26
Ago

ECOSOC HIGH LEVEL POLITICAL FORUM: COME SUL CLIMA LA MANCANZA DI VOLONTÀ RALLENTA L’AZIONE MULTILATERALE PER L’AGENDA 2030 

Dal 5 al 15 luglio scorso si è svolto a New York l’High Level Political Forum, momento culminante del processo di revisione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. I risultati hanno fatto emergere l’attuale immobilità politica su tematiche chiave come clima, ambiente, sviluppo e diritti.

L’avanzamento degli Obiettivi dI Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) viene monitorato attraverso un meccanismo di consultazioni regionali (Regional Forums) e Revisioni Nazionali Volontarie (National Voluntaries Reviews, VNRs) coordinate e presentate all’ECOSOC High Level Political Forum, la principale piattaforma delle Nazioni Unite dedicata allo sviluppo sostenibile a livello globale che si riunisce in plenaria ogni luglio.  Il forum assicura la revisione di tutti gli SDGs, ma allo stesso tempo ha una tematica generale a cui vengono legati alcuni Obiettivi specifici; quest’anno i focus sono stati la ripresa post-COVID nel quadro della continua implementazione dell’Agenda 2030, e gli Obiettivi 4 (istruzione)5 (parità di genere)14 (vita sott’acqua)15 (vita sulla terra) e 17 (cooperazione).

Revisioni Nazionali Volontarie ed SDGs

La presentazione delle VNRs si è  svolta sullo sfondo di un momento di instabilità generalizzata, che include la crisi climatica, la pandemia non ancora completamente debellata e l’effetto domino della guerra in Ucraina, che, oltre a rappresentare una crisi umanitaria, sta creando problemi di sicurezza alimentare ed energetica con ripercussioni significative anche per l’economia a livello internazionale. Ad aumentare le fonti di preoccupazione si sono aggiunti le ondate di calore e gli incendi ad esse correlati insieme all’instabilità politica a seguito della caduta di ben due governi nazionali in Europa (Italia e Regno Unito), e all’agitazione sociale e politica per la recente limitazione dei diritti delle donne negli Stati Uniti.

Questo scenario internazionale ha reso ancora più evidente come il quadro degli SDGs rappresenti la direzione che deve essere intrapresa con sempre maggiore urgenza per affrontare e risolvere le correnti crisi internazionali. Un totale di 44 Paesi hanno presentato i risultati del loro lavoro a livello nazionale nell’implementazione dell’Agenda 2030. Complessivamente ne è emerso che la pandemia ha avuto un impatto negativo sul raggiungimento degli impegni presi finora da queste nazioni, ma, d’altra parte, il mancato avanzamento degli SDGs è  stato principalmente legato a problematiche sistemiche/strutturali preesistenti per cui è mancata la volontà politica di risolverle. 

La discussione sull’istruzione (SDG 4) ha fatto emergere che oltre 20 milioni di studenti sono stati colpiti dalla chiusura delle scuole e che l’accesso limitato agli strumenti digitali ha aumentato significativamente le disuguaglianze già esistenti e mai affrontate in maniera strutturale tra gli studenti.

Sulla parità di genere (SDG 5) lo scenario che è stato presentato è  allarmante. Da diversi Paesi è  emerso un significativo peggioramento della situazione socioeconomica delle donne, nonché un aumento della violenza di genere, dei matrimoni precoci e delle gravidanze tra adolescenti, troppo spesso confinate con i loro aggressori e isolate da servizi d’aiuto. La pandemia ha sicuramente creato situazioni limite, ma non c’è neanche stata una presa di responsabilità da parte degli Stati verso la tutela a livello strutturale dei diritti delle donne, risultato di decenni in cui il problema non è stato mai messo in primo piano nelle agende politiche nazionali. Distopico, inoltre, sottolineare come la discussione stesse avvenendo proprio negli Stati Uniti dove da meno di due settimane sono stati criminalizzati i diritti sessuali e riproduttivi delle donne.

Qualche segnale positivo è  arrivato dalla presentazione di nuovi impegni per la tutela marina (SDG 14). In particolare diversi Paesi hanno presentato le azioni che stanno intraprendendo a livello nazionale per espandere le aree marine protette, limitare i sussidi alla pesca e contrastare l’inquinamento da plastica negli oceani. Quest’ultimo punto riflette l’influenza della risoluzione per la creazione di un trattato internazionale vincolante per combattere l’inquinamento della plastica adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA-5). Ha sorpreso la scarsa attenzione da parte delle delegazioni presenti (come anche all’interno della dichiarazione ministeriale conclusiva del forum) alla necessità di trasformare i sistemi tra uomo-animale-ambiente (SDG15). Le informazioni sull’origine zoonotica del COVID-19, infatti, come la risoluzione UNEA-5 adottata quest’anno sul nesso tra benessere animale, ambiente e sviluppo sostenibile, avrebbero dovuto spingere ad affrontare il tema con più urgenza. 

La società civile

Nonostante le difficoltà di partecipazione legate agli iniziali limiti imposti per la partecipazione in presenza e le generali difficoltà che ci sono in questo momento per ricevere visti di viaggio, diversi rappresentanti della società civile sono riusciti a partecipare all’HLPF. Tutte le occasioni di intervento sono state sfruttate e sono state indicate ai delegati le aree legate all’Agenda 2030 prioritarie. Tra queste: 

  • investire in un accesso equo ai vaccini, anche attraverso la condivisione delle licenze per consentire ai Paesi di produrre questi e altri prodotti importanti dal punto di vista medico;
  • affrontare le crisi alimentari, energetiche e dei fertilizzanti emerse dalla guerra in Ucraina;
  • aumentare gli investimenti nelle tutele sociali e sanitarie, soprattutto per le donne;
  • aumentare la partecipazione significativa dei giovani al processo decisionale;
  • investire sulle persone, anche attraverso il Transforming Education Summit;
  • “Mantenere in vita l’obiettivo 1,5°C”, anche ponendo fine alla dipendenza dai combustibili fossili e investendo in energie rinnovabili; 
  • rivedere l’accesso e l’ammissibilità ai finanziamenti agevolati per i Paesi in via di sviluppo.

In generale i temi legati ai diritti, al clima e alla necessità di un’azione concreta in linea con l’Accordo di Parigi e con gli impegni presi a COP26 sono stati ricorrenti; un chiaro tentativo da parte della società civile per richiamare all’azione quei decisori politici che sembrano non percepire l’urgenza e drammaticità delle crisi in corso. 

Non sono mancati anche momenti di riflessione sulle contraddizioni dell’attuale sistema delle relazioni internazionali, in cui le nazioni si riuniscono per promuovere azioni multilaterali e allo stesso tempo creano condizioni impossibili per la loro realizzazione. In questo caso il debito economico dei Paesi più ricchi del mondo, verso molti Paesi “in via di sviluppo” contrasta il raggiungimento degli SDGs, strettamente legati anche a resilienza e adattamento climatici. Una paralisi che danneggia tutti, creata dai Paesi “sviluppati” che nel superamento del colonialismo istituzionalizzato hanno mantenuto forme di dominazione economica verso i Paesi che già avevano depredato. Come ha commentato l’economista Jeffrey Sachs: se l’obiettivo ultimo è quello del “non lasciare nessuno indietro”, i correnti “prestiti” alle nazioni in via di sviluppo non permetteranno di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Le problematicità dell’HLPF

Le VNRs sono un processo di natura volontaria e il fatto che nel 2022 siano soltanto 7 i Paesi che non hanno mai interagito con il processo di revisione degli SDGs dell’HLPF può essere considerato come un successo. Continua ad esserci, però, un problema legato alla “qualità” dei rapporti che sta minando l’efficacia del meccanismo dell’HLPF. 

Nonostante diversi Paesi abbiano già partecipato ad altri HLPF, la maggior parte dei rapporti presentati sono ancora focalizzati solo sulla presentazione dell’attuale livello di implementazione dell’Agenda 2030. Manca il dettaglio delle azioni intraprese negli anni, come, ad esempio, il dettaglio delle politiche che sono state create ed implementate e come hanno contribuito all’avanzamento degli SDGs a livello nazionale o dati, da fonti ufficiali, che possano dimostrare l’avanzamento che vantano nei rapporti. Il processo di revisione degli SDGs prevede, inoltre, che la società civile venga consultata, ma pochissimi Paesi esplicitano se e come questo processo venga realizzato e come il suo contributo viene integrato nei rapporti per le VNRs. Infine, molti Paesi sembrano non aver ancora capito che il rapporto deve includere una revisione di tutti gli SDGs e non soltanto quelli sotto revisione tematica. Tutto questo influisce negativamente sulla qualità dei rapporti e su quello che dovrebbe essere un processo di promozione dell’azione per lo sviluppo sostenibile ad ogni livello. 

L’urgenza di trasformare il processo delle VNR da un mero esercizio procedurale con contributi frammentati e di scarsa utilità, a un processo completo su cui basare l’azione internazionale per lo sviluppo sostenibile e di conseguenza anche per l’azione climatica non è mai stato così alto e, purtroppo ancora una volta, questo dipende dalla volontà politica degli attuali governi.

Articolo a cura di Chiara Soletti, Policy Advisor e Coordinatrice della Sezione Clima e Diritti

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