08
Set

SERVE UNA PROTEZIONE LEGALE PER COLORO CHE MIGRANO A CAUSA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI: L’APPELLO DELLO SPECIAL RAPPORTEUR DELLE NAZIONI UNITE, IAN FRY

Abbiamo già parlato delle migrazioni indotte dal cambiamento climatico (qui il link al nostro articolo) rilevando come, ad oggi, non esista alcuna protezione legale specifica per i rifugiati climatici, soprattutto quando valicano i confini di altri Stati. 

La Convenzione sui Rifugiati del 1951, infatti, riconosce lo status di rifugiato solo a coloro che attraversano la frontiera a causa di ‘un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica’ – Art. 1(A)2 -. Chiaramente, in tale definizione, non rientrano gli effetti del cambiamento climatico.

Tuttavia il cambiamento climatico sta spingendo sempre più persone a migrare verso altri Paesi per trovare migliori condizioni ambientali, e sta diventando sempre più urgente fornire risposte efficaci e rapide per affrontare questo problema. 

È in questo frangente che si colloca il report tematico appena rilasciato dallo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione dei diritti umani nel contesto del cambiamento climatico, Ian Fry. Noi di Italian Climate Network lo abbiamo letto e analizzato per voi.

In primo luogo, il report fornisce alcuni dati numerici. In particolare, sottolinea che, tra il 2016 e il 2020, la siccità è stata una delle cause principali di migrazione. Per esempio, si stima abbia causato circa il 75% degli spostamenti tra Somalia e Kenya e il trasferimento di circa 3.5 milioni di persone dal corridoio arido del Centro America verso gli Stati Uniti. Inoltre, rileva come le proiezioni fornite dall’IPCC prevedono che dai   31 ai 143 milioni di persone si sposteranno a causa del cambiamento climatico dal Centro e Sud America, dal Sub-Sahara e Sud Asia.

In linea con il suo mandato, poi, lo Special Rapporteur ha illustrato le implicazioni del cambiamento climatico sui diritti umani delle persone. In particolare, spiega Ian Fry, le persone indotte a migrare per cause climatiche sono particolarmente esposte al rischio di subire gravi violazioni dei propri diritti umani. Ad esempio, il diniego di accesso al cibo, all’acqua, ad un riparo sicuro, a sistemi sanitari e ad una istruzione, oltre a rischiare la propria vita o ingenti danni alle loro proprietà. 

Sulla base di tali considerazioni, lo Special Rapporteur ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché comprenda le proprie responsabilità verso coloro che valicano i confini internazionali per chiedere protezione a causa del cambiamento climatico. Ancora oggi, come dicevamo, si registra un generale immobilismo sul tema, dove molti Stati continuano a preferire un approccio ‘wait and see’, piuttosto che agire. Purtroppo, però, la questione è diventata urgente e ha bisogno di risposte. 


it is now time to put aside this denial and accept the fact that a large number of people are being displaced across international borders due to climate change and that there is an international legal responsibility to properly protect them.”

Ian Fry, para 28 of his report.


A tal proposito lo Special Rapporteur fornisce raccomandazioni chiare e puntuali. In particolare, propone l’adozione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione sui Rifugiati – in quanto strumento affine – affinché le motivazioni climatiche vengano considerate come ragioni legittime per la richiesta di protezione internazionale.   

Inoltre lo Special Rapporteur raccomanda gli Stati di sviluppare legislazioni nazionali che, fin quando tale protocollo non sarà adottato, forniscano visti umanitari per ragioni climatiche e suggerisce che a livello regionale, ad esempio di Unione Europea, i relativi apparati estendano la definizione di rifugiato anche ai rifugiati climatici.

Infine, Fry raccomanda lo sviluppo di accordi in materia di finanziamenti volti ad assistere tale categoria di migranti e capaci di fornire risposte adeguate alle loro specifiche necessità e vulnerabilità. Da questo punto di vista, il Fondo in materia di Perdite e Danni istituito  durante la scorsa COP27 sembra rappresentare un passo significativo in questa direzione.

Ora, non sappiamo se gli Stati e soprattutto quelli del Nord Globale seguiranno le raccomandazioni dello Special Rapporteur o,come avvenuto sinora,continueranno a trascurare la questione. Certo è che – citando le parole di Ian Fry – “è ormai giunto il tempo perché il tema delle migrazioni indotte dal cambiamento climatico venga affrontato dalla comunità internazionale con i mezzi e le risorse adeguate”. Noi di ICN continuiamo a credere che la comunità internazionale possa individuare le migliori soluzioni per gestire tutti gli effetti avversi del cambiamento climatico avendo a cuore, in primo luogo, i diritti delle persone, e dunque, sul punto vi terremo informati.

Articolo a cura di Erika Moranduzzo, esperta di diritti umani e Coordinatrice della sezione diritti e clima

Immagine di copertina: Julie Ricard/Unsplash

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