IL RUOLO DELLA FINANZA A COP15
Mercoledì 14 dicembre è stato il finance day a COP15. Questa giornata si è svolta dopo che martedì sera, in segno di protesta, i Paesi in via di sviluppo hanno lasciato la sala dei negoziati, durante le discussioni sul tema della finanza, facendo aumentare la preoccupazione per il risultato finale di COP15. Questi Paesi, infatti, spingono per la creazione di un nuovo fondo per la biodiversità, mentre i Paesi ricchi si oppongono alla creazione di questo fondo come avevamo spiegato qui. Inoltre, come a COP27, i Paesi sviluppati spingono perchè Cina, Brasile e le altre grandi economie del mondo, contribuiscano allo sforzo economico invece di posizionarsi come Paesi in via di sviluppo all’interno dei negoziati e questo non fa che aumentare le tensioni.
Oggi i Ministri dei Paesi sono a Montreal, vediamo se riusciranno a smuovere il processo negoziale in questi ultimi giorni di COP15, la cui fine è programmata per lunedì 19 dicembre.
La finanza è uno dei temi centrali e più complessi di questo negoziato. Al momento, il target 19 sui flussi finanziari prevede un’allocazione da 200 miliardi di dollari all’anno, ma è l’obiettivo con più disaccordi e che presenta più parentesi (ben 77) nel testo.
Il nodo centrale di COP15 sono i mezzi per l’implementazione di cui fa parte la mobilitazione di risorse finanziarie, insieme ai meccanismi di trasparenza.
Durante il finance day, Elizabeth Mrema, Segretario Esecutivo della Convenzione ONU sulla Biodiversità (CBD) ha affermato che è la prima volta nella storia della Convenzione che gli investitori e il settore finanziario sono così largamente presenti e coinvolti in una COP sulla biodiversità. Mrema ha sottolineato come la presenza del settore finanziario è un importante passo avanti per trovare soluzioni condivise e che il ruolo della finanza è fondamentale per l’implementazione dell’accordo in negoziazione a COP15, che speriamo possa diventare veramente ambizioso e trasformativo.
Inger Andersen, Direttore Esecutivo UNEP, ha ricordato che è necessario più che raddoppiare gli investimenti a tutela della biodiversità e in quelle attività che hanno un impatto positivo sulla natura.
Andersen ha, inoltre, ricordato come il Goal D della bozza di accordo faccia riferimento all’allineamento dei flussi finanziari sia pubblici che privati ad attività che non abbiano impatti negativi sulla biodiversità e allineati alla visione 2050 dell’accordo che prevede di vivere in armonia con la natura, ribadendo l’importanza di comprendere cosa questo significhi e di cominciare ad agire.
Queste le azioni suggerite dal Direttore Esecutivo dell’UNEP:
- assicurarsi che i sussidi ad attività con impatto negativo sulla natura (come tra gli altri quelli relativi ai settori del legname, pesca, petrolio) siano interrotti e reindirizzati in soluzioni positive per la natura. La bozza dell’accordo include la richiesta di tagliare i sussidi dannosi di almeno 500 miliardi di dollari all’anno, anche se la richiesta è attualmente tra parentesi;
- assicurarsi di comunicare quello che si sta facendo, ossia le aziende e gli investitori devono rendere noto in modo completo e trasparente i rischi, le dipendenze e i loro impatti sulla biodiversità lungo tutta la value chain fornendo le informazioni necessarie ai consumatori per consentirgli di fare scelte di consumo responsabili e assumendosi la responsabilità legale per le infrazioni, anche attraverso sanzioni e riparazione dei danni;
- misurare quello che conta, facendo riferimento al Report Inclusive Wealth lanciato dall’UNEP qualche giorno fa e facendo notare come il PIL sia basato sulla ricchezza economica senza considerare e valutare l’impatto di quelle attività sul capitale naturale.
Durante la mattinata (a Montreal, pomeriggio in Italia) è anche intervenuto Mark Carney, Inviato Speciale ONU per clima e finanza e co-chair dell’iniziativa Glasgow Financial Alliance to Net Zero (GFANZ), (avevamo parlato durante COP27 dell’iniziativa) il quale ha aperto il suo intervento ricordando che le precedenti estinzioni di massa sono accadute per volere di Dio, mentre la sesta estinzione di massa sta accadendo per mano nostra.
L’economia dipende intrinsecamente da una natura in buono stato, ma non stiamo attualmente dando il giusto valore alla natura. Non possiamo trattarla come un altra commodities; va valutata per i servizi ecosistemici che ci fornisce.
Carney ha ricordato come non ci possa essere un percorso verso net-zero senza azioni volte a fermare la deforestazione e ad incentivare azioni nature-positive. La crisi climatica e la biodiversità sono interconnesse, ma non stiamo agendo abbastanza in fretta.
Carney ha, quindi, proposto una serie di azioni tra cui:
- i governi devono intraprendere azioni e piani concreti per proteggere la natura;
- i Paesi devono trovare un accordo a Montreal e includere nel target 15 la richiesta di reindirizzare tutti i flussi finanziari e gli investimenti privati ad attività nature-positive;
- la finanza privata deve assicurarsi che nei target net-zero delle aziende vengano presi impegni concreti per arrestare la deforestazione e proteggere la biodiversità.
Alcuni passi sono stati fatti e la massiccia presenza degli investitori a COP15 è un buon segno, ma ancora molto c’è da fare. Infatti, come ha ricordato Elizabeth Mrema, al momento il valore dei sussidi ad attività dannose per la natura è molto più alto del valore prefissato nella bozza dell’accordo (500 miliardi l’anno). Sappiamo anche che le banche di investimento pubbliche forniscono oltre 2.6 trilioni di dollari all’anno in attività dannose per la biodiversità e che questi fondi vanno immediatamente reindirizzati ad attività che non impattano negativamente la biodiversità.
Mrema ha, inoltre, espresso la speranza che il settore finanziario possa aiutare a chiudere l’attuale gap finanziario per i fondi a tutela della biodiversità stimato di 711 miliardi all’anno dall’ultimo report sullo stato della finanza per la natura. Infine, ha ricordato che i Paesi non possono fermare e invertire la perdita di biodiversità da soli, hanno bisogno del settore finanziario come alleato chiave e per raggiungere risultati concreti c’è bisogno di target chiari e ambiziosi da inserire nell’accordo attualmente in negoziazione.
In chiusura, Inger Andersen ha ricordato che possiamo insultarci a vicenda, ma questo non risolverà i nostri problemi. Dobbiamo lavorare insieme. Come Parigi è stato un accordo di riferimento per il clima, dobbiamo fare in modo che a Montreal questo accordo diventi un riferimento per la natura.
Articolo a cura di Margherita Barbieri, volontaria sezione Clima e Advocacy
Foto di copertina: fonte IISD