08
Giu

LOSS AND DAMAGE, PARTENZA IN SALITA AL SECONDO GLASGOW DIALOGUE SU PERDITE E DANNI

Giovedì 8 giugno ha preso il via il secondo round del Glasgow Dialogue nell’ambito dei lavori di SB58, i negoziati di Bonn. Come precisato sia dal Chair di SB58 (più precisamente il Chair di SBI) che dal Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, il Dialogue ha il preciso obiettivo di portare avanti la discussione avviata con COP27 sul fondo per le perdite e i danni (Loss&Damage) provocati dalla crisi climatica, e sui relativi accordi finanziari. In particolare, il 2nd Glasgow Dialogue ha la funzione di consentire ai membri del Transitional Committee di raccogliere le prospettive, le proposte e i suggerimenti avanzati dai delegati dei vari paesi e dai membri della società civile per elaborare raccomandazioni da presentare a COP28 su come il fondo debba essere reso operativo.

In questo contesto è anche importante la partecipazione al dialogo dei membri dell’Executive Committee del Meccanismo Internazionale di Varsavia (ne abbiamo parlato qui) che si sono resi disponibili a fornire il supporto tecnico maturato nell’ambito dei loro cinque ambiti di lavoro:

  • cambiamenti climatici a lenta insorgenza;
  • perdite non economiche;
  • omnicomprensiva valutazione del rischio;
  • migrazione climatica;
  • azione e supporto. 

Quello di giovedì è stato il primo di tre giorni di lavoro serrati sul punto, e tuttavia già in questa prima sessione è emerso – come ben si poteva immaginare – che i Paesi hanno posizioni molto divergenti su alcuni aspetti chiave della struttura del fondo da istituire per riparare le perdite e i danni. In particolare, a suscitare una spaccatura profonda sono state le discussioni relative alla necessità di concepire o meno il fondo ex novo, e quindi in modo indipendente rispetto a tutti gli altri canali di finanza climatica esistenti. 

In questo senso, Cuba ha presentato una dichiarazione congiunta a nome del G77 (che riunisce principalmente paesi in via di sviluppo) e della Cina, facendo presente che il fondo deve essere concepito come indipendente, addizionale al resto della finanza climatica e pubblico nella forma di prestiti a fondo perduto. A questa dichiarazione si sono aggregati gli altri Paesi del Sud Globale, che hanno anche motivato tale richiesta sulla base delle carenze e dei limiti della finanza climatica esistente. Quest’ultima infatti pare si sia dimostrata insufficiente e inadeguata a fornire concreto aiuto, e in alcuni casi esposta a logiche privatistiche che male si allineano alle esigenze delle popolazioni più colpite, oltre a porre serie questioni etiche di giustizia climatica.  

Al contrario, gli Stati Uniti d’America, insieme a Giappone e ad altri paesi del Nord Globale, hanno tenuto a precisare che non vedono di buon occhio la creazione di un fondo indipendente sotto il cappello dell’UNFCCC. Preferirebbero invece muoversi nell’ambito dei canali di finanziamento già esistenti con – semmai – l’impegno a migliorarne il funzionamento e le capacità al fine di superare i limiti emersi dalla loro operatività. In questo senso, propongono anche che non venga abbandonata l’idea di fondi privati o l’utilizzo del Global Shield agaist Climate Risks (ne parliamo qui). 

Altro punto spinoso è poi la questione inerente i princìpi in base a cui il fondo dovrebbe operare. A questo proposito i Paesi del Global South sono compatti nel chiedere che si segua fedelmente il mandato di COP27, che prevede un fondo basato sui concetti di equità e responsabilità, in accordo con i principi sanciti dall’Accordo Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) e in particolare l’Art. 3 in materia di responsabilità comuni ma differenziate.
L’intento è chiaro: mettere al centro le responsabilità storiche dei grandi emittori di CO2 e prevedere che il fondo ne tenga conto,  nell’ottica di una distribuzione equa e giusta delle risorse finanziarie messe in campo.

I Paesi del Nord Globale invece non hanno fatto cenno a questo aspetto nei loro interventi, e sembrano voler accuratamente evitare il discorso. Nonostante questo, hanno riconosciuto apertamente la necessità che il fondo operi a favore delle popolazioni più vulnerabili, secondo un approccio multidisciplinare e multilaterale, e attraverso meccanismi flessibili ritagliati sulle esigenze specifiche delle comunità coinvolte.

La partenza è stata in salita dunque – come ci si poteva aspettare visti gli interessi contrapposti in gioco – anche se i prossimi due giorni di dialogo potrebbero far evolvere la situazione. Di certo, un esito positivo del 2nd Glasgow Dialogue sarebbe importante per porre le fondamenta per discussioni fruttuose sul Loss and Damage anche in seno a COP28.

Articolo a cura di Erika Moranduzzo, Volontaria ICN

Immagine di copertina: foto di Erika Moranduzzo

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