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Giu

FINANZA CLIMATICA, PROSEGUE LO STALLO

I negoziati intermedi sul clima si chiuderanno giovedì e, come ci si aspettava, il tema centrale è stato quello della finanza climatica. Una questione spinosa ma sempre più urgente, destinata a dominare la scena anche alla COP29, la prossima Conferenza ONU sul clima che a novembre si svolgerà a Baku, in Azerbaigian.

Nell’ambito della finanza climatica, un punto chiave che è stato molto discusso qui a Bonn è quello del new collective quantified goal (NCQG), il nuovo obiettivo globale relativo ai fondi che i Paesi più ricchi dovranno stanziare per sostenere quelli più poveri nel far fronte alla crisi climatica e i suoi impatti.

Un obiettivo nuovo: il precedente era stato identificato alla COP15 di Copenhagen, nel 2009, quando i Paesi avevano promesso di raggiungere i 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Durante la COP21 – quella che nel 2015 ha portato allo storico Accordo di Parigi – si è poi deciso di mantenere lo stesso obiettivo fino al 2025 fissandone un altro per gli anni successivi.

Il target dei 100 miliardi l’anno è stato raggiunto solo nel 2022 e oggi sappiamo che, purtroppo, questa cifra non basta a dare un sostegno concreto ai Paesi che più ne hanno bisogno. Nemmeno ci si avvicina.

A che punto siamo

I negoziati intermedi di Bonn dovrebbero concludersi con la redazione di una bozza di testo che fornirà la base su cui riavviare la discussione alla COP29: la presidenza del vertice azerbaigiano ha già promesso che a novembre avremo un nuovo obiettivo di finanza climatica ma in realtà, almeno per ora, la strada appare tutta in salita.

Finora è stato redatto solo un testo di bozza ancora ben poco definito, che sostanzialmente si limita a riportare tutta una serie di considerazioni espresse nell’ultimo anno dai principali gruppi negoziali.

Un testo considerato del tutto inadeguato dalle delegazioni che stanno lavorando sul tema, e che martedì sono tornate a confrontarsi in quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo meeting dedicato all’NCQG prima della COP29. La riunione, durata due ore, si è conclusa con la conferma della necessità di lavorare ancora sul testo.

Durante l’incontro le delegazioni dei Paesi più poveri sono tornate a sottolineare quanto sia urgente fare passi avanti concreti nell’azione climatica, ma anche quanto siano elevati i costi da sostenere. È ormai accertato che non basta stanziare 100 miliardi di dollari all’anno – una cifra che pure abbiamo fatto così fatica a raggiungere: per affrontare la crisi climatica i Paesi più poveri e vulnerabili hanno bisogno di molti, molti più soldi.

Le stime elaborate dalle istituzioni più autorevoli parlano tutte di somme nell’ordine dei trilioni di dollari annui (migliaia di miliardi). Ad esempio il primo Rapporto sulla Determinazione delle Necessità del Comitato Permanente per le Finanze, elaborato nel 2021, ha mostrato che sono necessari quasi 6 mila miliardi di dollari per mettere in atto i piani d’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo entro il 2030, e questo non copre completamente i costi per l’adattamento.

Tra gli interventi che abbiamo ascoltato martedì c’è stato quello della delegazione del Pakistan, il cui portavoce ha sottolineato che i Paesi più vulnerabili stanno già sostenendo spese estremamente elevate per far fronte alla crisi climatica e ai suoi effetti catastrofici. “Per continuare a cooperare abbiamo bisogno di un NCQG equilibrato”, ha avvertito il delegato. “Se i finanziamenti promessi con la Convenzione (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, ndr) e l’Accordo di Parigi non sono disponibili, perché dovremmo aderire alla Convenzione?”.

Dritto al punto anche il delegato delle Isole Marshall, che ha evidenziato l’impatto diretto della finanza climatica sulla vita delle persone. Il sostegno internazionale servirà al suo Paese per mettere in atto il suo piano di adattamento, per esempio: “letteralmente una questione di sopravvivenza”.

In generale, durante la discussione che abbiamo osservato martedì a Bonn è stata evidenziata la necessità di accordare un obiettivo che sia dinamico, trasparente e che venga regolarmente rivisto. I Paesi più ricchi sono stati esortati a rispettare gli impegni presi per sostenere le misure necessarie a contrastare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni (mitigazione), a prepararsi per gli effetti ormai inevitabili (adattamento) e a ripagare le nazioni più povere delle perdite e danni subiti (loss and damage).

Per il momento, tuttavia, non si sono viste proposte concrete e condivise sulle tempistiche da darsi e le cifre da stanziare, l’ormai centralissimo “quantum”ne avevamo parlato qui.
Questo stallo sul tema della finanza climatica è un problema sempre più grave non solo per il sostegno, giusto e necessario, che dev’essere assicurato ai Paesi in via di sviluppo da parte di quelli più ricchi e con le maggiori responsabilità in termini di emissioni. L’incertezza e le tensioni che dominano in questo ambito stanno infatti influenzando pesantemente anche i negoziati relativi ad altri aspetti del contrasto alla crisi climatica, primo fra tutti quello della mitigazione: facciamo il punto qui.

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