UN APPELLO ALLA GIUSTIZIA NELLE ZONE DI CONFLITTO: AIUTI UMANITARI E FINANZIAMENTI CLIMATICI
Parallelamente agli obiettivi negoziali, agli intermedi di Bonn emergono anche altre tematiche trasversali che contribuiscono a delineare l’effettiva natura delle future COP., Si è svolto, ad esempio, un evento riguardante l’azione climatica nei contesti fragili e soggetti a conflitti, promuovendo l’idea di dedicare una giornata speciale – la prima con questo tema – nella prossima CO28 al “Soccorso, ripresa e pace” (“Relief, Recovery, and Peace”).
L’incontro, organizzato dall’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), in collaborazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e l’International Center for Agricultural Research in the Dry Areas (ICARDA), mirava a promuovere la condivisione di idee e buone pratiche per una cooperazione internazionale che consideri il legame tra clima, guerre e aiuti umanitari. Nei contesti vulnerabili e afflitti da conflitti, è essenziale sostenere processi che favoriscano simultaneamente la resilienza climatica e la costruzione della pace.
Nella descrizione di questi progetti di cooperazione internazionale, si cita il motto “Niente su di noi, senza di noi” (“Nothing about us, without us”) del movimento sudafricano per i diritti dei disabili negli anni ’90, per riflettere e riconoscere l’importanza del coinvolgimento diretto delle comunità locali. Nei contesti instabili come quelli di conflitto, in cui le persone vivono senza un controllo diretto del governo centrale (secondo l’ICRC, si stima che siano 175 milioni di persone), è fondamentale operare a livello locale, collaborando strettamente con le comunità coinvolte, per rispondere in modo più efficace alle loro esigenze.
Tuttavia, questo approccio partecipativo, che ascolta e integra le voci delle comunità più vulnerabili, sembra essere applicato solo parzialmente. Quando si inizia a discutere di finanziamenti, il quadro cambia radicalmente e i bisogni delle persone più colpite vengono ignorati. La realtà è che i finanziamenti climatici sono insufficienti per tutti i Paesi in via di sviluppo. Secondo uno studio della Mercy Corps, una delle ONG partecipanti all’incontro, la Somalia, ad esempio, necessiterebbe di circa 5,5 miliardi di dollari all’anno per finanziamenti all’adattamento e alla mitigazione, ma nel biennio 2019-2020 ha ricevuto solo 321 milioni di dollari, pari a meno di 20 dollari per persona.
Ma c’è di più. Sembra che la distribuzione delle risorse economiche per l’adattamento climatico non segua proprio una logica equa. Mentre gli Stati definiti “non fragili” dalla Banca Mondiale beneficiano in media di più di 150 dollari a persona all’anno, gli Stati “estremamente fragili” ottengono meno di 5 dollari a persona all’anno per le medesime finalità. In altre parole, più un Paese è vulnerabile, meno finanziamenti per l’adattamento climatico riceve. È cruciale ricordare che più della metà di questi Stati, considerati a rischio e con minor capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, sono coinvolti in conflitti, come la Repubblica Democratica del Congo, lo Yemen e il Mali.
Gli Stati “estremamente fragili” incontrano molti ostacoli nell’ottenere e gestire i finanziamenti dedicati al clima. Questi sfidano problemi a diversi livelli. Prima di tutto, esiste un contrasto tra le necessità strategiche di questi Stati e una gestione cauta dei fondi, che tende a evitare investimenti in situazioni percepite come ad alto rischio. In secondo luogo, l’assenza di flessibilità nei protocolli di finanziamento ostacola un’adeguata adattabilità alle modifiche del panorama politico in paesi soggetti a conflitti. Infine, l’efficacia dei finanziamenti è difficile da valutare a causa di metodi standardizzati di monitoraggio e valutazione, che limitano la possibilità di osservare e gestire i rischi in maniera accurata sul campo.
Emergono quindi gravi questioni di giustizia climatica. Secondo i dati OCSE, i Paesi vulnerabili hanno contribuito solo al 4% delle emissioni cumulative di CO2, ma sono vittime del 29% degli eventi estremi e del 46% dei decessi causati da disastri ambientali a livello globale nel periodo 2019-2021. È evidente che queste comunità sono tra quelle meno preparate e in grado di affrontare gli impatti sempre più gravi dei cambiamenti climatici.
Da tempo si discutono problemi relativi alla finanza climatica, tuttavia queste discussioni si traducono raramente in azioni concrete. La COP27 si è conclusa con il fondo Loss&Damage che sarà sicuramente all’ordine del giorno anche alla prossima COP. Chiaramente, ci sono ancora molte questioni da affrontare. In mezzo a tutti questi negoziati è però semplice perdere di vista l’obiettivo principale. Che si tratti di adattamento, perdite e danni o mitigazione, è vitale fornire una risposta inclusiva alle conseguenze del cambiamento climatico che si propagano oltre i confini nazionali, influenzando l’intera umanità.
Articolo a cura di Camilla Pollera, Volontaria ICN
Immagine di copertina: Siegfried Modola / Reuters