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Giu

CONCLUSI I LAVORI TECNICI: IL PRIMO STOCKTAKE QUASI PRONTO PER COP28

Si sono conclusi due anni di lavori relativi al Global Stocktake (GST), in una plenaria non priva di tensioni. Questa ha rappresentato la chiusura della fase tecnica nella costruzione di questo primo inventario globale delle azioni dei Paesi sul clima e l’apertura della successiva fase di valutazione politica, che vedrà il proprio compimento questo novembre durante la COP28 di Dubai. Stiamo vivendo uno dei momenti-chiave dell’effettiva entrata in funzione dell’Accordo di Parigi, che prevede un inventario ogni cinque anni. Questo del 2023 è il primo.

Il Global Stocktake

Principale risultato della fase appena terminata è una relazione, un “synthesis report”, da pubblicare a settembre, che guiderà la fase politica. Quest’ultima, invece, dovrà produrre un resoconto dei progressi finora raggiunti verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e, soprattutto, proporre delle soluzioni qualora si riscontrassero lacune. L’anno prossimo, gli esiti del primo GST saranno input fondamentale per la formulazione dei prossimi obiettivi degli Stati (NDC), da comunicare – possibilmente revisionati al rialzo – nel 2025. Come sottolineato dalla presidenza della SB58, “il GST è cruciale per spingere l’ambizione collettiva. È un’opportunità fondamentale per portare avanti le azioni e la loro implementazione a tutti i livelli”. 

Ecco che la plenaria di chiusura si è dimostrata, più  che tecnica, fortemente politica e animata dalle stesse tensioni che hanno finora caratterizzato tutto il negoziato, a partire dalla mancata adozione dell’agenda. Le tensioni sono culminate lunedì in una tanto accesa, quanto ritardata e fallimentare nel suo intento, plenaria di chiusura del periodo di lavoro. I

Così come la plenaria di apertura della SB58 è stata costellata dallo scontro, ormai quasi plateale, fra Paesi sviluppati e Paesi del Sud del mondo a favore di un maggiore impegno rispettivamente nella mitigazione o nella finanza climatica (i sostegni economici ai Paesi in via di sviluppo, finora caratterizzati da promesse mancate), lo stesso scontro Nord-Sud ha animato la plenaria conclusiva del Global Stocktake.

Emissioni storiche e impegni futuri

In sostanza, i Paesi del gruppo G77 e Cina hanno marcato l’importanza di tenere conto delle emissioni storiche (pre-2020) mentre i Paesi sviluppati delle emissioni incrementali, posizioni che riflettono la maggiore responsabilità storica da parte dei secondi e il maggiore incremento nelle emissioni negli ultimi decenni da parte dei primi – si pensi al caso eclatante della Cina, oggi primo emettitore globale.

Proprio la Cina ha sottolineato la centralità, secondo l’IPCC (istituzione di riferimento per la scienza del clima), delle emissioni cumulate – comprese dunque le emissioni storiche – come causa del cambiamento climatico. Allo stesso modo, è stata rimarcata la porzione non indifferente delle attuali emissioni dei Paesi in via di sviluppo legata a prodotti destinati comunque ai Paesi sviluppati (secondo l’antica suddivisione del Protocollo di Kyoto e, prima ancora, della stessa convenzione UNFCCC tra ricchi e poveri a livello globale). La delegata cinese, inoltre,ha dichiarato , senza mezzi termini, un sostanziale fallimento della mitigazione da parte dei Paesi ricchi, da confrontare con successi dei Paesi del Sud: “Solo tre Paesi sviluppati mostrano riduzioni delle emissioni allineate con gli obiettivi di Parigi, […] molti [invece] hanno fallito nel raggiungere le riduzioni. Coloro che le hanno raggiunte, lo hanno fatto grazie alle condizioni geopolitiche o pandemiche”.  

L’Australia ha risposto indicando come: “i Paesi invia di sviluppo sono responsabili della maggior parte delle emissioni incrementali dal 1992. L’azione non dovrebbe basarsi su responsabilità storiche, ma sull’ambizione comune.” Hanno fatto eco gli Stati Uniti: “C’è una chiara differenza fra le emissioni avvenute prima del riconoscimento della gravità del cambiamento climatico e quelle avvenute dopo, […] adesso sono disponibili alternative alle tecnologie a più alta emissione”.

“Sembra un passo indietro rispetto a Parigi”

Non sono mancati, però, anche tentativi più o meno celati di ritrattare la necessità delle azioni di mitigazione anche appellandosi a una supposta inadeguatezza di quanto rappresentato negli scenari di mitigazione IPCC. Arabia Saudita, Cina e India si sono mostrate compatte nell’affermare che gli scenari IPCC contengono assunzioni di disuguaglianza e ingiustizia a livello globale, ad esempio rispetto all’accesso all’energia. Per questo, l’Arabia Saudita si è spinta ad affermare che sia necessario discutere gli impatti delle azioni di mitigazione, ritenute dannose per una parte del globo, lasciando piuttosto il necessario carbon space” a quei Paesi che vogliono svilupparsi mentre l’Occidente punta ai suoi obiettivi Net Zero;  l’India ha infine sottolineato che “flussi finanziari continui verso i combustibili fossili possono essere considerati disallineati a Parigi per i Paesi sviluppati, ma non per quelli in via di sviluppo”. Una visione di sviluppo basata sul fossile chiaramente legata, in questo caso, a necessità domestiche di export piuttosto che ad un vero solidarismo internazionale.

Risulta preoccupante rilevare come argomenti molto simili siano ad oggi utilizzati dalle multinazionali dell’Oil&Gas per giustificare un’azione climatica fin troppo timida. In un documento destinato alla US Securities and Exchange Commission, Exxon afferma che rimanere al di sotto degli 1.5°C “richiede una degradazione negli standard di vita globali”, riferendosi allo scenario Net Zero 2050 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. Questo scenario, in realtà, prevede un accesso universale all’energia e un costo minore della stessa rispetto agli scenari ad ambizione più ridotta.

Benché risulti quantomeno sospetta la presenza di spinte meno trasparenti da parte di alcuni Paesi, doveroso è ricordare l’origine delle divergenze mostrate finora durante l’SB58. Citando l’intervento indiano: “Il mancato sviluppo dei finanziamenti per il clima è l’ostacolo più significativo al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi.”

Articolo a cura di Elisa Terenghi, Volontaria ICN

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