14
Giu

LO SCONTRO NORD-SUD ENTRA ANCHE NEL NEGOZIATO SULLA JUST TRANSITION

Lunedì e martedì si sono svolte due sessioni del programma di lavoro sulle just transition pathways o, per tradurlo, i percorsi verso una transizione giusta.  

La sessione di lunedì è iniziata con l’annuncio che uno dei due chair del programma di lavoro, della Germania, non continuerà il suo ruolo di facilitatore per impegni imminenti con il Paese d’origine e incompatibili col ruolo di chair, lasciando il compito di guidare i lavori al secondo co-facilitatrice dello Zambia. Viene da chiedersi se ci sia una relazione con quanto è successo dopo nella sessione. 

Innanzitutto nella mattina presto di lunedì, alle ore 7 di Bonn, è stata condivisa una nota informale preparata dai co-facilitatori sugli obiettivi e gli scopi delle sessioni di lavoro. La nota riconosceva l’importanza del principio di “common but differentiated responsibilities” (CBDR – responsabilità comuni ma differenziate), citava l’articolo 2.2 dell’Accordo di Parigi e il principio di equità. Si faceva riferimento ai diritti umani, al diritto allo sviluppo; si parlava di circostanze nazionali e dell’importanza del rispetto di diversi percorsi e velocità di sviluppo. 

La nota, infine, riconosceva l’importanza che una transizione giusta non si traduca nelle stesse disuguaglianze strutturali che hanno portato oggi una disparità di reddito e sviluppo così elevata tra global north e global south. 

In pratica ormai è chiaro che si riconosce che i percorsi di giusta transizione abbiano una dimensione globale, per cui i Paesi sviluppati devono assumere un ruolo guida nella dimostrazione di tali transizioni all’interno dei loro confini e contribuire a mobilitare i finanziamenti per la realizzazione di tali percorsi nei Paesi in via di sviluppo, in conformità con l’articolo 4, paragrafo 4. Stesso articolo citato dai Paesi del gruppo negoziale LMDC come avevamo spiegato qui. Infatti nella nota si richiama anche l’articolo 2 paragrafo 1 dell’Accordo di Parigi, paragrafo in cui si fa riferimento alla finanza climatica (“i flussi finanziari coerenti con un percorso che porti a basse emissioni di gas serra e alla resilienza climatica”)

La nota informale ha, però, scatenato un putiferio in sala. 

Gli Stati Uniti hanno aperto la discussione affermando a gran voce che non hanno intenzione di accettare nessuna decisione in cui la scelta di parole si distanzia dalla definizione ILO di just transition e dal preambolo dell’Accordo di Parigi in cui si cita il concetto di just transition (“Tenendo conto degli imperativi di una giusta transizione della forza lavoro e della creazione di posti di lavoro dignitosi e di qualità, in conformità con le priorità di sviluppo definite a livello nazionale”). Per gli USA la just transition è un tema di forza lavoro interna ai confini nazionali e se qualche Paese non è d’accordo avrebbe dovuto dirlo, secondo loro, a COP27, non a Bonn. Per gli USA questo work stream non è incentrato sulla climate justice, né sulla finanza climatica

Il co-chair dello Zambia ha risposto agli USA affermando che quanto è contenuto nella nota informale rispecchia il mandato ricevuto a Sharm el Sheik. 

Sono seguite,poi, una fila di interventi di Regno Unito, Australia, Canada, Giappone e UE che hanno appoggiato senza eccezioni la posizione USA e confermato un fronte negoziale dei Paesi sviluppati compatto contro il gruppo negoziale dei Paesi in via di sviluppo. Lo stesso scontro politico che sta tenendo i negoziati intermedi nel caos di cui avevamo parlato qui. In generale l’UE sembra appoggiare posizione del fronte dei Paesi sviluppati, ma meno apertamente di quanto fatto da Stati Uniti, Regno Unito e gli altri Paesi, limitandosi a fare dei commenti di natura tecnica sul testo. 

Il gruppo negoziale G77 guidato da Sud Africa, invece, ha supportato in pieno il contenuto della nota informale e l’importanza fondamentale di legare il tema della finanza climatica alla discussione sulla just transition. Posizione ribadita dal gruppo LDCS, Brasile, Paesi africani e arabia saudita. 

Quello che emerge sono, dunque, due fronti compatti tra Paesi del nord e sud del mondo, senza la possibilità di aprirsi a un dialogo, situazione che si sta ripetendo su diversi steam di lavoro ai questi negoziati intermedi come abbiamo spiegato qui. 

Inoltre, i toni si sono tenuti accessi con una diretta accusa dell’Arabia Saudita verso i Paesi sviluppati che chiedono a gran voce il “phase out” dai combustibili fossili, ma sono i primi a non tradurre in azioni azioni concrete le loro stesse richieste, continuando a bruciare combustibili fossili. 

Insomma, non sembrano esserci le migliori premesse per trovare un accordo prima della fine dei negoziati intermedi previsti per giovedì. 

Articolo a cura di Margherita Barbieri, Volontaria ICN

Foto di copertina:  ISS Africa

You are donating to : Italian Climate Network

How much would you like to donate?
€10 €20 €30
Would you like to make regular donations? I would like to make donation(s)
How many times would you like this to recur? (including this payment) *
Name *
Last Name *
Email *
Phone
Address
Additional Note
Loading...