06
Apr

Green Deal Europeo: dove eravamo rimasti?

di Jacopo Bencini, Policy Advisor, Italian Climate Network

Questo articolo è il primo di una serie realizzata con il contributo di European Climate Foundation nell’ambito del progetto “Green New Deal for Italy”

Immagine originale: EPA/JULIEN WARNAND

La pandemia Covid19 non risparmia i negoziati sul clima. È notizia di questi giorni, infatti, che i governi britannico, italiano e cileno hanno definitivamente deciso di rinviare al 2021 la conferenza ONU sul clima (COP26) che si sarebbe dovuta tenere a Glasgow in novembre. Contestualmente, le Nazioni Unite hanno scelto di posticipare a inizio ottobre i negoziati intermedi – che ogni anno si tengono a Bonn all’inizio dell’estate – ed il governo italiano, co-ospitante la COP26, di rinviare al 2021 i due eventi che si sarebbero dovuti tenere a Milano tra settembre e ottobre, la “Pre-COP” e l’innovativa “COP dei giovani”. Scelte drastiche nell’ anno in cui l’Accordo di Parigi si prevedeva come strategico.

Nei mesi immediatamente precedenti all’arrivo in Europa della pandemia, tuttavia, la politica del clima era tornata a ritagliarsi uno spazio importante grazie al lancio, da parte della Commissione Europea, del nuovo Green Deal Europeo per il Clima (EGD). Presentato con enfasi dalla neo-insediata Presidente von der Leyen l’11 dicembre 2019 e licenziato dal Parlamento Europeo in gennaio, il Green Deal traccia il percorso per portare l’Unione Europea alla neutralità carbonica – ossia a zero emissioni nette – entro il 2050. Obiettivo intermedio, ridurre di almeno il 50% (ma l’ambizione di arrivare al 55%) le proprie emissioni climalteranti rispetto al 1990 entro il 2030, anno di riferimento per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Traguardi che, se pienamente raggiunti, porterebbero l’ambizione climatica dell’Unione Europea in linea con le previsioni dell’Accordo di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro i due gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale. Il Green Deal per come presentato da von der Leyen non è un singolo strumento normativo o finanziario, bensì una “tabella di marcia con azioni” da completare e atti specifici successivi. Allegato al testo è stato infatti pubblicato un cronoprogramma in cinquanta azioni da mettere in campo entro la fine del 2021 sia per dare coerenza alle stesse contestualmente all’entrata in vigore del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (il bilancio europeo) 2021-2027 ancora in corso di approvazione, sia per avviare da subito politiche ambiziose verso gli obiettivi intermedi fissati al 2030.

Il Green Deal non rappresenta di per sé uno strumento normativo vincolante o una previsione di budget: ne prevede una serie, ad esempio il Piano per gli Investimenti da mille miliardi di euro ed il Meccanismo per la Giusta Transizione da cento miliardi presentati a gennaio o la Legge Europea sul Clima ed il Patto sul Clima presentati a inizio marzo. Piuttosto, il Green Deal delinea la cornice d’azione di tutte queste politiche, determinandone la narrativa e gli obiettivi. Nel testo presentato a dicembre da von der Leyen il concetto più ricorrente è quello di “transizione irreversibile”. Un deciso scatto in avanti, concettuale e politico, rispetto alle precedenti politiche per obiettivi della Commissione, che con von der Leyen assumono oggi un approccio olistico al problema della più ampia riconversione industriale, sociale, economica, di welfare che il continente si impone di affrontare. Una “transizione” totale, appunto, che tiene in considerazione anche eventuali storture derivanti dal contesto commerciale globale grazie, tra le varie misure, all’innovativa previsione di un meccanismo di aggiustamento transfrontaliero del carbonio da mettere a punto entro il 2021.

Obiettivi tanto ambiziosi necessitano, in una prima fase, di un quadro normativo solido e di una credibile previsione di investimento. Per questo, la prima azione prevista dal Green Deal è proprio la proposta, presentata dalla Commissione a inizio 2020, di una Legge Europea sul Clima da parte della Commissione. L’adozione della Legge, da intendersi come atto cruciale nella regolazione dei futuri processi, trasformerebbe gli obiettivi del Green Deal in strumenti giuridicamente vincolanti per tutti e 27 gli Stati Membri. Nello specifico, essa introduce alcune importanti novità: revisioni quinquennali, a partire dal 2023, degli obiettivi comunitari – in linea con le tempistiche dell’Accordo di Parigi; l’elaborazione di un nuovo piano di valutazione d’impatto, specifico, da parte della Commissione verso i due obiettivi al 2030 e al 2050; la conseguente presentazione di un nuovo, dettagliato, obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni entro il 2030; la redazione di uno scenario europeo al 2050 per fornire elementi certi e affidabili a decisori politici e investitori. Rispetto ai nuovi obiettivi per il 2030, la Legge è stata oggetto di critiche da parte di molte organizzazioni ma anche di alcuni governi europei (incluso quello italiano), in quanto nel testo  – necessariamente scevro di specifici obiettivi quantitativi – si è voluto spostare in avanti la scadenza per la presentazione dei nuovi obiettivi da “entro l’estate” (come originariamente previsto dal Green Deal) a “entro settembre”, ossia a ridosso dell’inizio (allora previsto) della COP26, lasciando quindi poco tempo per la redazione e presentazione dei nuovi impegni in sede ONU.

Rispetto alle previsioni di spesa, la Commissione all’inizio dell’anno aveva volato alto. Nel mese di gennaio erano stati infatti presentati il Piano per gli Investimenti per il Green Deal Europeo (EUGDIP/SEIP) e l’inedito Meccanismo per la Giusta Transizione (JTM). L’EUGDIP prevede un ammontare complessivo di almeno mille miliardi di euro da mobilitare per l’azione climatica entro il 2030, inclusi almeno cento miliardi per il Meccanismo JTM a sostegno dei lavoratori e delle imprese delle regioni più deboli in vista della riconversione industriale ed economica. L’origine di tali risorse tuttavia non potrà essere interamente comunitaria: l’Unione contribuirà con risorse proprie, già ad oggi previste, per circa 503 miliardi di euro in dieci anni attraverso un processo di progressiva diffusione di azioni su clima e ambiente in tutte le sue linee di spesa, con l’obiettivo di rendere “climatiche” il 25% delle proprie spese già dall’adozione del prossimo bilancio pluriennale. Si prevede invece di mobilitare le rimanenti risorse tramite parte dei proventi da scambi sul mercato di crediti per le emissioni industriali (ETS, 25 miliardi), oltre a 279 miliardi mobilitati tra investimenti pubblici e privati tramite il programma comunitario InvestEU e la Banca Europea degli Investimenti, 114 miliardi da fondi strutturali erogati dai singoli paesi e almeno 100 miliardi da fonti di finanziamento miste UE-pubbliche-private a finanziare il Meccanismo JTM (che, legalmente, va ad aggiungersi alle Politiche di Coesione). Tra le misure previste dal Meccanismo spicca il nuovo Fondo per la Giusta Transizione, che la Commissione prevede di sostenere da subito con, per adesso, 7,5 miliardi dal bilancio comunitario.

Il Green Deal non è solamente un ambizioso piano di politiche interne. Esso rappresenta anche un nuovo strumento di soft power nelle relazioni internazionali dell’Unione, che punta a riassumere un ruolo guida sul clima a livello globale. Sicuramente, l’evento “climatico” da seguire in vista dei negoziati intermedi avrebbe dovuto essere il vertice Unione Europea – Cina di fine marzo, con una delegazione della nuova Commissione che avrebbe dovuto recarsi in visita a Pechino nei giorni scorsi (Xi Jinping è invece atteso a Berlino nel prossimo settembre). Il vertice, che avrebbe dovuto trattare principalmente di politiche commerciali e climatiche in vista della COP26, è stato rimandato a data da destinarsi a causa del perdurare della pandemia nelle due regioni e dell’impossibilità per le delegazioni di preparare per tempo gli incontri.

La pandemia sembra aver sospeso dall’agenda politica una serie di processi. Il rischio che anche l’ambizione originaria del Green Deal Europeo possa risentirne in un contesto di ricostruzione economica post-virus sembra concreto. Il piano, invece, potrebbe rappresentare uno degli strumenti di ripartenza più forti a nostra disposizione. Nella grande incertezza che caratterizza questo momento storico, non resta quindi che tenere alta la guardia e seguire l’elaborazione, da parte della Commissione, dei nuovi obiettivi europei al 2030 e, da parte delle regioni – anche in Italia – dei piani territoriali per la Giusta Transizione, teoricamente da presentare entro la fine del 2020.

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