07
Lug

Obiettivi superabili

Jacopo Bencini, Policy Advisor, Italian Climate Network

Questo articolo è il quarto di una serie realizzata con il contributo di European Climate Foundation nell’ambito del progetto “Green New Deal for Italy”

Nel mese di giugno si è assistito in Italia ad un processo politico-decisionale inedito, quasi quanto la situazione che l’ha generato. Il governo guidato da Giuseppe Conte ha scelto, infatti, di affidare la visione della ripartenza dopo l’acuto della pandemia a due diversi momenti di costruzione di visione collettiva: prima l’incarico dato ad una squadra di esperti in materie economiche e sociali di altissimo livello guidati da Vittorio Colao, ex Vodafone, di redigere un documento di spunti operativi e di visione per il triennio 2020-2022, poi la convocazione dei cosiddetti “Stati generali” di villa Pamphili, a Roma. Entrambe iniziative del governo, entrambe di approfondimento e confronto verso quella che si prefigura come la ripartenza economica più difficile dalla fine della seconda guerra. Mentre, nelle stesse ore, si apprendeva dalle Nazioni Unite che nel 2020 non vi sarebbe stato più alcun negoziato sul clima a seguito dello spostamento al 2021 dell’ultima sessione sopravvissuta, gli intermedi di ottobre a Bonn, Italian Climate Network si domandava quanto spazio le politiche ambientali e climatiche avrebbero trovato nei due processi nazionali.

Sebbene i temi ambientale e climatico vengano indicati, sotto la dicitura “rivoluzione verde”, tra i temi trasversali e non specifici del documento del gruppo di Colao assieme a digitalizzazione, innovazione, parità di genere e inclusione, essi trovano poi poco spazio nella complessità del documento finale – il clima in particolare. Su 102 idee per la ripartenza del paese, infatti, solo una – la numero 30 – tratta specificamente di politiche climatiche, peraltro facendo quasi esclusivamente riferimento al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) redatto dal governo nel dicembre 2019, prima della Climate Law europea e con obiettivi al 2030 meno ambiziosi di quelli proposti dal Green Deal europeo. Come noto il documento del gruppo di Colao è stato consegnato al governo l’8 giugno. Lo stesso Colao ne ha potuto poi esporre i punti salienti durante gli Stati generali nella giornata del 15 giugno.

Le 102 idee del gruppo di esperti guidati da Colao sono state concepite, sin dal primo giorno di lavoro, come soluzioni immediatamente cantierabili per far ripartire l’economia italiana nel breve termine e con l’ambizione di porre basi più solide per il medio periodo – non a caso l’orizzonte della visione è stato da subito indicato come triennale, 2020-2022. Dello stesso tono i lavori di Villa Pamphili, dove è emersa la lecita preoccupazione del governo di identificare strade percorribili da subito per una ripresa che possa avviarsi, anch’essa, il prima possibile. Nel contesto di un’operazione di indagine e confronto tanto strutturata, tuttavia, sorprende il poco spazio riservato appunto alle politiche climatiche, che nell’ottica dell’Accordo di Parigi dovrebbero permeare e fare da cornice a tutte le restanti vicende micro e macroeconomiche, con ovvie ricadute sociali – nel bene e nel male, soprattutto rispetto alla necessaria transizione industriale e del mercato del lavoro. Se è pur vero che le politiche immaginate hanno respiro solo triennale, quei tre anni sono comunque un terzo del cammino del nostro paese verso gli obiettivi climatici al 2030, contenuti appunto nel PNIEC e oggi in corso di revisione a livello europeo verso la consegna del nuovo pacchetto di obiettivi europei alle Nazioni Unite, originariamente previsto per settembre.

Il problema non è solamente lo scarso spazio dedicato al tema: è il permanere di un livello di ambizione climatica ormai superato dai fatti, se non dalla politica stessa. Il PNIEC prevede infatti una serie di misure di riduzione delle emissioni e di efficientamento energetico già a suo tempo ritenute superate dai fatti anche a detta dello stesso Ministro dell’Ambiente Costa, peraltro inserite in un quadro basato sul permanere del gas naturale (climalterante) come risorsa centrale per l’economia energetica italiana. Sette mesi fa, con la presentazione del Green Deal europeo, la Commissione Europea aveva alzato l’asticella puntando a una riduzione minima del 50% delle emissioni climalteranti rispetto al 1990, con l’ambizione di raggiungere il 55%. In questi sette mesi la politica è andata ancora più avanti e da partiti, città, organizzazioni della società civile si è sviluppata una campagna continentale che oggi – anche alla luce della pandemia – chiede alla Commissione una revisione al rialzo di quegli stessi obiettivi, anche fino ad un tecnicamente raggiungibile -65% nel contesto di una più ampia trasformazione della società. La fattibilità tecnica di tali proposte è stata ulteriormente dimostrata da report e studi pubblicati di recente, su tutti quello presentato da Climact a ridosso del vertice europeo sul clima dello scorso 23 giugno.

Sebbene il percorso di assorbimento e trasformazione in azione politica delle idee presentate dal gruppo di Colao e dai partecipanti agli Stati generali sia ancora embrionale, risulta imperativo per chi si occupa di clima chiedere al governo una decisa revisione al rialzo degli obiettivi italiani (e quindi europei) al 2030. In quest’ottica Italian Climate Network ha a suo tempo avviato un’importante collaborazione con European Climate Foundation ed il centro di ricerca Està per la redazione e divulgazione di uno studio sulle emissioni italiane volto a restituire alla politica ed al grande pubblico un quadro chiaro su cosa come italiani possiamo già fare, come potremmo fare di più, quali gli investimenti necessari settore per settore – dall’agricoltura al residenziale, dai trasporti all’industria. Insomma, un lavoro centrato esattamente sulla superabilità degli attuali obiettivi. Una prima panoramica dei risultati di ricerca verrà pubblicata nel prossimo articolo di questa serie.

Urge, nel frattempo, evitare che il rinvio dei negoziati possa essere vissuto come scusa per non parlarne.

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