SDG SUMMIT 2023, G77 E IL MONDO NUOVO CHE AVANZA
Si è concluso da poco lo “UN SDG Summit” di New York appuntamento in cui i Paesi Membri dell’ONU si sono riuniti per fare il punto sui progressi fatti sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, da raggiungere entro il 2030 (altri articoli sul tema qui e qui). I Sustainable Developement Goals (SDGs) designano, infatti, la road map che la comunità internazionale si è data per uscire dalle crisi globali, e prime fra tutte dalla crisi climatica e ambientale, con l’obiettivo di garantire a tutte e tutti una vita dignitosa e prospera su un pianeta pulito.
Tuttavia, purtroppo, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha riferito che, a distanza di quasi 10 anni, solo il 15% dei target previsti dalla SDGs Agenda 2030 sono stati raggiunti. Un risultato chiaramente deludente e che rischia seriamente di mettere a repentaglio il raggiungimento dei 17 obiettivi entro il 2030, oltre che peggiorare la situazione di chi è già in posizioni di vulnerabilità e svantaggio.
“The SDGs aren’t just a list of goals. They carry the hopes, dreams, rights and expectations of people everywhere,”. “Yet today, only 15 per cent of the targets are on track. Many are going in reverse. Instead of leaving no one behind, we risk leaving the SDGs behind.”
UN Secretary-General António Guterres, SDGs Summit 2023
Come sostenuto anche dalla nostra delegata Ayshka Najib nel suo discorso al Generation Equality Midpoint (vedi link al minuto 16), gli SDGs sono la guida per la sopravvivenza dei MAPAs (Most Affected People and Areas) del Sud Globale. Non raggiungerli non determina solamente un mancato obiettivo, ma segna la vita e l’esistenza di milioni di persone, inasprendo inaccettabili ineguaglianze sociali. Questo solleva chiaramente temi di giustizia climatica.
Il termine giustizia climatica incorpora i principi etici e legali di uguaglianza e responsabilità, secondo cui le nazioni più ricche e più inquinanti dovrebbero fare maggiori sforzi per far fronte al cambiamento climatico, oltre a mettere i Paesi più poveri e vulnerabili nelle condizioni di affrontarlo, rimediando alle esistenti ineguaglianze strutturali che li attraversano. Ma giustizia climatica può essere fatta solo attraverso un approccio olistico di alcune questioni. Tra queste, quella redistributiva e di accesso democratico al processo decisionale (giustizia procedurale).
All’SDG Summit è chiaramente emerso che sul primo fronte c’è ancora molta strada da fare – ad oggi, i Paesi ricchi hanno stanziato cifre irrisorie rispetto a quanto si erano impegnati a fare, tanto che si è parlato di rescue plan di 500 miliardi di dollari, ovvero 400 in più rispetto agli iniziali famosi 100 miliardi mai allocati.
‘A “rescue plan” for the Sustainable Development Goals (SDGs) must now result in policies, budgets and investment to ensure a more just, equitable and green future by 2030’
UN Secretary-General António Guterres, SDGs Summit 2023.
Sul fronte della giustizia procedurale, invece, si rileva qualcosa di inedito e che potrebbe cambiare il corso degli eventi. Infatti durante il vertice, dagli speech di alcuni Paesi in via di sviluppo, come il Brasile e la Colombia, è definitivamente emersa l’insofferenza che questi Paesi nutrono verso l’Occidente e le sue logiche, così come la loro volontà di reclamare una posizione di maggiore rilievo a livello internazionale. Non che questo non fosse già stato espresso in precedenza,ma il contesto internazionale di riferimento è nel contempo radicalmente cambiato.
Il 15-16 settembre, si è tenuto a l’Havana (Cuba) il Summit dei Paesi in via di sviluppo del G77. Dal meeting è emerso chiaramente come per essi sia arrivato il momento di cambiare le regole che hanno sin d’ora guidato la comunità internazionale per aprire la via ad un vero multilateralismo, in quanto non ritengono che la comunità internazionale sia veramente un consesso democratico dove tutti i Paesi hanno stesso peso e influenza nelle decisioni che li riguardano.
Al secondo punto della Havana Declaration adottata all’esito del vertice, i Paesi del G77 hanno riaffermato la necessità di garantire il pieno rispetto degli scopi e dei principi della carta delle Nazioni Unite. In particolare, la democratizzazione del suo processo decisionale al fine di garantire a tutti i Paesi partecipanti di sedere al tavolo di discussione ‘da pari tra pari’. Al momento, le Nazioni Unite paiono replicare le vecchie dinamiche di potere per cui, grazie al loro vantaggio economico e di risorse, di fatto solo i Paesi dell’Occidente eserciterebbero il potere decisionale in seno a tale istituzione, con un’inaccettabile mancanza di rappresentanza di Africa, America Latina e Sud-est Asiatico. A ciò si aggiunge anche il fatto che, ad oggi, le decisioni adottate sono rimaste per lo più sulla carta, vista la riluttanza dei Paesi Occidentali di dare reale corso agli impegni presi.
Su tali premesse, dunque, i Paesi del Sud Globale si sono presentati all’SDG Summit per rimarcare la necessità di democratizzazione delle Nazioni Unite al fine di segnare un deciso cambio di passo nelle dinamiche internazionali: il Nord Globale non può più essere l’ombelico del mondo. Insomma, un mondo nuovo avanza e potrebbe ri-determinare radicalmente il funzionamento e le dinamiche della comunità internazionale a partire dai principali fori internazionali, tra cui i Negoziati sul clima.
La COP28, la conferenza delle Nazioni Unite che si svolgerà a Dubai tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre, potrebbe essere una piattaforma interessante per osservare questi cambiamenti e le loro eventuali conseguenze. Di certo, tali eventi non possono che essere interpretati in un’ottica di implementazione di giustizia climatica attraverso la giustizia procedurale.
D’altro canto, i Paesi del Sud Globale rappresentano circa l’80% della popolazione mondiale, una fetta piuttosto rilevante, oltre al fatto di essere proprio quel segmento di mondo che – come abbiamo più volte detto – risulta vulnerabile ed è più svantaggiato dall’immobilismo dell’Occidente nel contrastare in modo significativo gli effetti del cambiamento climatico.
Articolo a cura di Erika Moranduzzo, Coordinatrice sezione Clima e Diritti Italian Climate Network