global methane pledge
16
Nov

IL GLOBAL METHANE PLEDGE È DESTINATO ALL’IRRILEVANZA?

Entra ed esce dai talk del negoziato: usato dagli americani come carta di leverage, odiatissimo dalla Russia, il Global Methane Pledge sembra avere un destino contorto.

Si tratta di un accordo volontario per ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020, lanciato l’anno scorso a Glasgow, in Scozia, durante i negoziati di COP26. L’impegno condiviso da 130 Paesi non fa ufficialmente parte delle decisioni di COP, ma è un accordo multilaterale tra Stati. È molto importante per la riduzione degli effetti del cambiamento climatico perché norma il CH4, il metano, un potente gas a effetto serra. Come è noto, sebbene il metano non rimanga molto a lungo nell’atmosfera, le sue concentrazioni in continua crescita hanno un effetto esponenzialmente devastante. Il metano infatti ha un potenziale di riscaldamento 80 volte più forte dell’anidride carbonica (CO2) nell’intrappolare il calore in tempi brevi.

Ridurre il CH4 rapidamente può contribuire in maniera importante al mantenimento dell’obiettivo di 1,5°C. Osservati speciali il settore estrattivo del gas naturale e petrolio, ma anche discariche e metano derivato da allevamenti e agricoltura (dai bovini e dalla risicoltura), che però sono poco attenzionati dal Pledge che considera le emissioni di CH4 dall’oil&gas più facili da individuare e ritiene sia più semplice intervenire per impedirne la fuga.

Secondo l’ultimo rapporto del Global Energy Monitor, 30 compagnie petrolifere e del gas, inclusi i giganti statunitensi Chevron ed ExxonMobil, sono responsabili del 43% delle emissioni globali di metano del settore energetico. Poiché per l’Agenzia internazionale per l’energia il metano da petrolio e gas (ma anche carbone) deve diminuire almeno del 77% entro il 2030, queste società dovranno mettere sotto controllo ogni particella di metano fuggitiva.

Al momento, però, il Global Methane Pledge non ha ancora trovato la quadra, e non sono arrivati ad aggiungersi almeno 40 nuovi pledge (impegni) sulle riduzioni di metano articolate in piani dettagliati (esclusa la Russia, che però rimane il primo Paese per emissioni fuggitive) come era stato promesso nei primi giorni di negoziato per aprire la possibilità di una menzione nella cover letter. Ad ostacolare le ambizioni di Stati Uniti ed Europa – che hanno siglato un accordo Biden/Von Der Leyen nel 2021 – è arrivato il gruppo dei G77, in particolare un gruppo di Paesi africani. 

«Il Global Methane Pledge è davvero un altro tentativo dei paesi sviluppati per mettere all’angolo i paesi in via di sviluppo, che sono fortemente dipendenti dall’uso del carbone, perché la maggior parte del nostro metano deriva dall’estrazione del carbone. Significa automaticamente che dobbiamo ridurre del 50% le emissioni dalla nostra produzione di carbone; una situazione a cui stiamo dicendo di no. Quindi, non ci stiamo muovendo in quella direzione»: questo il commento del ministro dell’Ambiente, clima, turismo e settore alberghiero (sic) dello Zimbabwe, delegato a COP27. Sebbene sia inaccurato (non sarebbe vietato l’uso del carbone ma si richiederebbe di usarlo con tecnologie di contenimento del metano da estrazione carbonifera, noto anche come grisù, ma soprattutto la stragrande maggioranza delle emissioni di CH4 viene dall’oil&gas), il commento dà la misura di come il tema sia usato come leva negoziale dai Paesi in via di sviluppo, probabilmente nella partita del Loss&Damage.

Lo showdown è atteso a un incontro ministeriale in programma per il 17 novembre, quando stando al sito methanemoment.org si dovrebbero ufficializzare i quaranta annunci, e si capirà se si saranno aggiunti anche i Paesi in via di sviluppo che al momento non hanno firmato l’impegno. 

Non mancano poi le critiche all’accordo stesso. Secondo l’associazione tedesca Deutsche Umwelthilfe (DUH o Environmental Action Germany) il Global Methane Pledge è una “tigre di carta”, che non aggiunge nulla di sostanziale a quanto già individuato nella proposta di regolamento sul metano dell’UE, all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio.

Per l’Europa l’implementazione del goal non sarà facile. La maggior parte delle emissioni di metano nel continente proviene dall’allevamento, ma l’UE non ha impiegato la sua politica agricola comune da 387 miliardi di euro per affrontare il problema, sostiene un rapporto della Changing Markets Foundation. Eppure secondo Tim Searchinger, ricercatore senior presso la Princeton University e senior fellow presso il World Resources Institute, le emissioni enteriche di metano, in particolare collegate al settore dell’allevamento, da sole aggiungerebbero almeno il 25% alle emissioni agricole entro il 2050, rispetto al 2010.

L’unica notizia positiva che arriva su questo tema da COP27 sono le tecnologie per monitorare con efficacia le emissioni fuggitive. Nelle sale del Tonino Lamborghini Center – il centro congressi di Sharm el-Sheikh – è stato lanciato dall’UNEP il Methane alert and response system (Mars), il nuovo sistema globale di rilevamento satellitare che consente di informare governi e aziende in tempo reale per intervenire rapidamente e fermare eventuali “fughe”. In questo modo sarà sempre più semplice individuare i responsabili delle emissioni, siano essi del settore oil&gas o di quello agroalimentare. Almeno così Stati e attivisti sapranno con chiarezza contro chi puntare il dito nel caso di emissioni.

Articolo a cura di Emanuele Bompan, giornalista e socio di Italian Climate Network

Immagine di copertina: credits Ivan Kashinsky / Panos via Climate Visuals

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