GIUSTA TRANSIZIONE, A BONN TEMPO SCADUTO?
Le divergenze tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo sono profonde e riguardano finanza climatica, misure unilaterali e implementazione del programma di lavoro sulla giusta transizione.
Alle 8 di lunedì mattina, la seconda settimana dei negoziati intermedi di Bonn si è aperta con la diffusione di una nota informale preparata dai co-chairs dello UAE Just Transition Work Programme. Il testo riprende le fila del discorso interrotto a Baku e introduce le visioni emerse durante la scorsa settimana. In sala si sono registrate due reazioni: i Paesi in via di sviluppo lo considerano un testo bilanciato, un buon punto di partenza per COP30; per i Paesi sviluppati il testo presenta invece troppi punti critici, e quindi è probabilmente da abbandonare. Nella giornata di martedì si deciderà il da farsi. Nel frattempo, i co-chairs del tavolo negoziale hanno invitato le Parti a parlarsi per trovare un terreno comune.
Cominciamo con i punti che non hanno suscitato commenti. Nel preambolo del testo si richiamano gli obiettivi di Parigi, compreso anche il riferimento specifico al 1.5°C, inserendoli nel contesto dei principi di equità e di responsabilità comuni ma differenziate e relative capacità.
La giusta transizione è presentata come un principio comune a tutti i Paesi, multisettoriale, multidimensionale e trasversale. Il testo evidenzia la necessità di approcci specifici (“no one-size-fits-all”), bottom-up e incentrati sulle persone, che devono tenere in considerazione la totalità della società e dell’economia, senza lasciare nessuno indietro. Si sottolinea inoltre che la giusta transizione rispetta, promuove e soddisfa i diritti umani, che si basa sulle circostanze e priorità nazionali e, nel caso dei Paesi in via di sviluppo, dev’essere facilitata dal sostegno dei Paesi sviluppati attraverso la finanza climatica, lo sviluppo e il trasferimento tecnologico e il capacity building. Infine, si riconosce l’importanza di:
- dialoghi efficaci con tutti gli attori;
- una partecipazione significativa di tutti gli stakeholders, tra cui lavoratori, lavoratori informali, persone in situazioni vulnerabili, popolazioni indigene, comunità locali, persone migranti e gli sfollati interni, bambini, giovani, anziani e persone con disabilità (in sala si è proposto anche il riferimento a donne e ragazze);
- sistemi educativi e di sviluppo delle conoscenze, i diritti dei lavorati e i sistemi di protezione sociale, anche in considerazione del lavoro informale, l’economia della cura e delle persone disoccupate.
Ed ecco che si arriva ai punti di divergenza.
Il testo contiene molti riferimenti alle necessità finanziarie dei Paesi in via di sviluppo, che occupano un ruolo significativo nei paragrafi 20-25. Secondo i Paesi sviluppati tali riferimenti dovrebbero essere snelliti o, in alcune situazioni, eliminati. Pur riconoscendo il ruolo dei mezzi di implementazione nel facilitare la giusta transizione, infatti, i Paesi sviluppati non ritengono che concentrarsi sulla finanza climatica faccia parte dello scopo del programma di lavoro, soprattutto dopo l’adozione del framework finanziario dei prossimi dieci anni a COP29. Al contrario, i Paesi in via di sviluppo sottolineato la necessità e l’urgenza di un supporto per l’implementazione di giuste transizioni e tentano di gettare le basi per la negoziazione sull’articolo 9.1 a COP30.
Considerando l’implementazione del work programme, i Paesi in via di sviluppo propongono di incontrarsi in negoziazioni “inf-inf” (informali di secondo livello) per discutere della creazione di strumenti che potrebbero facilitare nell’adozione di traiettorie di giusta transizione, anche attraverso scambi di buone pratiche, piattaforme e/o sistemi di supporto. Secondo i Paesi sviluppati i risultati del gruppo di lavoro sono invece i messaggi chiave che lancia al mondo, che anzi dovrebbero essere espressi attraverso verbi più attivi (al posto di un più pacato “si riconosce”). La creazione di ulteriori organi per supportare le giuste transizioni non è ritenuta da loro una priorità, considerando che esistono molti enti esterni allo UNFCCC che se ne occupano.
Il testo contiene anche un placeholder (un “segnaposto”, in gergo diplomatico uno spazio vuoto nel testo in vista di future decisioni) che ha destato interventi accalorati. Esso cita “placeholder sugli impatti al di là dei confini delle misure climatiche, includendo gli impatti sui commerci” e riguarda uno dei due punti che hanno tenuto in stallo l’agenda per due giornate all’inizio di questi negoziati. Se i Paesi in via di sviluppo spingono per affrontare in negoziazioni “inf- inf” il tema delle misure unilaterali che limitano i commerci (come viene percepito da molti il Carbon Border Adjustment Mechanism europeo), i Paesi sviluppati rifiutano, sottolineando che per sua natura una misura nazionale è intrinsecamente unilaterale, e che aver accettato di parlarne non implica che il testo finale includa alcun riferimento al tema.
Per ultimo, citiamo il rifiuto da parte di Russia, Qatar e Uganda di qualunque riferimento specifico alla transizione dalle fonti fossili o, in generale, al settore energetico.
Articolo a cura di Claudia Concaro, delegata di Italian Climate Network ai negoziati di Bonn.
Immagine di copertina: foto UNFCCC