02
Nov

Crescita, occupazione, transizione: come usare il Recovery Fund

Jacopo Bencini, Policy Advisor, Italian Climate Network

Questo articolo è l’ottavo di una serie realizzata con il contributo di European Climate Foundation nell’ambito del progetto “Green New Deal per l’Italia”

Immagine: Bigmarck/Flickr

Un mese e mezzo fa, la pubblicazione delle Linee Guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) da parte del Governo ha ulteriormente innescato il dibattito politico su come utilizzare i 191,4 miliardi di euro mobilitati e prossimamente in arrivo da Bruxelles all’Italia. Per comprendere a pieno la manovra europea conviene ricordare che la spesa annuale dello Stato italiano da previsionale 2020 – sia corrente che in investimenti -, era stata stimata in 662 miliardi oltre rimborso prestiti, a fronte di entrate per 583 miliardi. Insomma, l’erogazione europea – che sarà sostenuta per un terzo da sovvenzioni e per due terzi da prestiti – può essere comparata finanziariamente ad un terzo del bilancio annuale dello Stato in periodi normali. Un’enormità di risorse, appunto. In più.

Queste risorse, a detta della Commissione Europea, saranno da investire in riforme e investimenti pubblici da implementare sul territorio nazionale entro il 2026, così da rendere le misure coerenti e rendicontabili con il bilancio settennale 2021-2027 dell’Unione. Ma quali riforme, quali investimenti? Ogni Stato Membro, come dimostra l’acuirsi del dibattito politico a Roma, ha facoltà di redigere un proprio piano di azioni specifiche da sottoporre a Bruxelles, che non sia una mera riproposizione di vecchie azioni mai cantierate, bensì di nuove che puntino ad una crescita stabile dell’economia e dell’occupazione. Politiche espansive e di investimento sociale, insomma. L’Italia ha avviato questo percorso presentando le linee guida del prossimo PNRR, che punta tutto su sei “missioni”: digitalizzazione, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture, istruzione e formazione, equità sociale, di genere e territoriale, e salute. Il secondo asse strategico, quello della rivoluzione verde, viene tuttavia ricondotto nel testo ad una piena aderenza alla strada tracciata dal PNIEC e dal Piano Colao, due documenti che – come abbiamo avuto modo di osservare nei precedenti articoli di Italian Climate Network risultano ad oggi ampiamente insoddisfacenti o comunque obsoleti rispetto alle sfide climatiche del tempo presente, nonostante una positiva e condivisa attenzione ai settori più impermeabili all’innovazione, residenziale e trasporti.

Il report di ICN ed EStà, presentato nell’ambito del Festival ASVIS dello Sviluppo Sostenibile lo scorso 7 ottobre, suggerisce invece una traiettoria alternativa e percorribile, per riportare l’Italia ed il suo PNIEC in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Accordo di Parigi. Lo fa illustrando i possibili benefici di un aumento del 78% degli investimenti in tecnologie verdi, ricerca e sviluppo e transizione industriale rispetto a quelli già previsti dal PNIEC – che fa ancora riferimento ai vecchi obiettivi climatici europei di prima del Green Deal: passando dai 100 miliardi all’anno di investimenti verdi tra pubblico e privato previsti dal PNIEC a 178 miliardi all’anno sarà infatti possibile osservare, da oggi al 2030, una crescita aggiuntiva del PIL fino allo 0,6% annuo e fino all’8% complessivo in dieci anni (tenendo qui conto della crescita stimata di base sommata a quella derivante dagli investimenti verdi) ed un aumento degli occupati stabili di più di 600.000 unità, cifra che potrà essere addirittura più alta se saranno applicate specifiche innovazioni nei settori agricolo e forestale. Considerando il simile orizzonte temporale di utilizzo dei fondi europei mobilitati per Ripresa e Resilienza e di quelli che il report di ICN reputa indispensabili a raggiungere gli obiettivi europei e globali al 2030 e al 2050, emerge con chiarezza la nostra proposta: investire il più possibile dei fondi europei in arrivo nella transizione ecologica ed economica, giustamente – come sottolineano le stesse linee guida del governo e della Commissione – tendendo di conto in primis crescita economica e occupazione. Ricchezza e lavoro. Una transizione ecologica che non terrà conto di questi due aspetti, della dignità dei redditi da lavori verdi, dell’occupazione – e di quella giovanile in particolare – sarà una transizione incompleta e potenzialmente dannosa a livello sociale.

Si può quindi far crescere la ricchezza nazionale, abbattere il tasso di disoccupazione, mentre si perseguono politiche verdi? Mentre si riducono le emissioni? Il nuovo report di ICN ci dimostra che è possibile perché è già accaduto: nella crisi economica innescata dai crolli finanziari del biennio 2007-2008 l’Italia ha visto le proprie emissioni di CO2 calare drasticamente, a fronte di una iniziale flessione di crescita economica e occupazione, che sono tornate poi ad assestarsi e sicuramente non a seguire simmetricamente la traiettoria delle emissioni. L’economia italiana è sopravvissuta in qualche modo, l’occupazione ha retto, nonostante la crisi abbia – potremmo dire provocatoriamente – lavorato per il clima eliminando dal mercato imprese meno tecnologicamente sviluppate e quindi incapaci di competere con nuovi concorrenti e nuovi standard ambientali. Questo ha avuto sicuramente ricadute occupazionali e sociali negative in alcuni settori e l’analisi non può tenerne di conto, ma contestualmente l’emergere di nuove professionalità sembra aver colmato – almeno parzialmente – quell’iniziale shock. Gestire la transizione nel post-pandemia significherà tenere bene a mente questi passaggi già avvenuti per far sì che la necessaria radicalità e rapidità dei processi non porti a un’accelerazione contestuale dell’aumento delle disuguaglianze e del disagio sociale. Insomma, la transizione va accompagnata da politiche sociali e del lavoro decise, oltre che innescata finanziariamente.

Le linee guida del prossimo PNRR sembrano, almeno a parole, voler tener conto di questi aspetti e della loro interconnessione ai più settori di intervento, intendendo la transizione ecologica e la tenuta sociale come tematiche trasversali e necessarie. Come società civile non possiamo che auspicare che i progetti subito attuabili? che il Governo e le principali forze politiche vorranno presentare vadano in questa direzione, ricordando che il 2020 altro non è che l’inizio del conto alla rovescia decennale verso il primo grande banco di prova per clima e sviluppo sostenibile, il 2030, al quale dovremo arrivare non solo politicamente pronti, ma con dieci anni di obiettivi raggiunti alle spalle.

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