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Dic

LA BOZZA DEL GLOBAL STOCKTAKE DELL’8 DICEMBRE, PUNTO PER PUNTO

Nelle ventisette pagine del testo sul Global Stocktake pubblicato sul sito della UNFCCC l’8 dicembre alle 15.30 (ora di Dubai) comincia a prendere forma buona parte del futuro dell’Accordo di Parigi sul clima. Il testo è ancora tremendamente disordinato e pieno di opzioni negoziali da sciogliere (ben 147 contando le sotto-opzioni). Un testo costruito su “building blocks”, come spiegano i facilitatori, che tuttavia delinea già con estrema chiarezza la direzione generale del negoziato ed i principali punti critici.

In questo articolo esamineremo uno per uno i temi di principale attrito tra le delegazioni, quasi tutti quelli con opzioni negoziali ancora aperte, andando oltre il dibattito mediatico sul solo phase-out e cercando di fornire ai lettori di Italian Climate Network un quadro completo. Segnaliamo che la numerazione dei paragrafi subirà sicuramente modifiche nelle bozze dei prossimi giorni, visto l’inevitabile “taglia e cuci” che questo testo attraverserà nelle varie iterazioni negoziali.

Preambolo

Nel preambolo non si parla di 1.5°C

Nel preambolo assume un ruolo centrale il concetto di “responsabilità comuni ma differenziate”, che si prende il secondo paragrafo. Il primo, invece, richiama gli obiettivi generali dell’Accordo, ma senza citarli esplicitamente, manca quindi in questa parte un riferimento chiaro al mantenimento delle temperature globali entro +1.5°C alla fine del secolo. Questa omessa citazione viene recuperata nelle pagine successive, in particolare nella parte su Mitigazione (paragrafi 15-51), ma potrebbe risultare rilevante per un testo che, di fatto, andrà a indicare la strada post-2023 dell’Accordo di Parigi.

Importante citazione dei diritti umani e dei diritti dei popoli indigeni

Spicca, per il posizionamento al sesto paragrafo del preambolo, un riferimento forte ai diritti. Si dice, infatti, che i Paesi dovrebbero rispettare, promuovere e considerare le loro rispettive obbligazioni sui diritti umani, sul diritto ad un ambiente sostenibile, pulito e salubre, sul diritto alla salute, sui diritti delle popolazioni indigene, delle comunità locali, dei migranti, dei bambini e delle persone con disabilità, tenendo in considerazione anche la parità di genere e l’equità intergenerazionale. Soddisfatte della bozza le organizzazioni che si battono per i diritti delle persone con disabilità, meno quelle che lavorano sui diritti umani, che vedono nel concetto di mero “rispetto” un livello di tutela inferiore, rispetto a termini come “protezione”giudicati più attivi. Probabile, in ogni caso, che questo paragrafo venga fortemente modificato o spostato, vista la varietà di focus e l’attuale posizionamento ai “piani nobili” del testo. Da segnalare che nei successivi paragrafi non compaiono, ad oggi, ulteriori citazioni dei diritti umani. Menzionato, infine, anche il concetto di “giustizia climatica”, in un sotto-paragrafo che, anche in questo caso, verrà sicuramente modificato e/o spostato nel testo finale – se non eliminato del tutto.

Contesto e considerazioni trasversali (par. 1-14)

“Non ci siamo”

Il paragrafo 2 segnala che “nonostante progressi” negli ultimi anni “le Parti non sono ancora collettivamente in linea verso il raggiungimento dell’obiettivo generale dell’Accordo di Parigi ed i suoi obiettivi di lungo periodo”. Nel paragrafo 5 si dice, inoltre, che i Paesi “notano allarmati” che “le attività umane, principalmente tramite l’emissione di gas serra, hanno inequivocabilmente (sottolineato dell’autore) causato un riscaldamento globale di circa 1.1°C”, formulazione affatto banale viste le resistenze di molti Paesi nell’uso di un linguaggio scientifico così forte e, se vogliamo, viste le recenti esternazioni sul tema dello stesso Presidente della COP Al Jaber.

Giustizia climatica internazionale, diversi punti di vista (oppure non parliamone affatto)

Il paragrafo 7, che nelle intenzioni di chi ne ha proposto l’inserimento nel testo dovrebbe parlare del tema della giustizia climatica in termini di equa ridistribuzione degli obblighi tra i Paesi, offre ben 5 opzioni negoziali. Le prime 4 riprendono concetti da sempre cari ai Paesi in via di sviluppo. L’opzione 1, vede nella giustizia climatica internazionale un possibile impulso verso una migliore e più coordinata azione verso gli obiettivi di lungo periodo di Parigi. L’opzione 2, sottolinea la complessità dell’attuale situazione globale, ribadendo l’importanza delle responsabilità storiche e del rispetto dei diritti umani. L’opzione 3, integra la 2 con un focus più specifico sui diritti umani, sull’eradicazione della povertà e sui contesti nazional.i L’opzione 4, infine, rimanda in maniera più secca e sintetica al principio CBDR-RC (responsabilità comuni ma differenziate) offrendo un testo forse più netto delle precedenti, ma meno ambizioso. L’opzione 5, è una no-option, ossia propone di non parlare del tema.

Responsabilità storiche e condizionalità degli impegni del Sud: un testo molto “forte”

Il paragrafo 8, con due opzioni negoziali, offre un affondo ancora più forte sul tema delle responsabilità storiche, sicuramente secondo testi proposti dai Paesi del Sud del mondo. Si legge, infatti, che la COP “riconosce che azioni di mitigazione eque sono guidate dalle responsabilità storiche” e che “i Paesi sviluppati dovrebbero guidare” il processo. Inoltre, si sottolinea che “il grado di reale implementazione degli impegni dei Paesi in via di sviluppo dipenderà dall’oggettiva implementazione degli impegni dei Paesi sviluppati” in termini di mobilitazione di finanza per il clima e di trasferimento di tecnologia. Se questo linguaggio sembra già molto forte, il paragrafo prosegue con la sottolineatura del fatto che “lo sviluppo economico e sociale e l’eradicazione della povertà sono prime e cruciali priorità dei Paesi in via di sviluppo”, a voler sottolineare che non ci sarà azione per il clima a livello globale senza un vero coinvolgimento finanziario dei Paesi ricchi in supporto a quelli del Global South. Una formulazione molto forte e decisa, sulla quale i Paesi potrebbero dibattere a lungo. La seconda opzione è una no-option.

L’elefante nella stanza: il CBAM (che non piace a molti e viene attaccato tramite la COP)

Il paragrafo 13 è il primo in cui si cita, senza citarlo, il nuovo Meccanismo di aggiustamento transfrontaliero (CBAM) previsto dal Green Deal Europeo, che prevede l’istituzione (sperimentalmente su alcuni settori già da quest’anno) di una nuova tassazione per le merci in arrivo nell’Unione Europea e provenienti da Paesi e sistemi produttivi che su quelle produzioni non applicano riduzioni sostanziali delle emissioni climalteranti. Il testo riparte dall’articolo 3.5 della Convenzione UNFCCC del 1992, ricordando che l’azione climatica globale potrà prosperare in un mondo di mercati aperti ed accessibili, sottolineando poi come “politiche climatiche [..] unilaterali non potranno costituire discriminazioni arbitrarie e ingiustificabili o mascherate restrizioni del commercio internazionale”. Anche in questo caso una formulazione molto forte, che viene poi ripresa in successivi paragrafi in tutto il corpo del testo, a sottolineare che la nuova politica sulle importazioni “verdi” impressa dall’Unione Europea sta già scatenando tensioni in molti Paesi partner. Paesi che tentano di portare lo scontro politico nelle aule di questa COP, nella speranza di sfruttare il contesto numericamente favorevole (per loro) nelle sedi ONU per combattere una battaglia altrimenti complessa nel mondo delle interazioni commerciali bilaterali.

Mitigazione (par. 15-51)

Il dito puntato (contro chi?)

Il paragrafo 23 offre tre opzioni negoziali, di cui una è un no-option. Si parla di riduzione delle emissioni e riduzione dello spazio temporale per farlo, secondo diversi dati e riferimenti temporali, tutti con riferimento agli ultimi report IPCC e UNFCCC. Sorprende, però, che sul finale dell’opzione 1 si punta il dito, senza nominarli, contro due Paesi sviluppati che secondo gli ultimi report quinquennali sulle emissioni non avrebbero rispettato i loro impegni internazionali. Fatto abbastanza inusuale per un testo negoziale in sede ONU, dove per prassi il dito non si dovrebbe puntare mai. Questo paragrafo verrà quasi sicuramente modificato o cancellato nella parte finale.

Picco delle emissioni al 2025 (o no?)

Il paragrafo 25 offre tre opzioni, di cui una no-option. L’opzione 1, in due sotto-formulazioni, indica con chiarezza la necessità di arrivare al picco globale di emissioni climalteranti entro il 2025, chiedendo anche ai Paesi di comunicare la data prevista di picco dei loro sistemi emissivi. L’opzione 2, fa invece un generico riferimento alla necessità di rimanere entro i confini dei budget emissivi indicati dai report, con attenzione alla giusta distribuzione (in termini di CBDR) di tale budget tra tutti i Paesi.

Il successivo paragrafo 27 offre tre opzioni, di cui una no-option, in cui si fa riferimento alla condizionalità degli NDC dei Paesi in via di sviluppo, con riferimenti alle previsioni di crescita delle emissioni in termini percentuali (opzione 1) oppure alla possibilità residua di raggiungere il picco emissivo globale entro il 2030 (opzione 2).

CCS – Phase out – Unabated – Sussidi: il paragrafo chiave di questa COP

Il paragrafo 36 della bozza odierna è probabilmente quello più importante dell’intero testo. Esso presenta due macro-opzioni testuali, di cui la 2 è una no-option mentre la 1 offre un quadro dettagliato della direzione politica da prendere nei prossimi anni in termini di mitigazione, con ben 6 sotto-paragrafi suddivisi in 16 sotto-opzioni. Ma andiamo per punti. 

  1. Capacità rinnovabile x3, da sola?

Sotto la lettera (a) abbiamo ad oggi due opzioni e una no-option che, con formulazioni diverse, offrono entrambe la decisione della COP di triplicare globalmente al 2030 la capacità di generazione di energia rinnovabile. La differenza sta nel fatto che nella seconda opzione si dice che questo “x3” non potrà prescindere dalla concomitante riduzione, fino alla scomparsa, della produzione di energia basata sulle fonti fossili, precisazione non banale su un impegno già considerato come preso.

  1. Cattura e stoccaggio di carbonio: parlarne qui o no?

Sotto la lettera (b) compare una menzione del fatto che i Paesi, per rimanere negli obiettivi, dovranno investire in tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS); l’altra opzione è non parlarne affatto, una no-option.

  1. Phase-out: se ne parla in tutte le opzioni – ed è una big news

Sotto la lettera (c) i delegati hanno lasciato in vita ben quattro opzioni su quattro (la quinta è un no-option) la dicitura “phase-out”, fatto politico forse impensabile solo qualche giorno fa – ma la COP è ancora lunga. Si dice, infatti, che i Paesi dovranno percorrere “un’uscita dalle fonti fossili secondo la migliore scienza disponibile” (opzione 1); che lo dovranno fare in linea anche con il report speciale IPCC su 1,5°C e con l’Accordo di Parigi (opzione 2); che dovranno percorrere “un’uscita dai combustibili fossili non compensati da CCS riconoscendo la necessità di raggiungere il picco nei loro consumi entro il 2030, sottolineando l’importanza per il settore energetico di essere predominantemente libero dai combustibili fossili molto prima del 2050” (opzione 3); che dovranno “uscire dai combustibili fossili non compensati da CCS” e raggiungere il net zero nei sistemi energetici “entro o interno” al 2050 (opzione 4). L’opzione 5, erroneamente indicata come 4, è una no-option

  1. Rapida uscita dal carbone unabated
    Sotto la lettera (d) l’unica opzione testuale propone una “rapida uscita” dalla generazione di energia da carbone non compensato da CCS entro il 2030, assieme all’immediata cessazione di ogni nuova pratica autorizzativa di nuovi impianti di generazione di energia da carbone.
  2. Sussidi alle fonti fossili che promuovono benessere sociale (..?)

Senza dubbio curiosa l’attuale formulazione sotto la lettera (e), che promuove l’uscita dai sussidi alle fonti fossili che non comportano impegni concreti e positivi su povertà energetica e giusta transizione. Un paragrafo sicuramente da rivedere e, soprattutto, spiegare meglio.

Il paragrafo si chiude, come detto, con l’opzione 2 che è una no-option, quindi con la concreta possibilità che di tutti questi temi si finisca, alla fine del negoziato, per non parlare affatto. Prospettiva politicamente improbabile.

“Carburanti di transizione” e metano: due brevi accenni

I paragrafi 38 e 39 offrono due scarne opzioni testuali, potremmo dire due accenni, al ruolo “importante dei carburanti di transizione nel facilitare la transizione energetica” ed alla necessità di ridurre le emissioni da metano del 30% entro il 2030, con menzione di altri gas climalteranti. Entrambi i paragrafi prevedono una no-option, potrebbero quindi essere modificati o cancellati.

Un tentativo di “putsch” sul net zero al 2040

Il paragrafo 49 affronta, con due opzioni testuali e nessun no-option, la revisione delle strategie di lungo periodo dei Paesi sotto l’articolo 4.19 dell’Accordo di Parigi, invitandoli a presentare le loro strategie aggiornate entro la prossima COP. Significativo e importante il tentativo di un colpo di mano di alcuni Paesi che nell’opzione 2 hanno inserito la richiesta per i Paesi sviluppati di inserire nelle loro strategie “riferimenti temporali per il raggiungimento del net zero al 2040 ed emissioni negative il prima possibile”. Una dicitura forte e ambiziosissima, che potrebbe non sopravvivere ai prossimi giorni di negoziato.

Adattamento (par. 52-82)

Un nuovo report speciale IPCC sull’adattamento?
Il paragrafo 77, nella prima opzione di due, invita l’IPCC a preparare un nuovo report speciale a tema, stavolta sull’adattamento, che possa includere metriche ed indicatori in supporto alla preparazione del successivo Global Stocktake del 2028. la seconda opzione ribadisce l’importanza dell’impegno della scienza sul tema, senza però citare l’idea di un nuovo report speciale.

Confusione sul raddoppio della finanza per l’adattamento

Il paragrafo 82 dovrebbe trattare, nelle intenzioni dei delegati, del raddoppio della finanza per l’adattamento e della necessità di una roadmap per arrivare all’obiettivo, salvo poi perdersi però in tre opzioni (l’ultima è no-option) scritte in modo frettoloso e incompleto, con tanto di errori di battitura e residui “xx”. Sicuri sviluppi nei prossimi giorni, salvo la completa eliminazione del paragrafo.

Finanza (par. 83-116)

100 miliardi all’anno: falchi contro colombe

Sull’annoso tema del mancato raggiungimento, negli anni, dell’obiettivo (ormai risalente al 2009) di mobilitare globalmente almeno 100 miliardi di dollari all’anno in finanza climatica i delegati di COP28 sembrano attestati su due posizioni. Al paragrafo 87 troviamo tre opzioni: la 1 “accoglie”, potremmo tradurre “dà il benvenuto” agli sforzi internazionali degli ultimi anni per avvicinarsi all’obiettivo, nel contesto di azioni “sensate” di mitigazione (?); la 2 invece “nota con forte preoccupazione” la distanza tra l’obiettivo e la realtà, sempre nel contesto di azioni “sensate” di mitigazione. L’opzione 3 vede il primo “segnaposto” di questo testo, ossia uno spazio lasciato volutamente vuoto per poi inserire risultati da altri filoni negoziali, in questo caso gli esiti dei lavori sulla finanza di lungo periodo. Falchi contro colombe, con un’apertura a.. parlare d’altro.

Finanza per il clima: cosa si intende? (erogazioni versus garanzie)

Le quattro opzioni testuali del paragrafo 90 evidenziano le differenze di vedute su cosa si dovrebbe intendere con “finanza climatica di qualità”. Le quattro opzioni, infatti, differiscono per visione.La 1 ribadisce il ruolo centrale della finanza climatica in forma di erogazioni, necessarie per aggredire il problema dell’assenza di risorse dove oggi i prestiti la fanno ancora da padrone, indebolendo i sistemi finanziari più fragili. L’opzione 2 sottolinea lo stesso concetto ma in modo meno dettagliato. L’opzione 3 cita le erogazioni come possibili soluzioni a fianco dei prestiti. L’opzione 4 parla di “pacchetti di stimolo” senza specificare se si intendano in questo senso erogazioni o altro, comunque erogati dai Paesi sviluppati, ma ideati e gestiti dai Paesi in via di sviluppo. Diverse nuances nelle prime tre opzioni (dalla più ambiziosa per i Paesi del Sud, a quella meno) ed una quarta opzione che sembra riferirsi, forse, ad un altro tema o ad un paragrafo poi cancellato ed accorpato al 90. Il tema della definizione della finanza per il clima torna anche nel successivo paragrafo 92.

Finanza per il clima: allineamento con l’Accordo di Parigi o..?

Il paragrafo 93 dovrebbe trattare del tema del necessario allineamento dei flussi finanziari per il clima agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, come enunciato nell’opzione 1, salvo poi perdersi in considerazioni sul ruolo degli attori extra-UNFCCC nell’opzione 2 e chiudere con un’opzione 3 no-option. Un paragrafo confuso e incompleto, che sarà sicuramente stravolto, riscritto o accorpato in altri nei prossimi giorni.

100 miliardi all’anno: obiettivo raggiunto o no?

Disordinatamente come disordinata è questa bozza negoziale, il tema dei 100 miliardi all’anno trattato nel paragrafo 87 torna nel paragrafo 97 con due opzioni tra loro nettamente discordanti: nell’opzione 1 i delegati “riconoscono la distanza che rimane dal raggiungimento dell’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno”, nell’opzione 2 “danno il benvenuto ai recenti dati del report OECD, inclusa la previsione per la quale l’obiettivo è stato raggiunto nel 2022”. C’è confusione.

Un paragrafo ad hoc sull’importanza del settore privato.. o no?

L’unica opzione non no-option del paragrafo 109 sottolinea l’importanza “cardinale” del settore privato nella finanza per il clima e i delegati si danno l’obiettivo di rafforzare le regole che ne regolano la partecipazione allo sforzo, facilitando al massimo le condizioni di partecipazione nei contesti nazionali. Un paragrafo che, da un lato, sembra rimandare al report contro il greenwashing nella finanza privata per il clima presentato da Antonio Guterres lo scorso anno, dall’altro, sembra invece finito qui nel testo quasi per caso, vista la posizione e l’inusuale brevità. Potrebbe finire cancellato o accorpato con altro.

Un nuovo programma di lavoro e l’uscita dai sussidi alle fonti fossili (forse)

Il paragrafo 113 vede due opzioni, di cui una no-option. Viene proposto il lancio di un nuovo programma di lavoro sull’implementazione dell’Articolo 2.1.c dell’Accordo di Parigi, che chiede ai Paesi di rendere i flussi finanziari compatibili ed allineati con gli obiettivi per il clima. Obiettivo del nuovo programma di lavoro dovrebbe essere quello di raccogliere buone pratiche e “mandare segnali” alla politica, catalizzando azioni e investimenti su mitigazione e adattamento oltre a identificare elementi utili ad evitare, nei limiti del possibile, il greenwashing. Questo eventuale programma di lavoro sarebbe un extra, qualcosa di nuovo fuori dall’Accordo di Parigi e non è scontato che l’idea sopravviva ai negoziati della settimana: nuove iniziative, nuovi Work Programme sono sempre oggetto di scambio nelle ore finali di negoziati, tra chi spinge per lanciarli e chi no. Il successivo paragrafo 115 chiede, inoltre, ai Paesi di ridurre (non eliminare) i flussi finanziari non consistenti con l’azione per il clima, ad esempio “tramite l’uscita dai sussidi alle fonti fossili e istituendo un prezzo sul carbonio”, diciture forti e forse inattese in questo apparentemente anonimo paragrafo sulla bad finance. Da capire cosa, di questo paragrafo 115, sopravviverà alle ore finali di do ut des.

Trasferimento tecnologico (par. 117-127)

Un nuovo programma sull’implementazione tecnologica da 2,5 miliardi di dollari

Il paragrafo 126 della bozza vede la proposta, in un secco e binario “sì-no” a due opzioni di cui una no-option, di istituire un nuovo programma sull’implementazione tecnologica (“Technology implementation programme”) con una dotazione finanziaria iniziale di 2,5 miliardi di dollari da rinnovare in linea con ogni futuro Global Stocktake, quindi – se interpretiamo bene – con dotazioni quinquennali della cifra indicata, con un primo periodo operativo 2023-2028, un secondo periodo 2028-2033 e così via, a sostegno della redazione di ogni nuovo ciclo di NDC, ma anche della revisione di tutti i piani nazionali su adattamento, mitigazione ed ogni report in termini di trasparenza sotto l’UNFCCC. Viene chiesto che una decisione-bozza sul nuovo programma venga adottata entro la fine della prossima COP del 2024. La seconda opzione è appunto no-option, quindi con la possibilità che l’idea del nuovo programma venga del tutto eliminata dal testo.

Capacity building (par. 128-137)

Un nuovo Fondo per il capacity building?

Il paragrafo 137 prevede la creazione di un nuovo Fondo a sostegno delle azioni di capacity building, quindi per il supporto ai Paesi in via di sviluppo nella loro implementazione degli NDC (opzione 1), oppure semplicemente il supporto alle iniziative già intraprese in questo senso dal Green Climate Fund (opzione 2).Oppure niente, come da opzione 3. Un’altra idea, quella di questo nuovo Fondo, che potrebbe facilmente non sopravvivere al negoziato. Ma qualcuno ci ha provato e i facilitatori non potevano non renderne conto nella bozza.

Perdite e danni (par. 138-160)

Chi paga? L’Europa prova a coinvolgere la Cina

Se questa parte della bozza su perdite e danni sembra sostanzialmente solida e priva di testi acerbi rispetto al resto, spicca il paragrafo 155. Nell’unica formulazione testuale (quindi, in teoria, non messa in dubbio da proposte alternative o possibili cancellazioni) si dice che la COP, oltre a ricordare il ruolo cruciale dei Paesi ricchi nel contribuire al nuovo Fondo per perdite e danni, “incoraggia altre Parti a fornire, o continuare a garantire supporto, su base volontaria, per le attività che interessano perdite e danni” in linea con le altre decisioni della COP. In questa dicitura si sente fortissima la posizione europea e di molti Paesi sviluppati, che punta a coinvolgere i nuovi grandi emettitori (Cina e, indirettamente, i Paesi petroliferi del Golfo) a contribuire finanziariamente su perdite e danni, visto il loro recente ruolo di co-responsabili storici. Il paragrafo è l’unico di tutto il testo corredato da una nota a piè di pagina, probabilmente inserita su pressione proprio cinese o araba, in cui si dice che questo paragrafo non intende pregiudicare nessun futuro accordo sulle contribuzioni dei singoli Paesi. Un “cerotto” su un testo abbastanza diretto, che se mantenuto in questa forma potrebbe fornire una base formale a chi, nei negoziati dei prossimi anni, potrebbe voler chiedere conto a Pechino delle sue emissioni non “compensate” da riparazioni. Forse uno dei paragrafi politicamente più rilevanti dell’intero testo – nota inclusa.

Verso un report annuale (!) UNFCCC sul Loss and Damage Gap

Nel paragrafo 160, nell’unica opzione non no-option i Paesi chiedono al Segretariato UNFCCC di sviluppare annualmente un report sulle mancanze sul tema di perdite e danni, nell’ottica di fornire elementi di lavoro utili ai successivi Global Stocktake istituendo peraltro un punto permanente all’ordine del giorno di ogni futura COP proprio su perdite e danni. Sarà interessante capire se l’idea del report sul gap sopravviverà al negoziato della seconda settimana. Curioso che si chieda un report annuale per fornire informazioni ad un processo di revisione invece quinquennale, probabilmente un punto di caduta accettabile per tutti potrebbe consistere nell’allineamento della richiesta al ciclo (appunto quinquennale) del Global Stocktake.

Impatti dell’azione climatica (par. 161-176)

Un testo confuso, due diverse visioni di mondo – e un altro attacco al CBAM

Nell’idea dei facilitatori, nei paragrafi da 161 a 176 sono state raccolte le visioni e le richieste dei Paesi in merito agli impatti (positivi e negativi) delle azioni di mitigazione e adattamento sulle comunità locali. Purtroppo, ad oggi, questa parte della bozza risulta ancora abbastanza confusionaria, con temi ripetuti e paragrafi disordinati. Da segnalare il paragrafo 163, in cui due diverse opzioni testuali legano gli impatti delle misure di mitigazione e adattamento al diritto allo sviluppo dei Paesi più poveri, diritto che (seguendo il testo) potrebbe risultare compromesso dalla necessità di implementare la transizione energetica ed ecologica, mentre il successivo paragrafo 167 tenta invece di sottolineare gli effetti positivi della transizione in termini di occupazione e crescita economica derivanti dal mantenimento proattivo di una traiettoria compatibile con l’Accordo di Parigi. Due diverse visioni del mondo e dell’urgenza, con la prima parte di testo probabilmente proposta e suggerita da Paesi particolarmente ostili a politiche più ambiziose. Non manca, al paragrafo 175, opzione 1, punto (b), un ulteriore riferimento alla negatività di azioni unilaterali, bilaterali e multilaterali “coercitive” rispetto al commercio internazionale (con riferimento, ovviamente, al CBAM del Green Deal europeo), formulazione già vista in precedenza nel paragrafo 13.

Cooperazione internazionale (par. 177-191)

Prezzo sul carbonio: avanti!

Il paragrafo 188, con una sola opzione non no-option, dice che la COP “nota le attuali iniziative volte a istituire un prezzo sul carbonio ed incoraggia le Parti ad adottare, implementare e migliorare misure di questo tipo, per allinearsi con la visione e l’obiettivo di lungo periodo dell’Accordo di Parigi”. L’inserimento di questa formulazione nella sezione del testo sulla cooperazione internazionale rimanda chiaramente ai negoziati in corso sul discusso e complesso Articolo 6 dell’Accordo di Parigi, ed è evidente che alcuni Paesi stiano, in questo senso, tentando di spingere il processo in avanti verso una maggiore ambizione (pensiamo in questo senso all’Unione Europea, ma non solo). Possibile che il paragrafo venga modificato, meno che non sopravviva del tutto, vista la formulazione comunque non imperativa del testo.

Un altro attacco al CBAM (il terzo)

Protagonisti del paragrafo 189 sono nuovamente le misure “unilaterali” “imposte da alcuni Paesi” che includono, per esempio, “barriere verdi” (alle merci in ingresso), “legislazione discriminatoria, blocchi e impedimenti plurilaterali” (?) che “non sono allineati con l’Accordo di Parigi, in particolare in termini di giustizia e responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità, come del resto alle regole del WTO”. Insomma, questa opzione 1 del paragrafo 189 non le manda a dire, per la terza volta nel testo, a misure quali il Meccanismo di Aggiustamento europeo appena entrato in vigore in forma sperimentale come da roadmap del Green Deal europeo. L’opzione 2 è la cancellazione del paragrafo. Con questa terza citazione il CBAM diventa a tutti gli effetti, ad oggi, il tema maggiormente dibattuto della bozza – quantomeno a livello di menzioni nel testo, non certo indicative in termini assoluti di peso politico, ma comunque rilevanti ai fini di questa analisi.

Guardando avanti (par. 192-206)

“Successivi”, “prossimi”, “al 2025”: quando i nuovi NDC?

Il paragrafo 192 tratta della tempistica nella redazione dei nuovi piani nazionali sotto l’Accordo di Parigi, gli NDC. Ricordiamo che, secondo l’Accordo, gli NDC seguono cicli di revisione (migliorativa) almeno quinquennali a partire dal 2020, primo anno di operatività temporale dell’Accordo, e che devono essere aggiornati con politiche e misure per il quinquennio o decennio successivo. Questo significa che dalle risultanze del Global Stocktake del 2023 dovrebbero uscire nuovi NDC più ambiziosi al 2025, con copertura sugli anni dal 2030 al 2035 o 2040. Il paragrafo 192 affronta il tema secondo diciture tipiche di Parigi, ma il diavolo sta nel dettaglio: nel testo, caotico e con opzioni non enumerate se non per numeri ordinali in para-latino come fossero tutte parte dello stesso testo, si dice che i Paesi dovranno preparare gli NDC “successivi”, poi “ogni cinque anni”, poi “prossimi”, poi “entro almeno tra 9 e 12 mesi prima di COP30”, quindi ancora “nel 2025”. Un testo, insomma, molto caotico, ma importante per capire, in quello che sarà il testo definitivo e finale, l’effettiva ambizione dei Paesi rispetto ad una pur sempre possibile accelerazione nella revisione – del resto, nel 2021 era già stato scritto nel Glasgow Climate Pact, con la scadenza poi divenuta impossibile del 2022.

Donne, giovani, diritti umani

Quasi a completare una circolarità interna al testo, o forse perché non sono stati trovati posti migliori per inserirlo, il paragrafo 198 sembra riprendere il preambolo nel sottolineare l’importanza per i Paesi di lavorare (“si incoraggia”) su politiche climatiche attente alle questioni di genere, nel pieno “rispetto” (di nuovo, non tutela) dei diritti umani, sostenendo la partecipazione attiva di giovani e bambini. Un paragrafo breve, ma forse un po’ troppo “copia e incolla”, evidentemente sopravvissuto ai primi tagli su richiesta di alcuni Paesi, ma dal futuro incerto.

Il CBAM è il male? (quarta menzione)

Quarta menzione non esplicita degli effetti negativi di misure come il CBAM europeo nel paragrafo 199, che riprende quasi esattamente il testo dei precedenti paragrafi sul tema. Quarta menzione e gradino più alto del podio per il tema più citato e dibattuto in assoluto in questa bozza odierna.

Un nuovo report speciale IPCC sui costi della transizione?

Il paragrafo 201 invita, nell’opzione 1, l’IPCC a produrre un nuovo report speciale, stavolta sui costi della transizione ecologica negli scenari che contengono il riscaldamento globale entro gli obiettivi di Parigi. L’opzione 2 riduce lo sforzo ad un aggiornamento dei modelli e delle traiettorie. L’opzione 3 chiede semplicemente lo sviluppo di una metodologia semplificata e comprensibile ai Paesi per comunicare le loro emissioni storiche (andando quindi forse un po’ fuori tema, probabile anche qui un “copia e incolla” un po’ troppo rapido). Sarà interessante capire se la richiesta dell’opzione 1 supererà il taglio della seconda settimana. Per quello che è possibile capire ad oggi dal testo, sembra più un’opzione di retroguardia, proposta da Paesi poco ambiziosi. Ricordiamo peraltro che già al paragrafo 77 veniva chiesto all’IPCC un nuovo report speciale, ma sull’adattamento.

Un report annuale ONU sui progressi dopo lo stocktake?

Nel paragrafo 203, lettera (a), opzione 1, si chiede al Segretariato UNFCCC di predisporre report annuali sull’avanzamento delle politiche sul clima a partire da COP29, sottolineando i progressi fatti ed il livello di implementazione proprio delle decisioni legate al primo Global Stocktake del 2023, quindi di questo stesso testo che stiamo commentando. L’opzione 2 è una no-option. Questa potrebbe essere senza dubbio una delle novità più interessanti di questo negoziato. Da capire, nel caso in cui sopravvivesse alla seconda settimana, con quali risorse e con quali esperti (insomma, chi paga?) il Segretariato potrebbe avviare un processo tanto virtuoso ma anche tanto oneroso in termini tecnici, scientifici, di reportistica. Inusualmente, la successiva lettera (b) annacqua l’idea, proponendo solo dei “data explorer” sulle emissioni nell’opzione 1, per poi passare ad una no-option. Insomma, i nuovi report annuali ad oggi hanno una possibilità di sopravvivenza su quattro. Ma il negoziato è lungo.

Un nuovo GST Forum?

L’opzione 1 del paragrafo 204 prevede il lancio di un nuovo strumento di confronto formale tra le Parti sugli esiti del Global Stocktake ed in vista dei prossimi, chiamato “GST Forum”, tramite il quale organizzare confronti e workshop su come preparare al meglio i prossimi NDC. Non solo, la stessa opzione prevede di istituire un punto permanente all’ordine del giorno delle future COP per valutare collettivamente come il Global Stocktake sta aiutando i Paesi, appunto, nella redazione dei loro nuovi NDC. Le successive opzioni 2 e 3 annacquano l’idea, proponendo rispettivamente una più blanda roadmap (opzione 2) e sottolineando l’importanza del lavoro collettivo dei Paesi (opzione 3).

Verso i nuovi NDC: più eventi, o uno unico con Guterres nel 2025?

Il paragrafo 205 andrà monitorato con attenzione perché potrebbe rivelare l’ambizione generale di questa COP rispetto al processo centrale dell’Accordo di Parigi, la revisione degli NDC. Nell’opzione 1, infatti, si dice che la COP “invita i Presidenti di COP28, COP29 e COP30 a costruire sul momento politico del Global Stocktake convocando eventi politici di alto livello sulla preparazione e comunicazione dei (nuovi) NDC, includendo un focus sul loro allineamento” con l’obiettivo di 1.5°C. L’opzione 2, invece, sposta il tema in avanti nel tempo, suggerendo ai Paesi di “presentare i loro NDC rivisti in occasione di un evento speciale sotto gli auspici del Segretario Generale dell’ONU che si terrà nel 2025”. Interessante notare che su questo tema, ripetiamo centralissimo, non c’è alcun consenso, al punto che è ancora presente un’opzione 3 no-option.

Articolo a cura di Jacopo Bencini, Policy Advisor, Politiche Europee e Multilaterali sul Clima Italian Climate Network

Immagine di copertina: di Jacopo Bencini

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