giornata della donna
08
Mar

GIORNATA DELLA DONNA: GENDER EQUALITY E CRISI CLIMATICA

Per la Giornata internazionale della Donna, ICN ha deciso di dedicare un articolo alla questione della parità di genere in relazione al cambiamento climatico e ai suoi eventi avversi. Non è la prima volta che ICN si occupa di temi inerenti le diseguaglianze. Ad esempio, abbiamo affrontato più volte  la questione del divario tra Nord e Sud del mondo e alla necessità di integrare nei testi negoziali i diritti umani e il loro linguaggio al fine di garantire anche giustizia climatica e sociale. Qui, invece, ci dedichiamo nello specifico alle diseguaglianze strutturali e sistemiche esistenti all’interno della nostra società. In particolare, ci occuperemo della disparità di genere e del ruolo delle donne nella lotta al cambiamento climatico e alla giustizia climatica.

È ormai assodato che gli eventi avversi del cambiamento climatico interagiscono in modo differenziato sui diversi gruppi sociali. La società, infatti, si compone di diversi gruppi che si distinguono per etnia, colore della pelle, genere, sesso, orientamento sessuale, ma anche per ricchezza e povertà. Dove tali fattori sono già di per sé fonte di discriminazione e disuguaglianza, vengono esacerbati e accentuati dai cambiamenti climatici in un perverso circolo vizioso. 

E infatti, la società ha istituito e perpetrato nel tempo norme e valori che hanno promosso la superiorità di alcuni di questi tratti su altri. Ciò a sua volta ha posto in una condizione di svantaggio chi presenta caratteristiche diverse da quel paradigma, generando quelle che possiamo riassumere con il termine di disuguaglianze.

In questo contesto, studi decennali confermano che tali disuguaglianze rendono i gruppi sociali svantaggi più vulnerabili al cambiamento climatico in tre modi: 

  • aumentano il rischio di esposizione al cambiamento climatico; 
  • rendono tali gruppi più suscettibili ai danni provocati dal cambiamento climatico; 
  • riducono le capacità di tali gruppi di affrontare, gestire e riprendersi dagli effetti avversi del cambiamento climatico.

Questo discorso vale anche in riferimento alla questione di genere. Il termine ‘genere’ abbraccia un più ampio spettro di identità, ma in questa occasione ci concentreremo genericamente sulla distinzione uomo-donna e sui ruoli a essi pre assegnati dalla società. Ora, proprio in base a tali ruoli preassegnati e alla loro intersezione con razzismo, capitalismo, colonialismo e abilismo, le donne sono sproporzionatamente afflitte dal cambiamento climatico e risultano perciò ad esso più vulnerabili. 

Come dimostrato da numerosi report, ad esempio, le donne costituiscono in media il 43% della forza lavoro agricolo nei paesi del Sud del mondo e circa il 50% nell’Africa Sub-Sahariana, nonostante posseggano o gestiscano solo il 15% delle terre coltivate nel pianeta. Come noto il settore agricolo è particolarmente colpito dalle gravi siccità degli ultimi anni e questo sta esponendo le donne e le loro comunità a serie forme di malnutrizione e malattie

Più in generale la ricerca dimostra che le donne si trovano ancora oggi a dover affrontare problemi di accesso alle risorse, alla giustizia, alla mobilità e alla possibilità di far sentire la propria voce nell’ambito di processi decisionali che pure le riguardano. Un esempio è riportato nella Tabella seguente, che mostra le disuguaglianze di genere in ambito europeo e COP, dove le donne occupano un numero minore di posizioni chiave nelle politiche climatiche pur essendo tra i soggetti più colpiti dal cambiamento climatico. 

Tabella 1. Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (European Institute for Gender Equality — EIGE).

Se le donne sono rese più vulnerabili al cambiamento climatico dai ruoli a cui la società le sottopone, c’è però anche da dire che le responsabilità di genere tradizionalmente ad esse attribuite sono state per le donne stesse anche l’occasione per lo sviluppo di soluzioni innovative alle sfide del cambiamento climatico. Ciò include, ad esempio, lo sviluppo di metodi per la cura del suolo e delle risorse naturali, lo sviluppo e il mantenimento di conoscenze agricole tradizionali, la gestione, la cura e l’educazione delle famiglie e delle comunità a tali know-how e valori.

È in base a tale consapevolezza che abbiamo deciso di dedicare questo articolo alle donne che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla lotta al cambiamento climatico e alla giustizia climatica. In particolare, abbiamo scelto di segnalare gli esempi di: 

  • Ursula Rakova dalle Isole Carteret nella Papua Nuova Guinea: frustrata dall’inazione del proprio governo in materia di politiche al contrasto al cambiamento climatico che sta rendendo la sua terra inospitale alla vita, nel 2006 ha fondato Tulele Peisa, che significa “navigare sulle onde da soli”. A capo di questa iniziativa, Rakova ha guidato la propria comunità nel processo di ricollocazione dalle isole a un luogo più sicuro a Bougainville.   

“The people of the Carterets are victims of a crisis they have not caused, as they emit the least or nil emissions of greenhouse gases into the atmosphere.”

– Ursula Rakova, Executive Director, Tulele Peisa

  • Colette Pichon Battle, nativa della Louisiana, che si batte per i diritti umani e la giustizia climatica delle comunità locali. Il Louisiana è, infatti, un territorio colpito da frequenti uragani, inondazioni e dall’innalzamento del livello del mare. Lei è fondatrice del Gulf Coast Center for Law and Policy che mira a sensibilizzare sulla condizione drammatica delle popolazioni afflitte dal cambiamento climatico e promuove un processo di ripresa dalle catastrofi climatiche. (qui il video del suo appassionato Ted Talk). 
  • Ama Francis, che al meeting annuale del World Economic Forum di Davos ha presentato il progetto della ONG International Refugee Assistance Project, che coopera con altre organizzazioni per promuovere strategie per il riconoscimento e protezione dei migranti climatici nelle zone dell’America Latina, Centrale e Caraibi. Come lei stessa afferma, il progetto è anche il frutto di una consapevolezza maturata sulla base della sua esperienza personale. Ama, infatti, è nativa della Dominica e insieme alla sua famiglia ha vissuto in prima persona gli effetti distruttivi dell’Uragano Maria del 2017. 

Queste donne hanno vissuto in prima persona gli effetti devastanti del cambiamento climatico e sono state testimoni di come questo colpisca in modo sproporzionato i gruppi sociali più svantaggiati, e quindi anche le donne. Al contempo hanno anche avuto la forza di reagire alla tragedia, e di proporre nuove soluzioni al cambiamento climatico che non perpetuino le stesse disuguaglianze. 

Queste donne hanno fatto della loro esperienza personale e del loro femminismo il punto di forza nella battaglia al cambiamento climatico e per la giustizia climatica, consapevoli del fatto che gli effetti della loro lotta producono e produrranno benefici per tutti i gruppi sociali interessati e per le generazioni che verranno. Queste donne ci hanno ispirato, e speriamo ispirino anche tuttə voi che seguite il lavoro di ICN.

Articolo a cura di Camilla Pollera ed Erika Moranduzzo,
volontarie di Italian Climate Network e co-referenti della sezione Clima e Diritti

Immagine di copertina: Gerimara Manuel, APWLD

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