LA SVOLTA DELLA CORTE EUROPEA SU CLIMA E DIRITTI UMANI: KLIMASENIORINNEN VS SVIZZERA
- KlimaSeniorinnen vs Svizzera: una sentenza storica e senza precedenti;
- La mancata adozione ed efficace implementazione di azioni di mitigazione (e adattamento) è un violazione dei diritti umani;
- equità intergenerazionale uno dei punti chiave dell’argomentazione della Corte.
Le anziane per il clima
Il 9 aprile scorso, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sul caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri vs Svizzera (KlimaSeniorinnen). È stata la prima decisione della Corte sugli obblighi di diritti umani degli Stati nel contesto del cambiamento climatico. La sentenza segna un punto di svolta importantissimo sotto molti profili e rappresenta una pietra miliare in materia di diritti umani e giustizia climatica.
La causa è stata avviata da quattro donne e dall’associazione svizzera ‘KlimaSeniorinnen’ – circa 2.300 donne dell’età media di 75 anni, già soprannominate mediaticamente “anziane per il clima” – che hanno denunciato gli impatti del cambiamento climatico, e in particolare delle ondate di calore, sulla loro salute e condizioni di vita. Queste donne hanno lamentato il fatto che sia la legislazione climatica in vigore in Svizzera che la sua implementazione fossero inadeguate e che il governo Svizzero non stesse facendo, in tempo utile, tutti gli sforzi possibili di mitigazione e adattamento per far fronte alla crisi climatica.
La causa era già stata portata di fronte alle Corti svizzere, che però avevano rigettato la rimostranza. Ma, facendo leva in particolare sul diritto alla vita (Articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e sul diritto alla vita privata e familiare (Articolo 8), le donne hanno nuovamente chiesto alla Corte Europea di esprimersi. Questa – per la prima volta nella storia – ha così stabilito che l’assenza di un quadro regolamentare adeguato ed efficace di mitigazione (e adattamento qualora la mitigazione non fosse più fattibile) comporta una violazione del diritto umano alla vita privata e familiare (Articolo 8), il quale include la protezione della salute, del benessere e della qualità di vita individuale*.
‘[Para 573] By failing to act in good time and in an appropriate and consistent manner regarding the devising, development and implementation of the relevant legislative and administrative framework, the respondent State exceeded its margin of appreciation and failed to comply with its positive obligations in the present context.’
(ITA: Visto il fallimento nell’agire in tempi adeguati ed in modo appropriato e consistente nella ideazione, sviluppo e implementazione del quadro normativo e amministrativo, lo Stato rispondente ha ecceduto il proprio margine e fallito nel rispettare le sue obbligazioni positive nel presente contesto.)
I punti salienti della decisione
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha formulato una serie di precisazioni che sono fondamentali anche per le future cause climatiche. In primo luogo, il ragionamento della Corte è strettamente ancorato alle evidenze scientifiche e soprattutto ai report del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), di fatto richiamandosi al principio della ‘best available science’ (dell’aderenza alla più recente e condivisa conoscenza scientifica disponibile) adottato nell’ambito dei negoziati sul clima. In secondo luogo, la Corte ha stabilito che seppur la sua competenza sia limitata all’interpretazione delle disposizioni della CEDU, il testo della Convenzione – risalente al 1950 – deve essere interpretato alla luce del contesto odierno e, quindi, in armonia e coerenza con i trattati internazionali in materia di cambiamento climatico (UNFCCC, Accordo di Parigi etc).
La Corte ha inoltre esaminato le caratteristiche specifiche del cambiamento climatico per affermare che questo fenomeno è diverso da altre forme di degrado ambientale, ad esempio quelle derivanti da attività pericolose o industriali. Sebbene la Corte avesse già avuto modo di esprimersi in merito a tali questioni (Cordella vs Italia o Öneryldiz vs Turchia), i principi generali sviluppati dalla Corte in quell’ambito devono essere necessariamente rivisti e adeguati al contesto del cambiamento climatico e delle sue dinamiche.
Dal punto di vista procedurale, infine, il punto di svolta della decisione è rappresentato dalla interpretazione evolutiva della nozione di ‘status di vittima’ ex Articolo 34 della Convenzione. In virtù del fatto che il cambiamento climatico è una preoccupazione comune della specie umana (‘a common concern of humankind’) e della necessità di promuovere una equa ripartizione intergenerazionale dei suoi effetti (‘intergenerational burden-sharing’), la Corte ha riconosciuto alle organizzazioni non-governative, come KlimaSeniorinnen, la possibilità di ricorrere alle Corti per far dichiarare gli Stati responsabili per le loro inadeguate azioni climatiche, azione prima riservata solo a singoli individui. Una estensione accolta più che positivamente – salvo alcune perplessità – visti gli impatti del cambiamento climatico su intere comunità, e considerato che le vittime non sempre dispongono di risorse adeguate per difendere i loro diritti in giudizio.
Dal punto di vista del merito, la Corte ha stabilito che l’Articolo 8 CEDU comporta il diritto degli individui a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita. Di conseguenza, la Corte ha stabilito che gli Stati hanno l’obbligo ‘di applicare in modo efficace nella pratica, regolamenti e misure capaci di mitigare gli esistenti e potenzialmente irreversibili, futuri effetti del cambiamento climatico’ (para 545).
Questa è certamente la parte più significativa del pronunciamento della Corte, anche se non ha visto tutti i giudici concordi (si veda l’opinione dissenziente del giudice Tim Eicke). Pur lasciando spazio di manovra nella decisione di quali misure adottare (‘choice of means’), la Corte ha specificato che ogni Stato parte della CEDU deve intraprendere le misure per una sostanziale e progressiva riduzione dei propri livelli di emissioni di gas climalteranti, incluso il calcolo del carbon budget (vedi qui e qui, commento di Cohen), con l’obiettivo di raggiungere la neutralità dal carbonio entro i prossimi tre decenni.
‘[549 ] Moreover, in order for this to be genuinely feasible, and to avoid a disproportionate burden on future generations, immediate action needs to be taken and adequate intermediate reduction goals must be set for the period leading to net neutrality’.
(ITA: Inoltre, per rendere questo genuinamente fattibile e per evitare di affidare alle future generazioni un peso eccessivo, è necessario intraprendere azioni immediate e devono essere stabiliti obiettivi intermedi adeguati di riduzione delle emissioni per il periodo che condurrà alla neutralità)
Si noti che il ragionamento della Corte fa perno su un principio rilevantissimo in materia di giustizia climatica. La Corte, infatti, sottolinea che il cambiamento climatico solleva questioni di equità intergenerazionale (nella formula usata dalla Corte ‘intergenerational burden-sharing’) e che i suoi effetti sono subiti e verranno sofferti per lo più dai gruppi sociali più vulnerabili, tra cui donne, anziani e bambini. Questi gruppi richiedono una speciale protezione da parte delle autorità statali che si deve tradurre pertanto – proprio per evitare uno sproporzionato onere per le future generazioni – in azioni concrete e tempestive nella lotta al cambiamento climatico.
Cosa ci si può aspettare ora?
Questa decisione segna un precedente innovativo che avrà certamente implicazioni importanti e ad ampio raggio per le cause climatiche pendenti o che verranno avviate nel futuro. Al momento ci sono già altre due cause (De Conto vs Italia e altri 32 States e Uricchio vs Italia e altri 3 Stati) che si presume saranno esaminate alla luce delle considerazioni espresse in KlimaSeniorinnen, congiuntamente ad altri due casi climatici, in particolare, Duarte Agostinho vs Portogallo.
Inoltre, l’interpretazione della Corte ha dettato le linee guida per le Corti nazionali chiamate ad esaminare e decidere le sempre più frequenti cause climatiche avanzate da individui e gruppi di persone a fronte dell’inazione dei loro Stati. Alla luce della decisione KlimaSeniorinne, le Corti nazionali non potranno più aggrapparsi ad argomentazioni quali ‘è solo una goccia nel mare’ (‘drop in the ocean’) avanzata da molti Governi in difesa del proprio operato, in base al quale anche se facessero la loro parte sarebbe comunque inutile in assenza dell’impegno anche degli altri Stati (para 444).
È stato ormai appurato che, visti gli impegni assunti e i principi di responsabilità comuni ma differenziate, gli Stati sono obbligati ad attivarsi. Nel contempo le Corti, seppur nel rispetto del principio di separazione dei poteri, sono chiamate a supervisionare attentamente e da vicino l’azione climatica degli Stati. Le cause climatiche pendenti al momento in Belgio, Germania, Polonia, e Portogallo, dovrebbero giovare delle conclusioni raggiunte dalla Corte. Lo stesso discorso vale per la causa italiana ‘Giudizio Universale’ dichiarata inammissibile in primo grado.
Infine, la decisione avrà ramificazioni al di fuori dell’Europa. Vista la crescente tendenza delle Corti di diritti umani di trarre ispirazione e guida l’una dall’altra e fare sempre maggiore uso del diritto comparato nelle loro disamine, è probabile che KlimaSeniorinnen avrà impatto anche nelle cause pendenti e attese presso altre giurisdizioni regionali e internazionali. Va ricordato, infatti, che ad oggi sono in corso di fronte alla Corte Inter-Americana dei Diritti Umani, così come davanti alla Corte Internazionale di Giustizia richieste di interpretazione (‘advisory opinions’) delle disposizioni dei diritti umani nel contesto del cambiamento climatico. Un passo storico è stato fatto: speriamo in ulteriori e promettenti sviluppi.
Articolo a cura di Erika Moraduzzo, Esperta di Diritti Umani e Coordinatrice della Sezione Diritti e Clima – Italian Climate Network
*La Corte non ha analizzato il caso in relazione all’Articolo 2 (diritto alla vita), ma ha riconosciuto che i principi sviluppati sotto l’Articolo 2 sono di fatto assimilabili (‘to a very large extent’) a quelli sviluppati sotto l’Articolo 8 (para 537 della decisione KlimaSeniorinnen), qui esaminato nel merito dalla Corte. La Corte ha, inoltre, riconosciuto la violazione dell’Articolo 6 (il diritto di accesso alla giustizia), mentre non ha esaminato l’Articolo 13 (il diritto ad rimedio [legale] efficace).
Foto di copertina: Isabella Kaminski