COP27, UN SECONDO TEMPO POLITICO
Seconda settimana di negoziati a COP27 alla ricerca di un testo finale che sia soddisfacente per i paesi in via sviluppo e che dimostri la crescente ambizione dei negoziati. Gli elementi negoziali sul piatto li abbiamo visti in questi giorni: trasparenza, adattamento, finanza climatica e naturalmente il Loss&Damage, che ha infine una possibilità di vedere nascere il processo d’istituzione di una serie di strumenti finanziari.
Ma il processo, come al solito, procede lentamente ed è crescente la frustrazione di molti delegati. Secondo quanto riportato da Reuters, e confermato da varie fonti dirette, rimangono numerosi i dettagli tecnici irrisolti su come mantenere gli accordi e gli impegni presi negli anni precedenti in termini di finanza e mitigazione. Inoltre, fatica ancora a prendere forma la cover-decision, cioè il cuore dell’accordo politico delle due settimane di lavori, ostacolo non da poco.
A risolvere l’empasse toccherà ai delegati ministeriali e alcuni Capi di Stato che arriveranno nella città-resort egiziana per dirimere le questioni più politiche. Uno degli interventi più attesi è sicuramente l’intervento di Luiz Inacio Lula da Silva, rieletto a fine ottobre Presidente del Brasile che annuncerà una revisione delle politiche ambientali del Brasile al vertice di Sharm el-Sheikh e la creazione di una nuova autorità nazionale per il clima per supervisionare gli sforzi di tutti i Ministeri e le agenzie per combattere il riscaldamento globale (e pare offrirà anche di ospitare COP30). Nuove revisioni degli NDC arriveranno dalla Turchia e dal Messico che porterà la riduzione delle emissioni al 2030 fino al 35% (dall’attuale 22%). Ma questi annunci non basteranno a colmare l’evidente gap di ambizione sulla mitigazione. Serve ben altro.
G20 e COP27, destini inseparabili
Da Sharm el-Sheikh l’attenzione si sposta, quindi,in un’altra città-resort:Bali, Indonesia con il G20, dove ogni annuncio e decisione avrà un impatto sui negoziati egiziani. USA e Cina – che non ha inviato Ministri di alto livello a COP27 – torneranno ad incontrarsi tornando a parlare di clima per la prima volta dopo la rottura del rapporto diplomatico tra Xi Jinping e Joe Biden. Xi arriva forte della terza conferma a capo del Partito Comunista cinese, mentre Biden che ha mantenuto di un soffio il controllo sul Congresso, cementando così il suo potere e prepararsi alle elezioni del 2024. Questo potrebbe portare ad ulteriori concessioni da fare a Bali, dopo gli annunci deludenti a COP27 che vedrebbero il coinvolgimento di India e Europa che potrebbero contribuire ad un aumento dell’ambizione.
Ma tutto dipenderà dall’accordo finale del G20, visto il complesso contesto geopolitico. Secondo alcuni analisti c’è una concreta possibilità che non venga nemmeno realizzato un comunicato finale, l’equivalente di una disfatta e un pessimo segnale per la cooperazione internazionale sulla quale l’Accordo di Parigi e la sua implementazione si basano. Pesa la crisi in Russia, le tensioni sul mercati energetici, la crescente insicurezza alimentare e la forte incertezza economica globale.
Parallelamente a Sharm el-Sheikh si cercheranno altre vie per garantire l’ambizione necessaria per rimanere entro 2°C (il target 1,5°C ancora non è entrato come unico obiettivo di riduzione delle temperature globali entro fine secolo). Da attenzionare l’annuncio da parte della High Ambition Coalition e la proposta indiana di includere il phase down di tutte le fonti fossili nella decisione finale, oltre che il lavoro sul Loss&Damage e Finanza, due aree che potrebbero portare buone sorprese.
Finanza climatica, serve una riforma ora
Tanta, infine, l’attenzione sulla finanza climatica, dopo che anche quest’anno si è fallito l’obiettivo di raccogliere 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2025. Non ha ricevuto l’interesse sperato la proposta dell’inviato per il clima americano, John Kerry, il meccanismo Energy Transition Accelerator, ideata insieme al Bezos Earth Fund e alla Rockefeller Foundation, che avrebbe dovuto creare un nuovo meccanismo di carbon offset per finanziare impianti di energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo. “Dobbiamo accelerare la transizione verso l’energia pulita e, amici miei, ci vogliono soldi per farlo”, ha detto Kerry, aggiungendo che non esistono fondi pubblici sufficienti per impedire al riscaldamento globale di superare l’obiettivo di 1,5°C.
Guadagna terreno invece la Georgetown Agenda, la proposta di riformare le MDBs, le banche multilaterali e le grandi istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e il Fondo monetario internazionale, che oggi non sono strutturate per sostenere un debito a lungo termine necessario per interventi di mitigazione e adattamento in paesi meno sviluppati e in via di sviluppo. ”Istituzioni create a metà del 20° secolo non possono essere efficaci nel terzo decennio del 21° secolo, ha affermato Mia Mottley, primo Ministro delle Barbados, in uno degli interventi più importanti della prima settimana e ideatrice della Georgetown Agenda. ”La giustizia climatica non era un problema allora quando [queste istituzioni] sono state create”. La proposta, che si focalizza sulla Banca Mondiale in particolare, è sostenuta da vari stati e istituzione, come confermato in un briefing stampa organizzato dalla European Climate Foundation, che da anni spinge per una riforma di ampio respiro per la finanza climatica.
Negli ultimi anni la Banca Mondiale è stata criticata duramente per la sua incapacità di diventare Banca Mondiale per il clima. Sebbene abbia erogato circa 31.7 miliardi di dollari in project financing per il clima nel solo 2022, la banca rimane slegata dalle decisioni dell’UNFCCC e viene considerata inefficace e lenta nell’erogare credito. Un primo passo sarebbe la rimozione negazionista del clima , David Malpasse, dalla posizione di Presidente della Banca Mondiale.
Una riforma delle banche multilaterali di sviluppo potrebbe essere il vero successo nei giorni di questa COP27, una svolta attesa dai paesi in via di sviluppo a margine del negoziato tecnico. Sembrava sarebbe stato un negoziato sotto tono e di passaggio, ora potrebbe portare ad alcuni risultati chiave davvero importanti, allargando la strada che porta al primo global stocktake nel 2023 per capire a che punto siamo davvero e come superare l’inazione degli Stati che non fanno ancora a sufficienza per la crisi climatica e trovando una nuova architettura finanziaria per accelerare la decarbonizzazione globale e proteggere i paesi più vulnerabili.
Articolo a cura di Emanuele Bompan, giornalista e socio di Italian Climate Network
Credits: Climatevisual.com