15
Nov

CLIMA: SOCIETÀ CIVILE AL CENTRO

Il cambiamento climatico è in atto in tutto il mondo e i paesi sono alle prese con le sue implicazioni, con gli effetti e con il modo di affrontare la sfida sia a livello individuale che collettivo. I continui disaccordi che continuano a sorgere nelle varie Conferenze sul clima, ma non solo, riflettono la complessità del fenomeno: è chiaro che le politiche non sono più sufficienti e, da sole, non potranno essere una soluzione. È necessario un impegno multi-stakeholder di tutte le parti coinvolte, dagli stati alla società civile, perché si arrivi a una convergenza su ciò che è necessario fare qui ed ora. Ciò nonostante, se esaminiamo i programmi d’azione nazionali per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo, le organizzazioni della società civile (OSC) e le comunità svolgono ancora un ruolo limitato nella formulazione di queste politiche e strategie. Sebbene la partecipazione attiva della società civile venga riconosciuta come necessaria, non si è mai stato concretamente creato un quadro di riferimento per coinvolgerla attivamente nelle politiche e nella definizione delle risorse.

È su queste basi che a COP27 si è aperto  il 15 novembre 2022, il “Dialogo sul ruolo della società civile nella prevenzione e nella risposta ai disastri causati dal cambiamenti climatici” (Dialogue on the role of Civil Society in Prevention and Response to Climate-Induced), che ha visto l’intervento di relatori tecnici ed esperti. Tra questi c’erano Johnatan Stone, del “Centre of Excellence for Climate and Disaster Resilience”, Anna Farina, Responsabile operativo del finanziamento del rischio di Start Network, Mark Harvey di Resurgence CEO, e Rame El Nazer, CEO della Croce Rossa egiziana. Il loro intervento è stato preceduto da quello di Nivine El-Kabbag, ministra egiziana per la Solidarietà Sociale. 

La ministra ha ricordato come la società civile debba essere coinvolta nella lotta al cambiamento climatico. Nivine El-Kabbag, inoltre, non ha perso l’occasione per ribadire che l’Egitto e i paesi africani in generale sono maggiormente colpiti dal cambiamento climatico e che i governi hanno una enorme responsabilità in termini di adattamento e mitigazione. Infatti, 37 Paesi considerati Stati fragili dell’Africa – essendo, tra le altre cose, i più vulnerabili al cambiamento climatico – dipendono in larga misura dalle risorse del Fondo africano di sviluppo (African Development Fund – ADF). A tal proposito, la ministra ha ricordato che proprio qui a COP27 si è celebrata la dichiarazione di Sharm El-Sheikh come Hub di Resilienza nell’ambito di “Making Cities Resilient 2030”, progetto in cui la partecipazione della società civile è considerata essenziale.

La parola è poi passata agli esperti, che hanno esposto le loro riflessioni, e talvolta anche le critiche, riguardo all’attuale stato del coinvolgimento della società civile. Tra questi si è distinto Johnatan Stone, del Centre of Excellence for Climate and Disaster Resilience, che ha posto l’accento sul suo Paese di provenienza, la Gran Bretagna, una nazione che non subisce gli stessi danni causati dal cambiamento climatico rispetto agli stati meno sviluppati. In questo senso, Stone si è interrogato sulla effettiva necessità della sua presenza, chiedendosi non fosse più utile far intervenire chi davvero subisce tutti i giorni gli effetti più gravi del cambiamento climatico. Secondo Stone, perché ci sia davvero un’inclusione della società civile è necessario lavorare su tre punti:

–   Mettere “gli ultimi” al primo posto: le popolazioni più colpite non devono essere coinvolte solo nel disegno, ma anche nell’implementazione delle soluzioni.

–   Affrontare, innanzitutto, le cause della vulnerabilità: se non iniziamo a lavorare sulle cause, non ci saranno soluzioni. Questo punto si collega al terzo e ultimo:

–   Pensare ai finanziamenti, ma in un’ottica di prevenzione più che di “tamponamento” del problema.

Sulla stessa linea di pensiero è Anna Farina, Responsabile operativo del finanziamento del rischio, che ribadisce l’importanza di anticipare i disastri anziché intervenire ex post. Farina ripete che la collaborazione con la società civile è fondamentale, ma ciò che davvero serve sono finanziamenti e le competenze specifiche, non sostituirsi alle popolazioni. Non troppo velatamente, Farina ha fatto intendere l’importanza di abbandonare quell’approccio tipicamente usato dagli Stati, dall’alto verso il basso (top-down approach), quando il cambiamento climatico è vissuto a livello locale e può essere affrontato efficacemente solo coinvolgendo gruppi e istituzioni locali.

A tal proposito, Mark Harvey, di Resurgence CEO, ha sottolineato due aspetti importanti che riguardano la società civile: in primo luogo la necessità di creare sistemi di educazione e disseminazione scientifica sugli effetti del cambiamento climatico attraverso canali in cui le popolazioni civili si riconoscono e si identificano. In secondo luogo, ma si collega al primo punto, il ruolo dei media è essenziale. Non devono essere solo partner degli esperti, dice Harvey, ma soprattutto un canale tra i tecnici e la popolazione civile, muovendosi come un meccanismo di responsabilizzazione (accountability mechanism) oltre che di informazione.

Verso le ultime battute di questo dialogo non poteva mancare un riferimento alle perdite e danni (o Loss And Damage), tema scottante di COP27.  Quasi tutti i relatori hanno ribatito che la questione è ormai sul tavolo negoziale da troppo tempo: le popolazioni hanno bisogno di risultati al più presto e discuterne oltre non è più un’opzione. Secondo Farina “le persone stanno soffrendo ora, e non si preoccupano di certo del tipo di finanziamento che ricevono, purché ne ricevano uno”.

L’evento si è concluso con le osservazioni finali di Nena Stoiljkovic, Sottosegretario Generale per le Relazioni Globali, la Diplomazia Umanitaria e la Digitalizzazione presso la Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa – IFRC. Stoiljkovic ha sottolineato l’importanza di coinvolgere la Società civile ricordando che questa misura è profondamente legata al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (sustainable development goals – SDG). Ha poi ribadito anche lei l’impellente necessità di finanziare i meccanismi appropriati e di investire nella resilienza per avere meno perdite e danni: “Investiamo un dollaro oggi per risparmiarne 6 domani” (invest one dollar now to save 6 dollar later), afferma l’ex Vicepresidente dell’Word Bank.

Articolo a cura di Klarisa Stafa, volontaria sezione Clima e Advocacy

Immagine di copertina: foto di Klarisa Stafa

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