COP28, A CHE PUNTO SIAMO E DI COSA SI DISCUTERÀ NEI PROSSIMI GIORNI
- A COP28 i temi caldi dei negoziati sono Global Stocktake, finanza climatica, adattamento e Just Transition.
- Le bozze di testo negoziale sono ancora indietro, molti aspetti dei punti in agenda sono da discutere.
- In tutti i negoziati si parla di finanziamenti necessari alla transizione e capacity building, come conseguenza delle responsabilità comuni ma differenziate.
Siamo ormai a metà della prima settimana di COP28. Dopo la partenza in quarta – con la rapida approvazione dell’agenda e un veloce quanto inaspettato via libera al fondo per il Loss and Damage -, i negoziati sono proseguiti in maniera serrata nei primi 4 giorni. I temi su cui si concentrano le sessioni informali rimangono il Global Stocktake, la finanza climatica, l’adattamento e la just transition. Ad oggi, su tutti i punti in agenda si stanno ancora discutendo le bozze di testo per le decisioni finali.
Ma vediamo nel dettaglio, per ogni punto chiave, fin dove siamo ad oggi.
Global Stocktake (GST)
Il GST è il tema cardine di questa COP28, che per la prima volta dall’apertura dell’Accordo di Parigi deve fare un bilancio sui risultati raggiunti e su come i Paesi dovranno aggiornare i loro obiettivi climatici entro il 2025. Il GST si ripeterà poi ogni 5 anni dal 2023.
Sono stati pubblicati tutti i report tecnici sui diversi obiettivi dell’accordo di Parigi, e ora è necessario definire la bozza della decisione finale per recepire questi report. Al momento tutte le opzioni sono ancora sul tavolo e le bozze di testo sono lontane dall’essere definite. urante le discussioni di lunedì 4 dicembre si è discusso se il GST dovrà concentrarsi solo sulle azioni future che dovranno intraprendere i Paesi oppure anche sul gap delle azioni che in precedenza non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il 5 dicembre, poi, dovrà uscire una bozza di testo ad hoc.
Cosa vuol dire, in questo testo negoziale, scegliere se dare uno sguardo al passato o puntare sulle azioni da intraprendere in futuro? Nel primo caso i riflettori restano accesi sul fatto che le responsabilità della crisi climatica ricadono principalmente sui Paesi più ricchi, che in passato non hanno portato avanti azioni per la transizione. Nel secondo caso invece, si evidenzia come tutti i Paesi siano responsabili delle azioni che porteranno avanti, proprio perché l’Accordo di Parigi supera quella distinzione tra Paesi Annex e non Annex su cui si basava la convenzione UNFCCC. Questa seconda posizione è quella sostenuta dai Paesi sviluppati, mentre la prima è preferita dai Paesi del Sud globale.
Nel GST, poi, si discute ancora di phase out o phase down dai combustibili fossili (ovvero della terminologia da utilizzare per indicare l’abbandono totale o solo una riduzione del loro utilizzo), e in particolare del phase out/down da tutti i combustibili fossili, oppure solo da quelli cui le emissioni non possono essere compensate. Questo aspetto lascia spazio a scappatoie nella transizione, come l’uso del carbon capture and storage o dei mercati di carbonio.
Nel pomeriggio di lunedì è emersa dalle organizzazioni della società civile la possibilità che la presidenza faccia saltare le discussioni tra le Parti, approfittando delle divergenze emerse tra loro,, per prendere il controllo della situazione (e del testo) e portare avanti la discussione confrontandosi di volta in volta singolarmente con ogni Paese.
Finanza climatica
Il nuovo obiettivo in termini di finanza climatica deve essere definito entro COP29, la Conferenza sul Clima dell’anno prossimo: al momento, quindi, ancora non si discute di una cifra da stanziare nei prossimi anni per i flussi finanziari di supporto all’adattamento e alla mitigazione.
In queste sessioni informali, uno degli aspetti più rilevanti è la richiesta di equità tra la finanza per la mitigazione e quella per l’adattamento, ma soprattutto un aumento della finanza per l’adattamento, essenziale dal punto di vista dei Paesi in via di sviluppo che stanno già subendo gli effetti più catastrofici dei cambiamenti climatici. La finanza per l’adattamento è importante per chiudere il gap sull’adattamento, sempre evidenziato dai periodici rapporti dell’UNEP.
Un altro aspetto da valutare è l’eventuale inserimento dei flussi finanziari verso il nuovo fondo per il Loss and Damage all’interno dell’obiettivo complessivo di finanza climatica. Questa opzione è osteggiata dai Paesi più ricchi, data la difficoltà nel definire un obiettivo di finanziamento relativo a questo fondo. Ma più in generale ancora ci si chiede cosa sia la finanza climatica e per cosa possa servire.
Oltre alla “quantità” relativa ai flussi di finanza climatica, si sta discutendo anche della loro “qualità”, valutando ad esempio l’uso di sovvenzioni anziché di prestiti che possono andare ad aggravare ulteriormente l’indebitamento dei Paesi in via di sviluppo. Lo stesso vale per il confronto sull’utilizzo della sola finanza pubblica o sull’integrazione della finanza privata. NI Paesi sviluppati cercano di spingere per i finanziamenti privati, che i Paesi in via di sviluppo non vogliono accettare, ma è chiaro a tutti che la finanza pubblica debba essere centrale in questo processo dell’Accordo di Parigi.
Anche le tensioni geopolitiche mondiali si riflettono nelle negoziazioni sulle questioni climatiche. Sidiscute infatti su chi debbano essere i contribuenti: da sempre sono stati i Paesi dell’Annex II, ovvero i Paesi dell’OCSE (USA, EU, Canada, Australia,…);che cercano però di coinvolgere anche le nuove economie emergenti, prima fra tutte la Cina, Paese che nonostante abbia superato da dopo il 1992 questa condizione, si ostina a voler partecipare ai negoziati UNFCCC come Paese in via di sviluppo.Altri aspetti rilevanti riguardanti la finanza climatica sono la trasparenza dei flussi (da chi arrivano e verso chi vengono indirizzati?), l’addizionalità rispetto ad altri impegni di finanza non relativi all’UNFCCC, come gli aiuti allo sviluppo, e l’equità nella distribuzione dei finanziamenti, in base alle necessità dei vari Paesi in via di sviluppo che hanno diritto a ricevere questi fondi.
Adattamento
I negoziati sull’adattamento – ovvero sulle misure necessarie a prepararsi agli effetti della crisi climatica ormai inevitabili – riguardano diversi aspetti: il Global Goal on Adaptation, la revisione delle attività dell’Adaptation Committee, i Piani Nazionali per l’Adattamento e il fondo per l’Adattamento.
Per quel che riguarda l’obiettivo globale per l’adattamento le Parti hanno espresso la necessità di avere nella bozza di decisione una dichiarazione sulle aspirazioni globali in termini di adattamento. Aspetti rilevanti sono la definizione dei target che i Paesi devono raggiungere, il rapporto con gli stakeholders affinché il processo di adattamento tenga conto delle necessità reali delle comunità locali, e l’importanza dei mezzi di implementazione delle politiche di adattamento, prime fra tutte il capacity building e la finanza climatica da parte dei Paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo, come conseguenza delle responsabilità comuni ma differenziate, tematiche già viste e che ritornano anche in questi tavoli di lavoro.
Aspetti simili emergono anche dal negoziato sui Piani Nazionali per l’Adattamento. I co-facilitatori hanno ricordato in questi giorni alle Parti che è necessario continuare con la formulazione e l’implementazione dei Piani Nazionali. Su questo aspetto le Parti hanno sottolineato la necessità di inserire nella decisione finale un riferimento ai Piani già presentati e l’importanza del supporto finanziario, tecnico e di capacity building per la formulazione e implementazione dei Piani. Importante anche il riferimento al coinvolgimento degli stakeholders e dell’integrazione dei popoli indigeni e delle conoscenze locali.
Just Transition (Transizione giusta)
Uno dei temi più sentiti qui a COP28 è la Just Transition, che riassume in qualche modo tutte le principali tematiche discusse anche negli altri negoziati informali.
Nel mondo ci sono tante disuguaglianze, a scala globale, regionale, e nazionale. I cambiamenti climatici, in termini di impatti, spesso vanno a colpire i gruppi più vulnerabili, donne, giovani, Paesi meno sviluppati, popoli indigeni, andando ad esacerbare le disuguaglianze sociali già esistenti.
Ma non solo: anche la transizione verso una traiettoria delle emissioni che sia net-zero rischia di mettere in difficoltà alcuni gruppi e Paesi.
Ad esempio, oltre ad avere obiettivi nazionali ambiziosi in termini di mitigazione, i Paesi in via di sviluppo, di nuovo, hanno bisogno di consistenti finanziamenti per portare a termine i loro obiettivi, senza i quali non possono permettersi la transizione. Anche il consumo del carbon budget da parte dei soli Paesi sviluppati, che negli ultimi decenni lo hanno quasi terminato, non è coerente con la definizione di giustizia climatica.
La just transition quindi si pone l’obiettivo di permettere uno sviluppo sostenibile di tutti i Paesi, con il raggiungimento degli SDG e l’eradicazione della povertà, e di non lasciare indietro nessuno.
In questo contesto il negoziato a Dubai si concentra sull’inserire nei testi negoziali alcuni aspetti importanti, come la garanzia dei diritti umani, l’educazione e informazione dei giovani e delle comunità, e il capacity building nei confronti dei Paesi in via di sviluppo.
Articolo a cura di Francesca Casale e Teresa Giuffrè, delegate di Italian Climate Network alla COP28.
Immagine di copertina: foto di Francesca Casale