finanza internazionale e solidarietà, consci del fatto che ci rimangono probabilmente pochissimi anni per avviare nei nostri paesi e nei negoziati una rivoluzione epocale. Quanto il problema stesso.

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