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OLTRE LE PORTE DEI NEGOZIATI CLIMATICI: LA SOCIETÀ CIVILE RIVENDICA I SUOI DIRITTI

Chiunque sia coinvolto nel dibattito sul cambiamento climatico o legga i nostri articoli avrà certamente riconosciuto l’enorme enfasi posta sull’integrazione dei diritti umani in queste discussioni. Il ruolo della società civile emerge come cruciale, costituendo la forza trainante più affidabile per spingere le istituzioni a rispondere alle esigenze di cambiamento espresse dalla comunità scientifica. La vasta gamma di attori della società civile e dei popoli indigeni opera in uno spazio civico in cui è libera di esercitare i propri diritti fondamentali di espressione, associazione e riunione, senza impedimenti governativi.

Ma, cosa accade quando lo spazio civico viene limitato o addirittura rimosso?

In un incontro organizzato da Climate Action Network (CAN), Amnesty International e 350.org a Bonn, si è parlato del grande elefante nella stanza.

La COP27 in Egitto, un Paese le cui gravi violazioni dei diritti umani e lo spazio civico limitato sono purtroppo noti anche all’Italia, ha suscitato forti critiche. L’accesso e la partecipazione attiva di gruppi della società civile da tutto il mondo sono stati più volte ostacolati, con conseguenze significative sulle negoziazioni. La paura e la preoccupazione di maltrattamenti, violenze e intimidazioni sia dentro che fuori la venue hanno compromesso il contributo essenziale della società civile.

Ora, il timore è che i partecipanti alla prossima COP28, che si terrà negli Emirati Arabi Uniti, possano incontrare limitazioni ancor più rigide. A partire dal 2011, la società civile locale ha subito un progressivo isolamento, con l’introduzione di leggi che puniscono con la detenzione qualsiasi forma di dissenso, anche pacifico, che sia manifestato attraverso l’espressione personale, l’associazione o l’assemblea. Inoltre, gli Emirati registrano notevoli violazioni del diritto alla privacy, dei diritti dei lavoratori, dei diritti delle donne e dei diritti sessuali.

Per questo motivo, in preparazione della prossima COP28, la società civile ha presentato una serie di proposte per proteggere lo spazio civico e assicurare una partecipazione pubblica nel processo UNFCCC

La prima proposta prevede che venga dichiarato, durante queste sessioni intermedie di Bonn, che la partecipazione pubblica e lo spazio civico siano rispettati senza discriminazioni o interferenze durante tutte le fasi dei processi negoziali. Le presidenze attuali e future, insieme alla Segreteria dell’UNFCCC, sono quindi sollecitate a creare un ambiente sicuro e favorevole per i difensori dei diritti umani, dell’ambiente, le donne, i popoli indigeni e le organizzazioni della società civile.

Si esorta l’Egitto, che detiene attualmente la presidenza della COP27, a rispettare i suoi impegni internazionali in materia di diritti umani, liberando coloro che sono stati detenuti arbitrariamente, in particolare quelli che hanno partecipato a proteste pacifiche durante i negoziati.

Gli Emirati Arabi Uniti sono, invece, incoraggiati a lavorare per ottenere progressi significativi in termini di diritti umani, prima della COP28. Questo include, in particolare, la liberazione degli attivisti detenuti senza giusta causa e l’abolizione delle leggi oppressive che limitano i diritti civili e politici e che discriminano le donne, le persone queer e i gruppi marginalizzati.

Infine, si sollecita il segretariato dell’UNFCCC a prendere misure proattive per assicurare la sicurezza di tutti i partecipanti ai negoziati. Questo comprende lo sviluppo di normative e princìpi ben definiti sui diritti umani, che devono essere inseriti negli accordi con i paesi ospitanti in modo pubblico e trasparente. Nonostante la questione dello spazio civico sia emersa con maggiore enfasi negli ultimi anni, specialmente durante i negoziati tenuti in Paesi non democratici, è fondamentale ricordare che le politiche delle Nazioni Unite contro ogni tipo di molestie e discriminazioni durante le COP sono ancora molto deboli. Per tale motivo, si richiede l’istituzione di un centro di riferimento per segnalare violenze e ritorsioni e una collaborazione più stretta con altre agenzie delle Nazioni Unite per facilitare gli eventuali risarcimenti.

Per affrontare le cause profonde delle crisi globali, inclusa quella climatica, è indispensabile creare istituzioni multilaterali democratiche, rappresentative e partecipative. Risulta vano e profondamente ipocrita discutere l’inclusione dei diritti umani nelle trattative se, una volta fuori dalle porte negoziali, questi diritti vengono ignorati. Quando sul piano teorico si rivendica l’importanza della voce del popolo, è fondamentale poi assicurarsi che tale voce sia effettivamente espressa e ascoltata.

Articolo a cura di Camilla Pollera, Volontaria ICN

Foto di copertina: 2022 REUTERS/Mohammed Salem

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