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Giu

DONNE, RAZZA E CLIMA

Per la rubrica Caleidoscopio, questo mese affrontiamo il tema del razzismo ambientale e climatico, e di come i cambiamenti climatici vengono percepiti in misura maggiore dalle categorie sociali più vulnerabili, marginalizzate e razzializzate, ed in particolare, dalle donne. In questo articolo ci concentreremo  sul collegare il concetto di intersezionalità al tema del razzismo ambientale e climatico utilizzando teorie femministe, e traendo spunti dal libro di Angela Davis “Donne, razza e classe”, e dall’articolo di Kimberle Crenshaw “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”.

Disclaimer:

  • Il testo utilizza volutamente i termini razza, razzializzazione e razzializzare per indicare il processo di costruzione dell’identità sociale delle persone di colore (non-bianche) partendo dall’elemento biologico del colore della pelle. 
  • Siamo consapevoli che l’utilizzo di alcuni termini potrebbe urtare la sensibilità di alcuni lettori e lettrici, per cui vi chiediamo di essere pazienti e se avete osservazioni per favore fatecelo sapere. Siamo umani e in costante processo di apprendimento: aiutateci a migliorarci.

Spesso nei nostri articoli abbiamo rilevato come il cambiamento climatico impatti in misura maggiore su alcuni Paesi e segmenti della società piuttosto che altri. I dati parlano chiaro: secondo le Nazioni Unite le donne hanno 14 volte più probabilità di morire rispetto agli uomini, a causa del limitato accesso alle informazioni, alla mobilità, al processo decisionale e alle risorse a loro disposizione. In questo articolo spiegheremo le ragioni alla base di questo problema, con una riflessione approfondita sulla intersezione tra donne, razza e clima. Lo  faremo recuperando le teorie femministe di Angela Davis e Kimberly Crenshaw, attiviste e teoriche del movimento Black Feminism.Nel suo famoso libro “Donne, razza e classe”, Angela Davis, attraverso un’analisi storica, esplora le forme di oppressione che le donne di colore hanno subito, non solo in quanto donne, ma anche in quanto membri della comunità afroamericana. È nel contesto di queste riflessioni che è stato coniato il termine di intersezionalità. 

Tale nozione aiuta a ‘sbrogliare’ la complessità dei rapporti sociali, in cui ogni individuo non è considerato in maniera univoca, ma come sovrapposizione di diversi livelli identitari, tra cui il genere, la razza etc. Dalla mutevole combinazione di questi diversi elementi identitari scaturiscono  privilegi, pregiudizi, oppressioni e dominazioni che vanno a costruire la posizione e l’identità sociale di una persona. Una lente  intersezionale, ci aiuta a cogliere le varie forme in cui il razzismo si può manifestare. Prendiamo, per esempio, un uomo medio in Italia: il suo genere è maschile, il colore della sua pelle è bianca, parla l’italiano, ha un livello di istruzione medio-elevato, e non ha alcun tipo di impedimento fisico o sociale. Collegando i puntini tra queste diverse dimensioni l’italiano medio si può definire “privilegiato”. Può scegliere il lavoro che più gli piace, ottenere una paga adeguata, o muoversi in piena libertà senza essere ostacolato da eventuali pregiudizi. Se invece alla descrizione precedente invertiamo un singolo fattore, ovvero il genere, osserviamo come per la donna media italiana tali privilegi cambiano drasticamente. Infatti, essendo una donna, in una società ancora prevalentemente sessista, le aspettative, le opportunità e i privilegi sono ben diversi da quelle di un uomo.  

Modifichiamo un altro tassello: il colore della pelle. In questo caso, il risultato è che le dinamiche di oppressione si intensificano ancora di più, perchè adesso la persona descritta non solo è limitata dall’essere donna in una società sessista, ma anche dal fatto di avere una carnagione scura in una società razzista. Dunque, considerando l’intersezionalità di una donna di colore è necessario considerare la combinazione delle discriminazioni di genere con le ulteriori discriminazioni razziali, le quali entrambe fanno parte dell’identità di una donna di colore.

La nozione di Intersezionalità

Il concetto di intersezionalità è stato coniato dalla giurista e attivista Kimberly Crenshaw Nel suo articolo “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics” scompone tre importanti casi legali per dimostrare come il sistema giudiziario statunitense  fallisca nel riconoscere l’intersezionalità tra genere e razza. In particolare, il suo discorso si concentra sulla multidimensionalità delle donne di colore, che definisce “multi-burdened” (multi-oppresse), in quanto subiscono una doppia discriminazione: essere donne ed essere afroamericane. 

Crenshaw, oltre a criticare il sistema giudiziario e politico, critica in maniera più ampia le teorie femministe ed il movimento per i diritti civili per la loro mancanza di un approccio intersezionale. Nella sua critica, infatti, evidenzia come i movimenti femministi siano per lo più concentrati sulle battaglie delle donne bianche e che quindi non colgano le esperienze delle donne di colore, riducendo la possibilità per quest’ultime di essere ascoltate adeguatamente all’interno del movimento. 

“Acknowledge that Black women encounter combined race and sex discrimination implies that the boundaries of sex and race discrimination doctrine are defined respectively by white women’s and Black men’s experiences. Under this view, Black women are protected only to the extent that their experiences coincide with those of either of the two groups. […] Where their experiences are distinct, Black women can expect little protection”.

Ma cosa c’entra l’intersezionalità con il razzismo ambientale e i cambiamenti climatici?

Attraverso una lente intersezionale è possibile portare alla luce le relazioni e i rapporti di potere che legano razzismo, ambiente e clima. Il termine  razzismo ambientale viene utilizzato per descrivere come i danni all’ambiente derivanti dall’inquinamento o dallo sfruttamento delle risorse naturali non sono slegati da  forme di razzismo e ingiustizia sociale. Un esempio è l’uragano Katrina del 2005, i cui danni e devastazione furono maggiormente percepiti dalle  minoranze afroamericane di New Orleans, in quanto più povere e vulnerabili e con minori capacità di adattamento e resilienza. 

Razzismo ambientale

Usato per la prima volta negli anni ‘80 dall’attivista americano per i diritti civili Benjamin Chavis, il concetto di razzismo ambientale si utilizza per descrivere quelle situazioni in cui gruppi sociali emarginati e discriminati, composti principalmente  da minoranze etniche e di colore, sono costretti a vivere in cosiddette “zone di sacrificio”. Tali aree urbane, situate solitamente ai margini delle città dove il costo della vita è minore, vengono letteralmente sacrificate per far spazio a discariche, impianti di smaltimento, industrie ed altre attività altamente inquinanti. Di conseguenza, gli abitanti di queste zone urbane finiscono per risentirne con gravi danni alla salute, e condizioni di vita disagiate e malsane. Si tratta di una forma di razzismo sistemico in quanto la controparte privilegiata e bianca difficilmente si trova esposta a queste simili condizioni grazie ad una maggiore possibilità di mobilità data dal reddito e dal colore della loro pelle. Il concetto, applicato inizialmente per le comunità di colore degli Stati Uniti, si è presto diffuso fino a diventare un caposaldo della giustizia ambientale e climatica. Oggi, i movimenti per la giustizia ambientale si battono al fine di sensibilizzare la società e i decisori politici su queste tematiche ed assicurarsi che ogni individuo abbia il diritto ad un ambiente sano e salubre e che venga trattato con rispetto a prescindere dall’etnia, dal colore della pelle o dal genere. 

Allo stesso modo, le conseguenze derivanti dall’innalzamento delle temperature e da eventi climatici estremi gravano maggiormente sui gruppi sociali più svantaggiati ed in particolare le donne. Nel contesto dei cambiamenti climatici le donne sono sicuramente tra le prime a subirne gli effetti negativi, peggiorando le loro condizioni attuali e generando nuove disuguaglianze e discriminazioni. Secondo i dati delle Nazioni Unite  “le donne hanno 14 volte più probabilità di morire rispetto agli uomini, a causa del limitato accesso alle informazioni, alla mobilità, al processo decisionale e alle risorse a loro disposizione”. Da un punto di vista intersezionale, questo evidenzia le diverse scale di oppressione che rendono le donne – e le donne di colore in primis – maggiormente esposte ai danni climatici. Un dato allarmante che conferma come oggi le donne continuano ad essere in una grave posizione di svantaggio causata dalla sovrapposizione delle discriminazioni di genere e razziali. 

Il femminismo deve essere intersezionale! 

Nei testi di riferimento di questo articolo, Davis e Crenshaw ribadiscono più volte la mancanza di un approccio intersezionale nei movimenti femministi e per la giustizia sociale. Infatti, nel corso della storia per i diritti civili, il femminismo americano si è dimostrato poco attento alle condizioni delle donne di colore, confermando come il razzismo si insinui anche nei più nobili dei movimenti. 

Per esempio, Angela Davis nel suo libro sottolinea come le donne di colore nel corso della storia siano state vittima di varie forme di discriminazione dovute a sessismo, maschilismo, razzismo e addirittura al suprematismo bianco. Ed è qui che risiede la logica intersezionale di Davis, la quale fa notare come genere, razza e classe in combinazione contribuiscono a determinare l’oppressione delle donne Nere, persino all’interno di quei movimenti che dovrebbero proteggerle. 

“Ogni disuguaglianza e diritto negato alle donne americane è mille volte più grave per le donne Negre, che sono sfruttate tre volte: come Negre, come lavoratrici e come donne.”

Di conseguenza, le critiche proposte da Davis e Crenshaw si basano sulla necessità di incorporare una lente intersezionale nella lotta femminista contro ogni tipo di discriminazione al fine di porre rimedio a tutte le sovrapposte forme di oppressione contestualmente.

In conclusione, per affrontare in modo più consapevole la crisi climatica, è necessario approcciare queste problematiche in modo intersezionale. Occorre concentrarsi sul ruolo delle donne ed in particolare su quello delle donne di colore, che subiscono forme multiple di discriminazione per ragioni di genere e razza. Attraverso una lente di questo genere , emerge che le ingiustizie ambientali e climatiche non sono fenomeni isolati, ma sono strettamente collegati alle strutture di potere esistenti che perpetuano il razzismo e il sessismo. I movimenti femministi devono per primi  distanziarsi dalle dinamiche che escludono le esperienze delle donne di colore e concentrarsi invece “sulle opportunità e sulle situazioni di vita delle persone, di cui ci si dovrebbe occupare senza tener conto dell’origine delle loro difficoltà.” Attraverso l’intersezionalità ed un approccio olistico, politiche climatiche giuste ed inclusive devono riuscire a comprendere ogni forma di discriminazione ed oppressione al fine di realizzare giustizia climatica. Occorre dare voce e spazio a quelle donne razzializzate ed immedesimarsi nelle loro esperienze e allo stesso tempo trarne insegnamento perché tali esperienze hanno reso le donne anche protettrici dell’ambiente, colonne portanti della resilienza e agenti del cambiamento. Il progresso verso questa direzione si vede e sta prendendo forma nei negoziati internazionali sul clima in seno alla UNFCCC, ma la strada davanti è ancora pieni di ostacoli. Solo riconoscendo e affrontando le connessioni tra genere, razza, classe e altre forme di identità possiamo, nel contesto della lotta al cambiamento climatico, costruire una società più giusta ed equa per tutti.

Articolo a cura di Alice Rotiroti, Volontaria Sezione Diritti e Clima in ICN

Questo articolo fa parte de Il Caleidoscopio, la rubrica di approfondimenti che punta a chiarire teorie e riflessioni sviluppate dal movimento femminista, calandole nel contesto delle tematiche legate al clima per capire meglio le richieste e i concetti di azione climatica e giustizia climatica.

Come il caleidoscopio restituisce immagini plurime sempre diverse, le nostre riflessioni femministe vogliono restituire un’immagine pluriversale del mondo e fornire strumenti utili a renderlo più equo, inclusivo, giusto e sostenibile.

Direzione e Coordinamento di Erika Moranduzzo, Coordinatrice della Sezione Diritti e Clima, Italian Climate Network.

Fonti:

  • Angela Davis, “Donne, razza e classe”, 1981.
  • Kimberly Crenshaw – Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics

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