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COP15 INIZIA UNA NUOVA SETTIMANA: I TEMI CHIAVE

COP15 è ormai entrata nel vivo dei negoziati, mentre sabato centinaia di persone hanno marciato e protestato per le strade di Montreal, chiedendo un accordo ambizioso a tutela della biodiversità. Facciamo il punto su alcuni dei temi principali che si discutono a COP15.

  • Finanza per la biodiversità
  • Obiettivo 30×30
  • Sussidi alle attività dannose per la biodiversità
  • Settore privato e sovraconsumo
  • Pesticidi
  • Specie invasive
  • Pianificazione territoriale
  • Ripristino della natura
  • Estinzione
  • Inquinamento da plastica e non
  • Diritti delle popolazioni indigene
  • Cambiamento climatico come causa di perdita di biodiversità
  • Trasparenza

FINANZA PER LA BIODIVERSITÀ

Come nelle COP del clima, la finanza è uno dei temi più spinosi. 

Come ha raccontato Elizabeth Mrema a COP27, tra i target dello scorso decennio c’era la richiesta di duplicare i flussi economici internazionali a protezione della biodiversità. I fondi sono stati stanziati, ma l’obiettivo prefissato era insufficiente per supportare il raggiungimento degli obiettivi di Aichi. 

Le questioni finanziarie rientrano nel target 19 della bozza che si articola in due parti: una parte, la più dibattuta, che riguarda i flussi finanziari e una seconda parte, meno critica, dedicata al capacity building e trasferimento tecnologico. Ai negoziati preparatori di giugno a Nairobi, questa seconda parte è stata condivisa dalle Parti ed è al momento uno dei pochi obiettivi senza parentesi. Diversamente, la parte riguardante i flussi finanziari, che al momento prevede un’allocazione da 200 miliardi di dollari  all’anno, è l’obiettivo con più disaccordi e che presenta più parentesi (ben 77) nel testo.

Global Biodiversity Fund

Nel target dedicato alla finanza si fa riferimento all’istituzione di un Fondo globale per la biodiversità entro il 2023 che sia pienamente operativo entro il 2025; un meccanismo dedicato per la fornitura di risorse finanziarie ai Paesi in via di sviluppo, anche se il testo è tutto tra parentesi. 

Il Fondo era stato proposto dal Brasile ai negoziati intermedi a Nairobi a giugno e la richiesta è stata condivisa dall’African Group e dal gruppo Like-Minded Developing Countries (LMDC).  Questo fondo sarebbe aggiuntivo rispetto ai fondi economici già previsti per il clima e prevede 100 miliardi di dollari all’anno che i Paesi sviluppati dovrebbero stanziare a favore dei Paesi in via di sviluppo e rispecchia l’obiettivo di finanza per il clima. Obiettivo che, però ricordiamo, non è ancora mai stato raggiunto. Il gruppo dei Paesi sviluppati JUSCANZ e il Regno Unito si è opposto e anche l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha affermato che la creazione di un nuovo strumento di finanziamento internazionale non garantirebbe miglioramenti rispetto ai meccanismi già esistenti (come avevamo spiegato qui). Il Brasile ha, inoltre, richiesto che i Paesi sviluppati paghino una “riparazione storica” per la perdita e i danni “irreversibili” alla biodiversità.

OBIETTIVO 30X30

Uno dei temi di cui si parla di più è il cosiddetto “30 by 30”, ossia l’obiettivo di  conservazione del 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030. La proposta si ispira alla teoria di Edward O Wilson, che sostiene la necessità di proteggere metà del pianeta per la sopravvivenza a lungo termine dell’umanità

Alla COP15, questo obiettivo è portato avanti da molti Paesi e dalla High Ambition Coalition for Nature and People (HAC), un gruppo intergovernativo di oltre 100 Paesi co-presieduto da Costa Rica e Francia. Mentre, la Global Ocean Alliance (GOA), guidata dal Regno Unito, mira a preservare il 30% degli oceani del mondo entro il 2030. Nella bozza dell’accordo, questo target è uno di quelli che ha più parentesi, 50, dopo quello dedicato alla finanza per la biodiversità.  

Pochi Paesi hanno espresso una vera e propria opposizione all’obiettivo 30×30, ma tra questi risaltano la Cina, che detiene la Presidenza di COP15, il Brasile e la Turchia, che deterrà la prossima presidenza di COP16 nel 2024. 

Molti parlano di 30×30 come possibile target chiave dell’accordo di COP15, che potrebbe diventare l’obiettivo di 1,5C° della biodiversità. 

Ma ci sono diverse critiche da parte delle organizzazioni non governative, come la Nature Conservancy, che ha messo in guardia sul fatto che queste decisioni devono essere prese attraverso una “gestione ponderata, basata sulla scienza, equa e partecipativa” e un gruppo di ONG formato da Survival International, Amnesty International, Minority Rights Group International e Rainforest Foundation UK che hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui chiedono ai Paesi di riconsiderare con urgenza il loro impegno a trasformare il 30% del pianeta in “Aree Protette”. Le ONG hanno espresso le loro preoccupazioni per i costi umani del 30×30 e per il fatto che espandere le Aree Protette potrebbe causare violazioni dei diritti umani e avere altri impatti negativi su milioni di persone che sono le meno responsabili della crisi climatica e di biodiversità. Secondo le ONG, le Aree Protette, sono il cardine del modello di conservazione dominante condotto dall’Occidente. Inoltre, dato che l’80% della biodiversità del mondo si trova nelle terre dei popoli indigeni, chiedono che la conservazione degli ecosistemi sia basata sulla protezione dei diritti di coloro che vivono e dipendono da essi.

SUSSIDI ALLE ATTIVITÀ DANNOSE PER LA BIODIVERSITÀ 

Un altro tema centrale è la riforma dei sussidi alle attività che inquinano o danneggiano la biodiversità. La bozza dell’accordo include la richiesta di tagliare i sussidi dannosi di almeno 500 miliardi di dollari all’anno, anche se la richiesta è attualmente tra parentesi,  ossia non c’è ancora consenso. 

Secondo l’UNEP i governi spendono dai 500 miliardi  ai 1.000 miliardi di dollari all’anno in sussidi in attività dannose per l’ambiente e la biodiversità come la pesca, l’agricoltura e i combustibili fossili. Inoltre, l’OECD afferma che, ad oggi, pochissimi Paesi hanno iniziato a rivedere incentivi e sussidi dannosi per la biodiversità, che consisterebbe nell’intraprendere uno studio a livello nazionale per: 

  • definire e identificare i tipi di sussidi e altri incentivi dannosi per la biodiversità; 
  • raccogliere i dati; 
  • valutare l’entità del danno alla biodiversità.

SETTORE PRIVATO E SOVRACONSUMO

A Montreal si discute se adottare misure legali, amministrative o politiche per garantire che le imprese e le istituzioni finanziarie: 

  • valutino e rendano noto in modo completo e trasparente i rischi, le dipendenze e i loro impatti sulla biodiversità lungo tutta la value chain; 
  • forniscano le informazioni necessarie ai consumatori per consentirgli di fare scelte di consumo responsabili;
  • si assumano la responsabilità legale per le infrazioni, anche attraverso sanzioni, responsabilità e riparazione dei danni;
  • rispettino i diritti umani,si conformino e riferiscano in merito all’accesso e alla condivisione dei benefici;
  • favoriscano modelli di produzione sostenibile e circolari.

Inoltre, si discute se ridurre del 50% la footprint dei consumi e della produzione entro il 2030, obiettivo ritenuto altamente prioritario da diversi Paesi tra cui EU, UK, Giappone e Svizzera, al quale però si oppone la Cina, il Brasile e la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, si parla di trasformazione delle diete alimentari, ma il Canada si sarebbe opposto al linguaggio sulle diete “a base vegetale”

PESTICIDI

Nella bozza di testo di discute se fissare l’obiettivo di ridurre l’uso dei pesticidi di almeno due terzi o di almeno la metà, entrambe le opzioni sono attualmente tra parentesi. Diversi Paesi, però, si oppongono agli obiettivi per la riduzione o l’eliminazione dei pesticidi tra cui Cina, India, Nuova Zelanda, Uruguay, Turchia e Messico, mentre l’obiettivo è supportato dalla Bolivia e Unione Europea, che ha dichiarato che punterà a una riduzione del 50% entro la fine del decennio.

Ricordiamo che l’uso di pesticidi è una delle principali cause del declino della popolazioni di insetti in tutte le aree geografiche. 

La Soil Association sostiene che qualsiasi accordo che non includa i pesticidi non sarà sufficiente ad invertire la perdita di biodiversità senza impegni chiari per eliminare queste sostanze. 

SPECIE INVASIVE

A COP15 si discute se eliminare o ridurre l’impatto delle specie invasive riducendo il tasso di introduzione di queste specie, note o potenziali, di almeno il 50% 

Eliminarle le specie invasive può avere effetti trasformativi, soprattutto sulle isole, ripristinando la biodiversità. Il prossimo anno esperti mondiali pubblicheranno un’importante valutazione scientifica dell’entità del problema


PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

La bozza di testo prevede che tutte le aree siano sottoposte a una pianificazione territoriale partecipativa e integrata che tenga conto della biodiversità, per arrestare o ridurre al minimo la perdita di ecosistemi  e di aree di elevata importanza per la biodiversità, conservando in particolare quelle che sono difficili da ripristinare, preservando le funzioni e i servizi ecosistemici, rispettando i diritti umani e quelli delle popolazioni indigene. 

RIPRISTINO DELLA NATURA 

Oltre all’espansione delle aree protette, a COP15 si discute se garantire che almeno il 20%, il 30% o almeno 1 miliardo di ettari di ecosistemi terrestri, marini e costieri degradati – pari all’incirca alle dimensioni della Cina – vengano ripristinati. 


ESTINZIONE 

La bozza di testo prevede anche di garantire azioni urgenti per il recupero e la conservazione delle specie, in particolare di quelle a rischio, per prevenire le estinzioni indotte dall’uomo e per mantenere e ripristinare la diversità genetica all’interno e tra le popolazioni di specie autoctone, selvatiche e domestiche.

INQUINAMENTO DA PLASTICA E NON

Si discute anche se ridurre l’inquinamento da tutte le fonti, compreso l’inquinamento da plastica, a livelli che non siano dannosi per la biodiversità e la salute umana. A marzo, i leader mondiali hanno deciso di redigere un trattato giuridicamente vincolante sui rifiuti di plastica. Il primo ciclo di negoziazioni si è concluso la scorsa settimana in Uruguay e la prossima sessione si svolgerà a maggio 2023 in Francia. Per evitare duplicazioni, probabilmente si farà riferimento al trattato in corso nel testo finale di COP15. 

DIRITTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE 

Diversi studi hanno sottolineato come le Popolazioni Indigene rappresentano solo il 5% della popolazione terrestre, ma custodiscono circa l’80% della biodiversità del pianeta.

L’attuale bozza fa 25 menzioni alle Popolazioni Indigene nel testo e riconosce l’importanza del ruolo e del loro contributo d e delle comunità locali come custodi della biodiversità e partner nella conservazione. Tuttavia, i gruppi indigeni rimangono scettici sul successo di questa Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità.  

CAMBIAMENTO CLIMATICO COME CAUSA DI PERDITA DI BIODIVERSITÀ

A COP15 si discute di ridurre al minimo l’impatto dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani sulla biodiversità. Nel testo si parla di aumentare la resilienza attraverso azioni di mitigazione e adattamento anche attraverso soluzioni basate sulla natura (nature based solutions) e si discute se inserire il riferimento al contributo che la natura può apportare agli sforzi di mitigazione globali, inserendo il target di almeno 10 gigatonnellate  di CO2 equivalente all’anno entro il 2030

TRASPARENZA

Per concludere, uno dei punti cruciali dell’Accordo Globale che si negozia a COP15 è un robusto sistema di pianificazione, rendicontazione e revisione che, per altro, è fondamentale per monitorare l’implementazione. 

Nella bozza di accordo si discute se: 

  • fornire flessibilità nell’attuazione alle Parti in via di sviluppo in base alle loro circostanze nazionali;
  • le strategie e i piani d’azione nazionali per la biodiversità (NBSAP), debbano essere aggiornati entro COP16 (che si terrà nel 2024), alla luce del nuovo accordo globale in negoziazione a Montreal; 
  • se i rapporti nazionali, il principale strumento di rendicontazione sui progressi compiuti rispetto ai loro NBSAP, debbano essere presentati nel 2025 e nel 2029;
  • se l’analisi globale dell’ambizione collettiva (Global analysis of collective ambition) vada effettuata entro la COP16 e la COP18, e la global stocktake vada effettuata entro la COP17 e la COP19
  • se gli attori non statali debbano essere “incoraggiati” a cooperare e ad integrare gli sforzi intrapresi dalle Parti nei loro NBSAP.

È del tutto normale che a metà strada di un negoziato la partita sia ancora aperta su più fronti, tutti sono fondamentali perché, come ha duramente affermato in apertura il Segretario Generale ONU, Antonio Guterres, la natura è la migliore amica dell’umanità e senza natura non abbiamo niente. Continueremo, quindi nei prossimi giorni, a monitorare e a raccontarvi fino alla fine gli sviluppi di questo importante negoziato.

Articolo a cura di Margherita Barbieri, volontaria sezione Clima e Advocacy

Foto di copertina: modelli di animali a grandezza naturale con rumori registrati sono posizionati davanti all’edificio delle Nazioni Unite a Bonn, in Germania, durante una protesta che coincide con l’inizio del vertice sulla biodiversità a Montreal. Fonte: Guardian

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