07
Set

Un clima.. da pandemia per capire le nostre emissioni

Jacopo Bencini, Policy Advisor, Italian Climate Network

Questo articolo è il sesto di una serie realizzata con il contributo di European Climate Foundation nell’ambito del progetto “Green New Deal per l’Italia”

Immagine: Flickr/magro_kr

Lo scorso 21 agosto l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha rilasciato un comunicato stampa con il quale annunciava, per il 2020, una previsione di diminuzione del 7,5% delle emissioni climalteranti italiane rispetto al 2019. Una diminuzione importante, calcolata sulla base dei dati sui primi sei mesi dell’anno – inclusi quindi i mesi di chiusura quasi totale del sistema-paese. Una previsione che sui dodici mesi appare leggermente in rialzo rispetto ai dati rilasciati in aprile rispetto al confronto fra i primi trimestri del 2019 e del 2020, che vedevano un calo stimato tra il 5% e il 7% e che comunque non potevano ancora tenere conto dell’effettiva durata delle misure di chiusura imposte dal governo a salvaguardia della nostra salute nei mesi di maggio e inizio giugno.

Il calo complessivo stimato delle emissioni italiane, tuttavia, non può essere letto come lineare e “spalmato” fra tutti i settori, né può essere accostato – come facilmente verrebbe da fare – a più o meno proporzionali cali della produttività o della ricchezza. In merito al secondo punto, è lo stesso ISPRA a sottolineare come si confermi (ormai da anni) l’emergere di un generale disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e le tendenze economiche – per esempio nel 2019, a fronte di un calo delle emissioni sul 2018 del 2,8%, il PIL era cresciuto dello 0,3%. Il 2020 farà ovviamente storia a sé.

Torniamo al primo punto, alle differenze tra settori. I dati sul 2020 possono invece aiutarci a comprendere alcune caratteristiche del sistema emissivo italiano, che Italian Climate Network ha voluto studiare in profondità come base per l’analisi degli impatti di un possibile Green Deal.

A far calare le emissioni italiane nel 2020, stima ISPRA, saranno i settori della produzione di energia elettrica (-8,2% rispetto al 2019) e la riduzione dei consumi energetici nei settori dell’industria (-7,5%), trasporti (-13,3%) e riscaldamento (-6,0%). Se per il calo stimato per l’industria va da sé che le misure di chiusura obbligata ed i successivi cali di ordini abbiano portato quantomeno ad un rallentamento del processo produttivo, i settori dei trasporti e del riscaldamento sono direttamente riconducibili alle nostre abitudini quotidiane, sconvolte dalla pandemia: tra chi il lavoro l’ha perso e chi si è ritrovato improvvisamente a lavorare otto ore dal proprio salotto di casa, è diminuito il numero complessivo di persone sulle strade delle nostre città, è servita meno energia per riscaldare uffici, scuole, fabbriche, piccoli stabilimenti produttivi. Settori, quelli dei trasporti, degli edifici e dei servizi, che secondo quanto rilevato dalla ricerca scritta in collaborazione con EStà, sono stati i più impermeabili all’innovazione negli ultimi trent’anni. Le emissioni complessive dei due settori, infatti, sono state le uniche in continuo aumento mentre il complesso del sistema emissivo italiano diventava via via più sostenibile. Una riduzione sensibile delle emissioni di un settore vecchio nella tecnologia come quello dei trasporti pubblici ci fornisce in pieno la dimensione del ritardo italiano in questo settore e quindi no, quel -13,3% non può essere letto come una buona notizia. Un 2021 di piena uscita dall’emergenza sanitaria vedrà risalire quel dato ai livelli pre-pandemia in assenza di specifici investimenti in innovazione e rinnovo del parco viaggiante. La riduzione delle emissioni nel settore dovuta alle misure di contrasto alla pandemia, insomma, non avrà avuto praticamente alcun effetto sul medio-lungo periodo.

Un altro indicatore dello stato delle emissioni italiane è sicuramente quello della produzione di energia rinnovabile a sostegno della rete elettrica nazionale, ancora affiancata da ingenti quantitativi di energia prodotta invece da fonti fossili e in larga parte importata dall’estero. Tra il 2014 e 2019 si sono registrati i valori più alti di sempre in termini sia assoluti che percentuali di copertura della domanda di corrente da parte di fonti rinnovabili, arrivando a sfiorare il 40% proprio nel 2014. Volendo tentare una prima osservazione sulla resilienza del sistema elettrico italiano nei mesi della pandemia, si può osservare come nel mese di maggio 2020, a fronte del generale calo della domanda di energia, la percentuale di copertura da rinnovabili sia salita addirittura al 52%. Uno sbalzo sicuramente dovuto a circostanze particolari e irripetibili, ma che dovrebbe farci pensare da un lato alla resilienza attuale e potenziale del nostro sistema energetico, dall’altro al fatto che il piano sul clima presentato dal Governo nel dicembre scorso, il PNIEC, preveda invece una diminuzione complessiva della quota di domanda di energia soddisfatta da rinnovabili al 2030, in contrasto anche con i più recenti obiettivi comunitari.

La circostanza socioeconomica unica delle chiusure forzate durante l’emergenza sanitaria ha messo in risalto elasticità e inelasticità, resilienza e potenzialità dei principali settori emissivi italiani. Sebbene le contrazioni complessive delle emissioni italiane nei primi mesi del 2020 non avranno effetti sensibili sul medio periodo, possono comunque fornire un quadro intelligibile del funzionamento del nostro sistema-Italia e aiutarci a capire su quali politiche orientare la nostra azione ambientalista. Sarà proprio questo lo spirito con cui Italian Climate Network presenterà, all’inizio di ottobre, la ricerca prodotta all’interno del progetto “Green Deal per l’Italia”. Per capire, per spiegare, per ripartire verso un’Italia capace di investire con coraggio dove necessario.

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