COP26: CORSA CONTRO IL TEMPO
La seconda settimana è iniziata lunedì 8 novembre con la Stocktaking Plenary organizzata dalla presidenza della COP, la plenaria che serve a riassumere i progressi fatti nella prima settimana e le questioni ancora in sospeso.
Il Presidente della COP26, Alok Sharma, ha invitato i presidenti dei due organi sussidiari, l’SBSTA e l’SBI (Subsidiary Body of Scientific and Technological Advice e Subsidiary Body for Implementation), a presentare il lavoro svolto fino alla chiusura di sabato sera. In questa seconda settimana, infatti, la palla passa ai ministri dei Paesi, appena giunti a Glasgow.
Anche se i lavori degli organi sussidiari si sono chiusi restano aperte alcune questioni tecniche, com’era prevedibile: la Presidenza ha dato tempo fino a martedì pomeriggio per fare ulteriori progressi, incaricando i co-facilitatori ministeriali designati di guidare le consultazioni.
I presidenti di SBSTA e SBI hanno lodato il lavoro costruttivo che è stato svolto nella prima settimana nonostante l’elevata mole di lavoro: trattandosi della prima sessione in presenza dopo quasi due anni di stallo imposto dalla pandemia, le questioni sul tavolo erano molte.
I negoziati hanno infatti trattato ben 19 punti in agenda, producendo delle prime bozze di conclusioni. Tra questi: il Nairobi Work Programme per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici; il programma Koronivia per l’agricoltura; gli input del Global Stocktake , esercizio internazionale di verifica dello stato di attuazione dell’Accordo di Parigi; il secondo periodo di revisione della Convenzione; sono state delineate alcune funzioni del Santiago Network sul danni e perdite, previsto dal Warsaw International Mechanism lanciato nel 2013 e tuttavia non ancora ben definito.
Diverse questioni negoziali rimangono ancora in sospeso (senza che sia stata adottata una decisione su un testo definitivo), su tutte alcune notoriamente divisive:
- Articolo 6. In particolare: la possibilità di includere la finanza per l’adattamento nel paragrafo 2; come conteggiare le unità di emissioni generate al di fuori dell’ambito dell’NDC del Paese; la possibilità o meno di trasferire le unità di emissioni pre-2020 per raggiungere il proprio NDC, opzione osteggiata dalle Parti più ambiziose in quanto queste unità sono regolamentate dal Clean Development Mechanism (CDM) del precedente Protocollo di Kyoto, pensato per coprire le emissioni dei Paesi fino al 2020 e non oltre (conteggiare oggi quelle emissioni sotto l’Accordo di Parigi significherebbe infatti, per molti paesi, applicare una sorta di sconto rispetto ai propri attuali impegni internazionali verso il 2100Trasparenza. Iin particolare la finalizzazione del nuovoEnhanced Transparency Framework e la decisione dei formati tabulari della reportistica.
- Tempistiche comuni per gli NDC (Nationally Determined Contributions). Come segnalato anche in questo articolo del bollettino di ICN, basti pensare che la bozza di conclusione per le tempistiche degli NDC contiene ben 9 opzioni diverse di testo, a riprova delle divergenze tra le Parti.
Aprendo i lavori della seconda settimana, il Presidente della COP26 Alok Sharma ha chiesto ai ministri di “trainare” le consultazioni per cercare di sciogliere i nodi attuali: la giornata di lunedì ha infatti visto poche sessioni aperte agli osservatori e più bilaterali tra ministri o negoziati informali presieduti da questi ultimi.
Gli obiettivi sono i seguenti:
- agevolare il passaggio da Kyoto al nuovo regime di mercato (e non) previsto dall’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi;
- stabilire se la soluzione finale degli NDC prevederà una tempistica univoca per tutti o più opzioni differenziate;
- finalizzare il nuovo sistema di trasparenza in tempo per prepararne l’entrata in vigore nel 2023;
- proseguire le consultazioni sull’adattamento, in particolare sul Global Goal on Adaptation;
- identificare azioni di mitigazione (individuali e collettive) che le Parti devono intraprendere per mantenere in vita lo scenario +1,5°C;
- proseguire le consultazioni sulla questione trasversale del loss and damage;
- portare avanti le consultazioni sulla finanza climatica, in particolare la finanza a lungo termine e il nuovo target post-2025.
L’obiettivo della Presidenza è quello di adottare delle decisioni conclusive entro venerdì 12 novembre, data in cui è al momento prevista la chiusura della COP26. Forse si tratta di una previsione ottimistica ed è normale che i negoziati si protraggano per almeno un giorno oltre la scadenza prevista.
Sono stati interessanti anche gli interventi delle Parti a seguito del discorso della Presidenza. Diverse Parti (G77 e Cina, Paesi meno sviluppati, Gruppo africano) hanno lamentato la mancanza di ambizione dei paesi sviluppati nel mobilitare i finanziamenti climatici: oltre al gap ancora da colmare per la somma dovuta tra il 2015 e il 2020, è necessario stanziare più fondi destinati all’adattamento e istituire un processo formale per il loss and damage.
Inoltre, come sottolineato dall’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS), i paesi sviluppati dovrebbero rendere i propri NDC più ambiziosi (in particolare i target per il 2030, che spesso non risultano coerenti con l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050) e interrompere una volta per tutte i sussidi alle fonti fossili. Il gruppo ha inoltre lamentato di essere stato escluso da alcune sessioni per il raggiungimento della capacità massima delle sale negoziali.
Tra gli interventi più attesi c’è stato quello dell’Arabia Saudita, portavoce del Gruppo arabo, notoriamente molto influente nei negoziati. Da un lato la nazione ha invocato il completamento del Paris Rulebook in tutti i suoi elementi (soffermandosi però sull’adattamento e la finanza, punti per cui la pressione è su altri Paesi), ma al tempo stesso ha incitato il Presidente della COP a chiudere i negoziati il 12 novembre come da programma, sostenendo che “passerebbe alla storia se riuscisse a chiudere una conferenza in tempo, prima volta nella storia”.
Questa dichiarazione fa temere che alcuni paesi meno ambiziosi stiano giocando tatticamente la carta di una chiusura affrettata per lasciare meno tempo agli sherpa dei paesi più ambiziosi, impegnati invece a far progredire il lavoro su tutti i punti più spinosi verso un miglior risultato finale – a costo di proseguire ad oltranza.
di Teresa Giuffrè, Volontaria Italian Climate Network a COP26
Questo articolo del Bollettino COP di ICN fa parte del progetto EC DEAR SPARK. ICN monitora i negoziati e riporta quanto accade in italiano e in inglese, sul nostro sito e sui canali social, come parte di un consorzio paneuropeo di oltre 20 organizzazioni no-profit impegnate nel promuovere la coscienza climatica con particolare attenzione al ruolo dei giovani e ai temi della cooperazione internazionale e delle politiche di genere.